Mentre la Nato e la statistica dei ricchi (vedo qui), ci rimbambiscono di bugie, la grande informazione ha completamente e volutamente ignorato il discorso fatto da Putin a Sochi, nell’ambito di un incontro del Valdai discussion Club, limitandosi a riportarne poche parole, che separate dal contesto parevano di minaccia. Ma nel mondo reale e non quello inventato e censurato nel quale siamo costretti a vivere il discorso rappresenta un punto di svolta epocale che riguarda certo da vicino la Russia, ma che di fatto è il manifesto della multipolarità, contrapposta all’autoproclamatosi impero del bene. Il testo completo in inglese potete trovarlo qui Discorso di Putin
Si tratta del primo scontro al massimo livello tra il sistema di potere americano debordato poi nella fumisteria canaglia del neoliberismo e le potenze emergenti, alcune tanto emerse come quella cinese da aver superato con molti anni di anticipo rispetto alle previsioni quella Usa. Tra economia finanziaria ed economia reale. Tra internazionalismo dei ricchi e sovranismo produttivo. Tra società a trazione dirigista di vario tipo, ma con un forte ruolo statale nell’economia e democrazie spolpate dall’interno e divenute oligarchie mercatiste. Tra Paesi in crescita e Paesi in declino. Potrei continuare a lungo ad elencare dicotomie, ognuna delle quali richiederebbe lunghe spiegazioni e discussioni, ma per non annoiare torno a Putin e al suo discorso che potrebbe essere riassunto in tre capitoli principali.
Il primo riguarda la situazione la situazione mondiale che, secondo il leader russo, è stata portata nel caos più completo dal tentativo degli Stati Uniti di conservare un’egemonia che non è più nei fatti e che ha finito per travolgere sia il diritto internazionale che le istanze di regolazione globale che ad esso facevano riferimento in qualche caso private di autorevolezza e autonomia in altri ridotte a longa manus di Washington. La pulsione imperiale ha anche prodotto un tentativo di creare un nuovo ordine mondiale e assieme sociale che – anche se Putin non lo dice esplicitamente -ha distrutto il tentativo europeo e ha fatto delle istituzioni continentali un succedaneo della Nato.
La seconda parte concerne la reazione russa a a tutto questo: Mosca non intende contrastare il tentativo Usa di egemonizzare tutto il mondo occidentale secondo i modelli neoliberisti, ma si opporrà con tutte le sue forze se qualcuno pretenderà di trascinare e implicare la Russia all’interno di questo disegno che secondo Putin si mostra già fallimentare, un castello di sabbia. Dunque porte aperte al mondo, ma promessa di tempesta nel momento in cui l’impero del caos volesse aggredire gli interessi del Paese. ” La Russia non vuole assolutamente la guerra, ma non ha paura della guerra”.
La parte finale riguarda un codice di comportamento che si collega al resto: ossia Mosca non cercherà di proporsi apertamente come potenza alternativa, portatrice di un nuovo imperialismo, ma non si presterà più ad incontri e accordi burletta, a commedie e farse internazionali, a negoziati dietro le quinte, ma solo ad accordi seri che si fondino sul bene della sicurezza collettiva e siano basati sull’equità, ovvero sul rispetto degli interessi di ogni parte.
Sono evidenti due cose: che si tratta di un discorso di svolta totale rispetto al tentativo della Russia post sovietica di essere trattata alla pari nel concerto della globalizzazione. La vicenda Ucraina ha messo una pietra tombale su questa strategia. E poi che Putin parlava ovviamente di della Russia, ma esprimendo una linea di condotta comune a tutte le nuove potenze le quali si sentono minacciate dalla sfacciata arroganza statunitense, divenuta spudorata sopraffazione da quando su Washginton si è insinuata la paura concreta di perdere l’egemonia mondiale con tutte le catastrofiche conseguenze sulla propria economia gonfiata con gli ormoni del dollaro come moneta unica di scambio globale. A Mosca, a Pechino, a Nuova Delhi come a Brasilia, come in gran parte del frammentato mondo mussulmano si ha la sensazione che nulla verrà risparmiato per creare problemi, per affossare le elite locali, per innescare conflitti, creare falsi movimenti di protesta, cercare il caos e la frammentazione pur di fermare il processo di multipolarizzazione del mondo. Per questo c’è un riavvicinamento tra i nuovi grandi decisi a non farsi più ricattare.
Finora si erano avuti scontri su temi particolari, ma non si era ancora arrivati alla definizione così decisa e coerente di un confine che non può essere attraversato, né in nome del quieto vivere, né sotto l’assedio dei ricatti e tanto meno in quello di una tacita accettazione della “eccezionalità americana” che viene contestata in sé e nella sua valenza pretestuosa. Il mondo è cambiato: ma agli europei non lo fanno sapere.
Ogni volta che mi capita di provare istintiva simpatia e ammirazione per Putin devo ricordare a me stesso che si tratta della stessa persona che rifiutando la trattativa con i guerriglieri ceceni fu la causa della morte di centinaia di bambini nella cosiddetta strage di Beslan. Cito da Wikipedia: “Strage di Beslan è il termine con cui ci si riferisce al massacro avvenuto fra il 1° e il 3 settembre 2004 nella scuola Numero 1 di Beslan, nell’Ossezia del Nord, una repubblica autonoma nella regione del Caucaso nella federazione russa, dove un gruppo di 32 ribelli fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occupò l’edificio scolastico sequestrando circa 1200 persone fra adulti e bambini. Tre giorni dopo, quando le forze speciali russe fecero irruzione, fu l’inizio di un massacro che causò la morte di centinaia di persone, fra le quali 186 bambini, ed oltre 700 feriti.”
Ricordo anche che Putin è stato un alto ufficiale del KGB, ha collaborato con o supervisionato la STASI, la polizia segreta della vecchia DDR, ricevendone in cambio perfino una medaglia in riconoscimento della pregevole attività svolta ed è pertanto una persona del tutto addentro ai meccanismi reali che muovono il mondo. Ossia lui sa mentre i nostri politici non sanno se non per sentito dire e questo gli conferisce indubbiamente una caratura notevole, addiritttura una sorta di aura, che personaggi monodimensionali come Obama o Bush si possono solo sognare.
I suoi discorsi attuali sono ovviamente musica alle mie orecchie. Ma… ci sono dei ma, appunto. Il primo è il mio sospetto (anzi, ormai è una vera e propria convinzione) che Putin e Obama siano due facce della stessa medaglia. Putin può anche criticare il trattamento fatto alla Siria dagli Stati Uniti ma non può negare di aver fatto dei buoni affari vendendo armi alla Siria per permetterle di difendersi. La stessa cosa vale per la vicenda Ucraina dove i secessionisti dispongono di armamenti che non potevano avere per conto loro. Putin ha dunque un vested interest, come si dice in inglese, un conflitto di interesse, a mantenere aperti i due conflitti e… lo sta facendo egregiamente coperto dalla scusa che sono gli americani a rilanciare sempre la posta. Ed è vero, intendiamoci, ma è comunque un gioco di squadra. Io rilancio e vendo armi, tu ti difendi e vendi armi. E tutti e due siamo contenti! Ma alla fine sono le statistiche di esportazione di armamenti da parte russa e americana che inchiodano Putin e Obama alle loro responsabilità, belle parole a parte. I due paesi sono infatti i massimi esportatori di armi al mondo.
Un altro aspetto che insospettisce è il fatto che Putin si sia scelto un’ideologia, quella del restauro della religiosità tradizionale in Russia, che fa decisamente a pugni con un’educazione, la sua, che deve essere stata necessariamente improntata al più convinto ateismo. Ma mi aspetto che prima o poi esca un libro intitolato “La religiosità di Putin. Storia di una vocazione precocissima” che servirà a smentire che il manto religioso sia solo un trucco per abbindolare il popolo russo in cerca di un surrogato degli ideali di uguaglianza ormai tramontati.
Il terzo “ma” lo desumo letteralmente dal discorso di Putin dove si legge una frase strabiliante come: “Only the current Egyptian leadership’s determination and wisdom saved this key Arab country from chaos and having extremists run rampant.” Traduzione: “Solo la determinazione e la saggezza della leadership egiziana attuale ha salvato questo paese arabo chiave dal caos e dall’avere estremisti che impazzano.” E noi che pensavamo di avere a che fare con l’ennesimo colpo di stato pilotato dagli americani pentiti dell’appoggio dato a Morsi!
Il problema è che Putin rilancia senza alcun problema la narrativa fasulla del terrorismo, delle Torri Gemelle, dei rischi che il terrorismo comporta per il mondo civilizzato e lo fa nello stesso istante in cui scrive, in questo suo testo, frasi di segno completamente opposto come: “Gli Stati Uniti un tempo sponsorizzarono i movimenti estremisti islamici in funzione anti-URSS. Questi gruppuscoli si fecero le ossa in Afghanistan e, successivamente, diedero vita ai talibani e ad Al Qaida. L’occidente, se non li ha supportati, ha per lo meno chiuso gli occhi e, direi, offerto supporto informativo, politico e finanziario all’invasione della Russia e delle nazioni dell’Asia Centrale da parte dei terroristi internazionali (non lo abbiamo dimenticato!).
Oppure come quest’altra: “In Siria, come avvenuto anche in passato, gli Stati Uniti e i loro alleati si sono messi a finanziare e armare direttamente i ribelli consentendo loro di riempire le loro fila di mercenari provenienti da vari paesi. Consentitemi di chiedere: ma questi ribelli da dove prendono i loro soldi, le armi e gli specialisti militari? Da dove viene tutto ciò? La famigerata ISIL, come ha potuto diventare un gruppo così potente, sostanzialmente un vero e proprio esercito?”
Ossia Putin sa bene che il terrorismo è una invenzione americana e lo dichiara apertamente. Eppure non rinuncia alla tentazione di usare anch’egli il terrorismo come strumento di governo per mantenere la propria opinione pubblica in uno stato di paura costante che favorisce, evidentemente, il passaggio di qualunque legge draconiana che, con il pretesto di difendere il cittadino dalle minacce dell’estremismo, mira in realtà al suo sempre più totale assoggettamento.
Non è questo che mi aspetto da un leader per definirlo “alternativo” o “credibile” anche se dice delle cose intelligenti e che mi piace sentir dire.