Anna Lombroso per il Simplicissimus
Pochi romanzi hanno influenzato la coscienza politica del Novecento come “Buio a mezzogiorno”di Arthur Koestler, o “La confessione” di Artur London, che svelavano il terrificante meccanismo dei processi staliniani in cui l’imputato si autoaccusava dei peggiori crimini, identificandosi con l’inquisitore, diventando il carnefice di se stesso. Niente a che vedere con l’epurazione in streaming del senatore laziale Marino Mastrangeli,colpevole di aver violato lo statuto del movimento con la sua partecipazione al programma pomeridiano della D’Urso, e che, proprio per la potenza dell’accusa e la debolezza della D’Urso, ci tenta di dare ragione agli improbabili inquirenti.
Sempre in uno streaming imbarazzante una larga maggioranza della direzione Pd ha votato la cambiale in bianco per il sostegno al governo con il Pdl, “imposto dalla storia”, secondo Franceschini, che rende noto che chi non appoggerà la “larga intesa”, verrà automaticamente espulso dal partito, senza nemmeno processo.
Insomma due organizzazioni, volatili proprio come la turbo finanza, che non sanno essere né movimenti né partiti, coprono con l’autoritarismo dispotico, con il cieco integralismo e la memoria del centralismo il vuoto di identità, di principi, di valori e di idee. In ambedue i casi, i cittadini 5stelle chiusi nella cittadella delle decisioni o i democratici rinserrati nel loro fortilizio minacciato e percorso da veleni e patologie mortali, trasmettono la percezione di enclave separate e distanti, conservatrici per definizione o per nuova annessione, di quote di potere, di segmenti di privilegio, di promesse o consolidate rendite di posizione, a tutela dei quali si stringono le fila, ci si oppone preferibilmente nel segreto dell’urna, si prevengono esternazione proibendo l’espressione, si richiama alla ferrea disciplina.
Siamo oppressi da un ceto partitico, tutto – se i cittadini dipendono dal loro leader “impolitico” dietro al velo labile della consultazione in rete – che delega la cosa pubblica, le decisioni, i diritti, la politica per intero, perfino l’autocritica, ad altro, superiore, centralizzatore per funzione e vocazione.
La feroce indifferenza per l’interesse generale, l’irritata distanza dal bene comune si materializzano nella trasmissione di funzioni e scelte a un potere interamente sostitutivo. Altro che spirito gregario, bisogno di direzione e sottomissione delle masse, quella vocazione alla delega cui dà risposta la fisiologica sete di comando dei capi. Un sistema elettorale che, malgrado la sempre più robusta erosione dell’assenteismo, premia i pre-eletti, elezioni chiaramente minate da differenze e disuguaglianze originarie delle formazioni e dei leader, oltre che sostanzialmente inutili, se, ridotte a stanche liturgie, ne è avvilito ed umiliato l’esito perché tutto resta uguale, rendono superfluo il consenso, ripugnante la verifica dell’efficacia, formali i voti, utili solo per legittimare l’illegalità del ricorso alla fiducia e della prepotenza della “maggioranza”.
Una volta era convinzione sociologica diffusa, che le èlite, i capi, fossero migliori delle masse, le loro eccellenze insomma. Oggi le aristocrazie di ieri, secondo la folgorante definizione di Bovero, sono diventate le cachistocrazie, il “governo dei peggiori”, estranei alla vita concreta, segnati dal vizio del privilegio e dallo spirito di fidelizzazione al potere e alle cerchie, senza competenza né merito. Ostili all’impegno, al sacrificio, al coraggio, inclini per indole all’ubbidienza al “superiore”, all’influente, al “ricco”, ben collocati nel sistema di corte, dove sono egemonici i costumi servili, la simulazione, l’adulazione, il cinismo, la venalità e la corruzione, fino all’ammirazione per personaggi di comprovata immoralità e di accertata potenza di contaminazione, segnati dal marchio della vittoria.
Se Berlusconi è il volto prestato alla politica da un “ tipo” italiano, anche Franceschini, anche Letta, anche Crimi, anche Lombardi, anche Casini lo sono. Sono i peggiorocrati. Non è di moda l’autocritica, a meno di non delegarla ad altri. Ma in suo nome, guardiamoci intorno e cerchiamo tra noi le idee migliori che trovino buone gambe per farle camminare.
Studente lavoratore lo sono stato anch’io, abbastanza a lungo da imparare il significato di impegno e fatica, senza falsa retorica e, soprattutto, senza tornaconto.
La leggo sempre con grande interesse, pur non condividendo tout court ogni cosa che scrive in questo blog scoperto per caso, che sto cercando di far conoscere il più possibile.
Non si ritenga offesa dal riferimento, del tutto casuale, alla laurea in filosofia. Non ho mai fatto l’errore di sottovalutare il contributo, assolutamente rivoluzionario, della cultura all’emancipazione della collettività.
“I Peggiorocrati” è un azzeccatissimo neologismo e un brutto presagio sul destino che si ripresenta peggiorando se stesso: a due minuti di macchina da Weimar, vent’anni dopo la celebre “Repubblica”, costruirono Buchenwald.
Spero, in questo clima zeppo di reminescenze con un lugubre passato, di poterLa liberamente leggere ancora.
a dir la verità non apprezzo Grillo ma più volte e anche oggi gli riconosco abilità politica e anche un certo coraggio, qualità largamente assenti tra i peggiorocrati. Anche lui non ha competenze e difetta di creatività, sta là attaccato alla ammuffita decrescita. E sono indulgente con le sue trovate retoriche, anche se alla rivoluzione preferisco la Comune. Soddisfatto? Vede in effetti pur lavorando mi sono in effetti presa una laurea in filosofia, a differenza di vecchi e nuovi leader, e scrivo liberamente quello che penso, proprio perchè assolutamente estranea a qualsiasi cerchio magico, di usignoli dell’imperatore, di opinionisti o di potentati. Tutti, anche quelli nuovi e molto esclusivi. E molto supponenti. E di lei e della sua contiguità con il popolo cosa può dirci?
L’elettorato italiano risece ad esprimere il proprio dissenso e la propria rabbia solo attraverso il voto a Grillo.
E allora?
Anna Lombroso ci offre la solita analisi, al solito ricca di pregevoli riflessioni, mostrando tangibilmente quant’è largo il solco che separa chi lotta per sopravvivere e chi, bontà sua, mette i propri strumenti culturali ed il proprio tempo a disposizione delle masse da emancipare.
Le stesse che, ingrate, anziché valorizzare il prezioso apporto di cotanti solerti intellettuali dediti alla causa comune, scelgono un capopolo arabbiato, perdipiù maleducato.
Perchè il vero obiettivo dell’articolo è proprio il M5S, inviso alle aristocrazie intellettuali come tutti i movimenti di popolo, troppo distanti e diffidenti dalle masse che pretendono di difendere, per accettarne un qualsivoglia tentativo di rappresentanza che non passi attraverso la loro mediazione.
Allora, Dottoressa Lombroso, cosa consigliamo alle genti affamate di diritti e certezze, che una volta definivate “proletariato”?
Di prendersi prima una bella laurea in filosofia?