L’importante è immedesimarsi nel personaggio, come prevede il celebre metodo del regista e attore Stanislavskij: per quanto la rappresentazione sia astrusa e avulsa dalla realtà o ideologicamente didattica, una buona interpretazione non può prescindere dall’identificazione nel personaggio. Ed è per questo che dopo sette anni consecutivi di religione della “ripresa imminente”, di spaccio di stupefacenti, il nuovo calo del Pil ha sorpreso buona parte di quelli che già davano per scontata l’uscita dal tunnel, nonostante non vi fosse alcuna ragione per pensare a una qualche inversione di tendenza che non fosse qualcosa di più di un puro effetto statistico.
Non si può mentire a lungo ed essere creduti senza immedesimarsi in qualche modo nelle bugie e nelle illusioni vendute alle vittime: così un intero ceto dirigente pensa di uscire dalla crisi con le stesse ricette che in sostanza l’hanno provocata. I bassi salari e la precarietà, come ampiamente testimoniato sia dalla scienza economica, sia dalla realtà (come si può apprendere anche qui ) sono la radice stessa del declino economico e civile e non la sua soluzione. Ma se i ricchi e i potenti che tirano i fili di una politica subalterna, possono tranquillamente e lucidamente ingannare, visto che affidano le loro narrazioni, la loro lotta di classe al contrario, all’ambiente rarefatto delle accademie, alle schiere di uomini immagine o alle rare interviste inginocchiate, non sono insomma sul palcoscenico, ma dietro le quinte, chi deve interpretare il copione davanti ai cittadini deve essere abbastanza elastico da identificarsi nella parte. Da poter piangere senza ricorrere alla cipolla.
Altrimenti con che faccia di fronte al settimo annuncio fasullo di ripresa, si può sostenere che non cambia nulla, che non ci sarà una manovra correttiva, che pagare il fiscal compact sarà una bazzecola, che si può fare un’altra Europa, che i famosi 80 euro vedranno il panettone e addirittura saranno estesi, senza una partita di giro che tolga con altre tasse il doppio di ciò che è stato tolto dalle tasse? E’ anche vero che il politico del terzo millennio è ormai a due sole dimensioni: il cinismo privato e l’immagine pubblica, ma anche dentro questa povertà antropologica c’è bisogno di credere in parte ai propri cachinni intellettuali per non apparire ciò che si è.
Purtroppo proprio questo meccanismo- Stanislavskij accentua il circolo vizioso che c’è tra la sempre crescente disuguaglianza e le tendenze di una politica che tende a favorirla: la polarizzazione delle risorse in mano a gruppi sempre più esigui, al famoso 1%, genera appunto questa rincorsa al peggio nel tentativo di entrare nel cerchio magico dei padroni delle ferriere. Talvolta però, come in questo caso, la replica della realtà sbugiarda il libro dei salmi liberista, il salterio dell’auto inganno. Ma niente paura, the show must go on, e dopo un breve momento di disorientamento, dopo che il suggeritore messo apposta dagli impresari detta la battuta, tutto torna come prima. Al massimo per un giorno si recita a soggetto.
Tra l’altro l’India offre un ottimo esempio di come gli Stati Uniti stiano approcciando il problema di come collocare ai posti di comando delle loro persone. Modi non è un infiltrato, anzi. Da anni è bandito dagli Stati Uniti nel senso che non gli viene neppure rilasciato il visto d’ingresso per l’accusa di non aver impedito un pogrom anti-islamico quando era al comando del suo stato di provenienza, il Gujarat (di cui è tuttora al comando).
Quest’accusa rimarrà pendente come una spada di Damocle lungo tutta la sua vita e potrà sempre servire a trascinarlo davanti a un tribunale penale internazionale qualora l’eminente politico non si dovesse comportare “bene” nei confronti di chi lo sta sponsorizzando. Quindi, anche se l’attuale entusiasmo del regime americano per lui sembrerebbe un controsenso rispetto alle relazioni molto tese avute in passato, la logica c’è. Modi, che sulla carta sembrava il più implausibile dei candidati premier, proprio perché sgradito alla numerosissima minoranza indiana di confessione islamica e con il peso del suo passato, è stato probabilmente scelto perché è un personaggio intelligente, scaltro, ambizioso e … influenzabile.
Quanto alla logica mediatica che lo ha portato al trionfo è la stessa che c’è anche da noi. Come avevo già scritto mesi fa, è stato perfino realizzato un fumetto dalla Raj Comics in una serie che ospita i grandissimi dell’India. E questo, prima ancora che fosse eletto e passando sotto silenzio l’accusa di essere un sospetto favoreggiatore di pogrom. Ma se è per questo anche l’israeliano Begin aveva fatto parte di un gruppo terrorista e questo non gli impedì di assurgere alle massime cariche dello stato.
Gli Stati Uniti si dimostrano come al solito pragmatici a 360°. Il partito di Sonia Gandhi li ha scontentati, non hanno avuto alcuno scrupolo a prendere il più improbabile dei candidati e a sponsorizzarlo. Seguiremo nelle prossime settimane la commedia di come gli verrà finalmente dato il permesso di andare negli Stati Uniti (cosa che, come significato, assomiglierebbe tremendamente ai nostri Monti, Letta e Renzi che vanno a incontrare la Merkel!). Per il resto la fase storica che l’India sta vivendo, dal punto di vista della sua permeabilità alle lusinghe infiltratorie americane, è quella della pre-infiltrazione quando non puoi fare a meno di puntare su persone locali, la cui piena affidabilità è un punto interrogativo, perché non ne puoi impiantare di tue che verrebbero sentite come un corpo estraneo e rifiutate. Per il momento, cioè, ci si limita a preparare il terreno, si stringono delle alleanze, quella con Modi, per l’appunto ma anche quella con l’Aam Aadmi Party di Arvind Kejrival, il partito dell’uomo qualunque (aam significa “normale”, aam aadmi è l’uomo della strada, ovvero il cittadino normale), che in campagna elettorale si diceva finanziato da investitori stranieri. Poi si manovra molto con le ONG che per il momento svolgono anche una funzione positiva nel senso che aiutano a risolvere i paurosi problemi di sfruttamento e povertà che esistono in India ma, al contempo, tessono una trama parallela che consiste nell’attirare simpatie e talenti nell’orbita del mondo occidentale, cosa che costituisce la premessa per l’ulteriore fase di infiltrazione vera e propria quando persone cresciute alla corte delle università e delle banche USA diventeranno direttamente ministri, presidenti e quant’altro occupando le istituzioni indiane e portando il paese nelle direzioni che vuole l’America che, non fosse altro che in funzione anticinese, ha un gran bisogno di un’India docile e telecomandata, cosa che adesso non è.
“Ma se i ricchi e i potenti che tirano i fili di una politica subalterna, possono tranquillamente e lucidamente ingannare, visto che affidano le loro narrazioni, la loro lotta di classe al contrario, all’ambiente rarefatto delle accademie, alle schiere di uomini immagine o alle rare interviste inginocchiate…”
Non si tratta solo di ambienti rarefatti delle accademie. Sto facendo per conto mio una piccola ricerca per capire chi sono i politici fautori del neoliberismo, quelli che si intruppano nei vari think tank USA in giro per il mondo, e oggi ho avuto la fortuna di imbattermi in un sito scritto interamente da questi personaggi: http://www.project-syndicate.org
Vi scrivono teste del “calibro” di Michel Rocard, Nouriel Rubini, Joseph E. Stiglitz, Joshka Fischer, Javier Solana e tanti (troppi?) altri.
La homepage di oggi è illuminante come anche, presumo, tutte quelle precedenti e successive: l’articolo “India’s Shinzo Abe” è dedicato a Narendra Modi, l’uomo “forte” su cui puntano gli americani per farli entrare in massa nel mercato indiano (Sonia Gandhi ha fatto del suo meglio ma non ci è riuscita del tutto e quindi è stata giustamente punita :-), “Saving Nigeria’s Stolen Future” è scritto nientemeno che da Gordon Brown e già il titolo è tutta una melassa retorica, “Inequality Disaster Prevention” è un articolo scritto da un nobel dell’economia per criticare misuratamente il libro di PIketty sul capitalismo nel ventunesimo secolo (it’s not strong on solutions!), mentre “The Trouble with Europe” è vergato da Ian Buruma, un professore di Democracy, Human Rights and Journalism al Bard Institute che evidentemente ritiene che scrivere per questo sito non violi la sua deontologia privata.
In tutti i casi, visto che il nemico conosce noi, courtesy of the NSA, tanto vale che anche noi conosciamo lui per, ovviamente, cristianamente riportarlo sulla diritta strada. Siamo tutti non violenti e vaccinati!
Non c’è niente di più interessante di sapere che su questo sito il maggior numero di articolisti, dopo gli americani, è costituito dalla comunità di VIP indiani, da anni oggetto di particolari attenzioni da parte degli Stati Uniti perché l’India è un boccone troppo prelibato per lasciarselo scappare e in più fa entrare tutte le ONG d’oltreoceano con un piacere autolesionista particolare. Oppure che un ex-ministro delle finanze turco, Kemal Derviş, è addirittura vice-presidente del massimo think tank americano, the Brookings Institution. Qui tra Aspen, Bilderberg e le altre cisterne di pensiero sta andando a bagnomaria l’indipendenza di tutti gli stati, uno dopo l’altro. Meglio saperlo che non saperlo comunque. E, forse, la nostra debolezza è che non abbiamo mai pensato di creare delle cisterne di pensiero alternativo come se il pensiero etico si potesse diffondere da solo senza promuoverlo mentre gli altri si danno da fare a conquistare le menti e i cuori del pianeta con le loro pozioni avvelenate e fondano un think tank al giorno. Noi invece siamo bravi a fondare una lamentela al giorno. Ma i risultati non sono gli stessi…
Mah … nessuno più parla di redistribuzione del reddito e di imposizione fiscale progressiva ????
‘OT’ ma merita
Questione morale, l’ex responsabile giustizia del PCI:
“Il M5S è l’erede di Berlinguer”
http://temi.repubblica.it/micromega-online/questione-morale-l%E2%80%99ex-responsabile-giustizia-del-pci-%E2%80%9Cil-m5s-e-l%E2%80%99erede-di-berlinguer%E2%80%9D/