Persino Prodi ha dovuto finalmente ammettere che il progetto europeo è naufragato, che dopo la pandemia ci sono solo due protagonisti dell’economia mondiale, la Cina e gli Usa, la prima in ascesa i secondi in declino, mentre l’Europa che si immaginava di diventare l’area più competitiva del pianeta è ormai costretta a raccogliere le briciole della crescita altrui, senza alcuna possibilità di contare qualcosa, anche per i troppi errori commessi.  Detto da uno dei protagonisti dell’europeismo fa impressione, confessato da chi ha svenduto i migliori asset del Paese e un intero modello di sviluppo per aderire a questo carrozzone fa rabbia, sostenuto  da chi ha svenduto i gioielli di famiglia, peraltro pagati dai cittadini italiani per entrare nell’euro, un veleno letale per la nostra la nostra economia e il nostro futuro, fa senso. Ma fa anche ribrezzo che tutto questo venga detto senza alcun senso di colpa, quando invece era chiarissimo da molti anni che la costruzione europea dopo la caduta del muro  aveva abbandonato ogni proposito di partecipazione e di sviluppo sociale per mostrarsi nella veste di progetto finanziario, monetaristico ed elitario che vedeva con sospetto e fastidio i propositi iniziali.

Qui occorrerebbe aprire una parentesi e mostrare come tutto l’europeismo, dagli anni ’20 del secolo scorso sino al secondo dopoguerra sia stato interamente dominato da un’idea ossessivamente economicista e verticistica di una possibile unione continentale e che dunque fin dall’inizio l’esito che è sotto gli occhi di tutti appariva come scontato, altrimenti il processo di unificazione avrebbe dovuto procedere per tappe molto più lunghe, tanto più che una collaborazione forte non aveva certo bisogno dell’enfatica e ingannevole governance che ci ritroviamo, tutta dedita al lobbismo come persino  i contratti per i vaccini dimostrano. Il germe del fallimento era insomma presente fin dall’inizio sia in termini ideali, sia pratici visto che la nascita è stata favorita in funzione della guerra fredda e non ha permesso lo sviluppo di una vera autonomia di azione.  Ma in questa occasione bisogna chiedersi come mai Prodi, protagonista in prima persona di questo fallimento,  dopo molti anni di esaltazione e poi di pervicace difesa d’ufficio ora ci viene a dire che non ce l’abbiamo fatta, che l’Europa non conta più niente, che abbiamo perso la sovranità per nulla. Per la verità è già un anno che egli esprime critiche e disincanto anche se poco o nulla è cambiato rispetto al recente passato cosa che mi induce a formulare un’ipotesi politica fuori dagli schemi e magari in qualche modo estrema:: non è per caso che con la narrazione pandemica e le conseguenti misure di segregazione che distruggono la piccola economia e ostacolano non solo le libertà individuali, ma anche l’agibilità politica,  si stia raggiungendo il fine che le elites speravano di raggiungere attraverso l’Europa e la sua governance del tutto slegata dal consenso popolare e democratico? Che insomma adesso l’Ue è diventata non dico inutile, ma non più vitale per le elite visto che gli stessi scopi sono stati raggiunti via pandemia, ora che di fatto il governo vero è quello dei grandi gruppi economici, specialmente quelli dall’altra parte dell’Atlantico, si può lasciarsi andare alle critiche e si può persino pensare di farne a meno?

Non dico che Prodi pensi esplicitamente questo, ma che un simile concetto si aggiri nell’inconscio, suo come in quello di altri, che sia insomma nel sublimine di tutta la politica la sensazione che ormai l’Europa come strumento dell’oligarchia non sia più indispensabile perché essa si va imponendo per altre vie certamente più banditesche. Il fatto che sia stato possibile mettere in piedi una rappresentazione drammatica di pandemia grazie alla vasta complicità dei media e della classe medica, dimostra che la mutazione  della democrazia e del suo spirito è già in fase così avanzata che togliere sovranità e rappresentanza attraverso la governance della Ue è ormai superfluo. Quindi si può mettere in lice il fallimento del progetto a livello globale.