Qualche sede del Pd è simbolicamente occupata, alcuni personaggi come la Serracchiani fanno i salti mortali pur di ritagliarsi una tardiva estraneità all’inciucio, Franceschini e Letta si perdono in discorsi che ci fanno capire il livello desolante della classe dirigente del centrosinistra e della devastazione che si ha quando i candidati sono nominati. Gli elettori infine sono tra il desolato e l’incazzato, mentre Napolitano finalmente può ritornare ai bei tempi del guf, inaugurare la fase presidenziale della Repubblica e imporre ancora una volta l’inciucio con Berlusconi, l’abbraccio con Monti e Amato o Letta come premier.
Tutto quello che non avrebbe dovuto accadere “mai più” è accaduto e francamente il tentativo di Bersani di coinvolgere il M5S adesso ha tutta l’aria di una commedia che i grillini hanno reso facile sottraendosi senza contrattare. Il passaggio repentino dalla ricerca del dialogo con il movimento alla straordinaria remissività che ha portato il segretario del Pd in pellegrinaggio da Berlusconi perché scegliesse il candidato al Quirinale e la successiva inspiegabile ostilità a Rodotà e persino a Prodi, ci inducono a credere che in realtà l’approdo di oggi fosse parte di un disegno che già si delineava l’estate scorsa.
Della calata di Blair, dei banchieri e dei ministri tedeschi a Firenze per supportare l’ascesa di un berluschino o montino di supporto nella persona di Renzi, ne ho parlato in diverse occasioni. Ma a mio parere il nodo di svolta, il segnale evidente della completa frattura tra base e vertice, si è mostrata proprio durante il rito che ne avrebbe dovuto sancire l’unità, ossia le primarie. Mi sono sempre sorpreso che gli elettori di quella disfida, non abbiano minimamente avvertito che se prima di votare devi sottoscrivere un documento politico che indica nella linea del governo tecnico quella del partito, la scelta si riduce a due personaggi, a una lotta di potere tra il vecchio apparato e i nuovi pretendenti. Mentre i milioni di voti,il fantasma della partecipazione potranno in seguito essere usati come alibi per poter dire che la continuità e contiguità col montismo, vale a dire con la fase efficiente e libera da problemi di consenso del berlusconismo, era stata “democraticamente” scelta.
Ma questo è ormai irrimediabilmente il passato. E’ evidente che il Pd è ormai già separato al suo interno e separato dalla massa dei suoi elettori, che anche lui è irrimediabilmente il passato e bisogna invece pensare fin dal subito al futuro perché queste su queste macerie c’è ben poco da ricostruire se non qualche illusione. E se ci fosse qualche dubbio basta guardare lo streaming della direzione di ieri per rendersi conto del vuoto pneumatico di politica riempito solo da rancori, paure, recriminazioni del tutto aliene da scelte e da idee. Nemmeno ” un porno fatto in casa” come dice Serra, piuttosto un documentario di Focus sulla Repubblica di Weimar. Sul vegliardo Hindenburg che volle a tutti i costi essere rieletto per “garantire” la restituzione dei prestiti di guerra agli Usa, causa della terribile crisi economica che portò Hitler al potere, avremo modo di occuparci ampiamente. Purtroppo.
Bisognerebbe anche fare un’accurata analisi sociologica sulla tipologia dell’elettorato piddino che credo oramai sia diviso in più tronconi. Non un’informe “base” unita insieme dal collante dell’antiberlusconismo e di una sempre più tenue e polimorfica “idea” di Sinistra. Ma, grossomodo, due grandi tronconi di garantiti (impiegati, insegnanti, pensionati) e non garantiti (precari). Questi si distribuiscono più o meno equamente tra le diverse aree politiche del fu pd (mai più lo scriverò con le maiuscole: non è né un partito, né tantomeno è democratico). Il problema è che queste aree sono quasi del tutto sfuggenti a certo tipo di classificazione politica. Mi spiego: una volta c’erano le correnti, il centralismo democratico, etc. Oggi c’è una guerra per bande che non ha eguali. Non è valido neanche il vecchio schema ds vs margherita: sorpassato. Per cercare di capirci alla buona. Pare, oramai è assodato, che i voti in più che sono usciti nel terzo e quarto scrutinio appannaggio di Rodotà siano stati di franchi tiratori equamente divisi tra seguaci del berluschino e feddayn della Volpe del Tavoliere. In particolare durante la solenne trombatura senza vaselina dell’incolpevole Romano Prodi, quei voti in più per Rodotà (credo 46) siano venuti da parte dalemiana e renzina, che ovviamente hanno avuto buon gioco a carbonizzare i due Professori in una tornata unica. Perché, ci si chiede, quei voti sono confluiti sul celebre giurista? Perché i furbetti volevano addossare la responsabilità tutta sulle spalle di SEL, che, a sua volta avvertito, a detta di Gennaro Migliore, ha “marcato” il proprio voto ‘R. Prodi’ (come la Presidente della Camera non ha mancato di sottolineare). I voti per Rodotà di matrice renzi-dalemiana dovevano coincidere col numero dei delegati di SEL, per fottersi i vendoliani. Alla quinta tornata i ‘Napolitano Giorgio’, ‘Giorgio Napolitano’, ‘G. Napolitano’, ‘Napolitano G.’, ‘Napolitano’ e basta si sono sprecati: ogni tribù ha marcato il proprio territorio per contarsi e riconoscersi, in perfetto stile voto Platì.
Mi spiace aver scritto tutte queste cose tediose. Ma era per dar conto sino a qual punto il livello dell’illegittima classe di nominati che bivacca nel Palazzo è subdola e schifosa. Altro particolare: i mandanti del delitto perfetto a Prodi e Rodotà stanziavano tutti e tre fuori dall’emiciclo, come si addice ai perfetti killer al di sotto di ogni sospetto, per non lasciare impronte. Uno era a Firenze, uno faceva l’Aventino, l’altro si trovava in Cina, ma il suo telefonino grondava di roaming verso l’Italia.