Anna Lombroso per il Simplicissimus
La proposta di riduzione dei parlamentari prima della fine della legislatura è stata messa sul piatto dal M5S, accolta con un certo entusiasmo da Matteo Renzi e infine fatta propria anche da Salvini, che ha prospettato un suo percorso secondo il quale sarebbe possibile approvare «per direttissima» la riduzione di deputati e senatori (che porterebbe il numero dei primi a 400, dagli attuali 630, e quello dei secondi a 200, dagli attuali 315, per un risparmio di circa 50 milioni l’anno), sciogliere le Camere, votare con la vecchia legge (dunque continuando a eleggere 945 tra deputati e senatori) e confezionare definitivamente la riforma nella prossima legislatura.
Un simile e così ampio consenso non può che insospettire: fin troppo facile e perfino banale dire che si tratta di una concessione che chi sente sfuggirgli di mano il “suo” popolo offre in risposta al malessere e alla sfiducia. Un’elemosina che incide sul volume visibile della rappresentanza, non sul suo “peso” né tantomeno sulla sua qualità.
In presenza di quella che viene ormai chiamata postdemocrazia e nella quale ideali, principi e regole sembrano meritare solo un rispetto formale, pare inevitabile che l’unica forma unanime di partecipazione consista nella sfiducia, nella diffidenza e nel sospetto riservato al “personale” politico, all’attività di rappresentanza e di governo, alle istituzioni, sentimenti e emozioni normalizzati, autorizzati e infine legittimati per via normativa sotto forma di azioni “punitive” di un ceto che ha perso autorevolezza e prestigio.
Su questo sembrano concordare i movimenti che hanno assunto una cifra “impolitica” come fosse un progresso virtuoso di avvicinamento al popolo, cui viene riconosciuto il diritto non più di conquistare il potere, nemmeno di controllarlo ma semmai di ridurlo, mantenendo per sè la prerogativa largamente ininfluente di stigmatizzarlo, penalizzarlo non tanto nella cabina elettorale dove si officia una stanza liturgia, bensì su Internet, dove si conquista il privilegio di minare la reputazione.
Ma sono d’accordo anche i partiti tradizionali, che hanno già approfittato dell’equivoco, a suo tempo con interventi sulla Costituzione che hanno favorito l’impoverimento delle competenze statali per attribuirle a un decentramento solo formale, con i tentativi di marca golpista di rafforzamento dell’esecutivo per via referendaria, con lo svuotamento dei pronunciamenti plebiscitari e la resa incondizionata a lobby e potentati, come nel caso dell’acqua pubblica, E con la cancellazione delle provincie, allegoria perfetta della manomissione della democrazia, quando invece di eliminare gli “enti inutili” si sono eliminati gli elettori diventati più che superflui, molesti, quando la semplificazione è diventata complicazione con l’aumento degli organismi intermedi, la richiesta pressante di fondi per garantire i servizi essenziali su strade e scuole, la potenza malsana data alle pretese di autonomia delle regioni più ricche, e il ridicolo del rito di elezioni, quelle delle Città metropolitane, cui sono chiamati a votare per le supercittà i sindaci e u consiglieri comunali dei comuni che insistono nell’area metropolitana.
L’esperienza ci insegna che i tagli, siano quelli doverosi dell’austerità, che quelli promossi per il nostro bene, per salvaguardare le nostre tasche di cittadini, non hanno mai buon fine: nel caso delle province (che gestiscono ancora oltre 5100 scuole e l’80% della rete viaria nazionale, ma non hanno più dipendenti né risorse) sono stati sforbiciati energicamente i servizi per numero e qualità, i dipendenti sono stati distribuiti dissennatamente nelle Regioni, nei Ministeri e nei tribunali con il paradosso di barellieri messi a fare i cancellieri (l’informazione viene dall’Upi), soprattutto non è mai stato calcolato il “risparmio” che secondo il promotore che ha dato il nome alla riforma doveva ammontare a 2 miliardi, poi ragionevolmente ridotti a 32 milioni, rimozione che come si sa riguarda tutto il gioco di scommesse cui siamo chiamati a contribuire nella bisca dello “sviluppo”.
Sarebbe meglio guardarsi dalle brioche offerte alle plebi malmostose, al posto della crema ci mettono il veleno.
“di stigmatizzarlo, penalizzarlo non tanto nella cabina elettorale dove si officia una stanza liturgia, bensì su Internet, dove si conquista il privilegio di minare la reputazione.”
Quando si entra in cabina elettorale, si ha a che fare con leggi porcata-truffa et similia, per volere del legislatore che tendenzialmente se ne frega del benessere e dei diritti del popolo-nazione.
Dopo di che se esprimere il proprio ( spesso argomentato)pensiero e la propria critica può essere spregiativamente considerato stigmatizzare o privilegio di minare la reputazione di q.no, si può passare più semplicemente ( giusto per semplificare un po’…) alla censura, che il privilegio di voto democratico e proporzionale, già se ne è andato con le leggi porcata.
La riforma che andrebbe fatta per la politica è si ridurne ( minimamente…) il numero, ma ridurne di almeno il 50% i compensi, per una questione di “”meritocrazia”” dal almeno 30 anni a sta parte.
Dei “gran ladri”, corrotti, ciarlatani, comodamente ignoranti, in malafede o supponenti-saccenti, figli di papà,o vigliacchi Non si posso pagare con uno stipendio da statisti.
Quel giorno che (fortunatamente…), spunterà uno statista in itaGlia ( Aldo Moro ?), allora lo si potrà pagare come tale.
Una politica fatta di clan clientelari ( anche tutrice del lobbismo dei potentati…) o familistici, è ampiamente criticabile o stigmatizzabile, con più efficacia sul web, che Non sulla cabina elettorale con leggi porcata annesse ( anche per quanto riguarda il finanziamento ai partiti…).