Vogliamo il dibattito a due, a tre a sei? Oppure siamo propensi alla fatidica frase “e chi sene frega”? In tempi normali ci saremmo sentiti orrendamente populisti e superficiali. Invece visto che viviamo qui e ora, dentro un’atmosfera decisamente marroncina, l’argomento s’inverte e nulla appare più qualunquistico e desolante che una cascata di banalità da leader, che serve solo al giochino mediatico del chi ha vinto e chi è stato più “convincente”. Pura politica d’immagine, quella dominante da trent’anni e che adesso pian piano si svela per essere una raffinata forma di non politica.
Davvero può fregare a qualcuno di ascoltare Bersani, Monti e Berlusconi, il buono, il brutto e il cattivo che per un anno sono stati come Laocoonti avvinghiati dentro un massacro insensato? E che ora tacciono, straparlano, promettono e sanno di mentine? Certo se ci fosse qualcuno a fare le domande giuste, ma immagino che a nessuno sfugga come oggi le domande giuste siano solo quelle che possono essere eluse, perché i media non funzionano come controllori, ma piuttosto come pali. Bene l’unica domanda decente sarebbe di chiedere ragione, in primis al presuntuoso professore della distanza siderale che c’è tra le previsioni del governo alla presentazione del decreto Salva Italia e la realtà che abbiamo sotto gli occhi.
Per il 2012 il governo dei tecnici competenti aveva previsto una riduzione del Pil di appena lo 0,4% e una ripresa dell’ 1%nel 2013. Invece abbiamo avuto il calo più drammatico dal dopoguerra: -2,1% secondo Bankitalia, -2,7% secondo altri centri analisi economica. E per quest’anno si prevede un ulteriore calo dell’ 1%. E a questo, oltre ai drammatici tagli della spesa sociale, gli errori clamorosi dell’esperta Fornero, vanno aggiunti le 300 mila persone in più espulse dal lavoro, i 3 milioni di disoccupati, il mezzo milione di persone in cassa integrazione. Paradossalmente in quello stesso decreto Salva Italia il deficit tendenziale per il 2012 lasciato dal governo Berlusconi era calcolato al 2,5% del pil e attraverso la manovra ci si proponeva di ridurlo all’1,6% e addirittura allo 0,5% nel 2013. Ora sappiamo che il deficit reale è superiore a quello che sarebbe stato senza alcuna correzione.
Ma non è che tutto questo sia venuto fuori all’improvviso, già nei primi mesi dell’anno scorso era evidente non solo la valenza politica di stampo conservatore ( a dir poco) dei provvedimenti messi in piedi, ma anche il loro fallimento sul piano economico. E tuttavia fino al’ultimo la fiducia non è mancata ai tecnici, persino il penultimo giorno sulla follia degli F35, con la scusa risibile del prestigio ritrovato dal Paese che non era se non l’ubbidienza cieca ai comandi di troike e burocrati. Ecco perché un dibattito serio a due o tre non potrebbe che essere che un atto di accusa.
Complimenti!
Ottimo articolo e lucida analisi di una grave manovra “ammazza Italia”, ingenua quanto espressione di forte imperizia (e meno male che parliamo di “tecnici”), che ha innescato una prevedibile spirale di recessione con avvitamento su se stessa come un aereo in stallo sul quale viaggia solo il popolo, mentre gli sprovveduti e presuntuosi “piloti”, che si autodefiniscono “sobri” ma agiscono da ubriachi, vivono agiatamente sulla torre d’avorio, totalmente distaccati dalla realtà che pulsa esprimendo profonda sofferenza, recepita con cinico menefreghismo, senza riflettere sulle prospettive delle nuove generazioni, telecomandando a distanza l’importante transatlantico.
E’ ora che si “piloti” dalla cabina di pilotaggio, con perizia, onestà, senso di responsabilità e professionalità, ponendo in essere manovre congrue rispetto al fragile contesto, al di là di interessi personali o lobbistiche.
E’ ora che il cittadino s’impegni, assumendosi la responsabilità d’informarsi con consapevolezza, scegliendo le fonti più attendibili, e partecipando all’amministrazione della cosa pubblica con sempre meno deleghe rappresentative, ormai superate visto che tali rappresentanti hanno e stanno ampiamente dimostrando, vergognosamente, di interessarsi solo al proprio egoistico “particulare”.
Marco Capparella
Penso che la crisi dipenda in gran parte dal credit crunch che non è imputabile ai cittadini dei paesi sviluppati, ma ad errori grossolani di politica economica da imputare alla permissività dei governi e delle banche centrali nonché a mancanza di controlli sulle truffe alla Ponzi messe in piedi dalla liquidità eccessiva del sistema finanziario. Quindi la sola soluzione per iniziare a risolvere la crisi è di ripristinare il credito bancario in forma virtuosa e senza permettere strane speculazioni. I partiti politici hanno tutti fatto promesse, ma nessuno è voluto intervenire su questa soluzione ad eccezione del Partito Comunista dei Lavoratori. La proposta di Ferrando è l’unica (che strano) dovrebbe essere intrapresa da una società liberale. Poiché il sistema bancario è fallito e vive sui titoli di Stato acquistati con capitale di prestito della banca centrale è evidente che andrebbe nazionalizzato. In seguito a questo intervento il debito pubblico verrebbe abbattuto per annullamento dei titoli di Stato detenuti dalle banche in quanto ritornerebbe di proprietà dell’emittente. Una larga fetta degli 80 + 70 miliardi di interessi sui titoli pubblici verrebbe drasticamente ridotta. Queste risorse potrebbero servire per ripristinare un credito virtuoso a privati ed imprese. E da qui si otterrebbe una ripresa dell’economia e ci si lascerebbe alle spalle il grosso della crisi. Tuttavia c’è un altro elemento di cui, per interesse contrario a quello dello Stato, i politici non parlano. I criteri di austerità del bilancio di spesa dello Stato dovrebbero tornare alle condizioni ante riforma Andreatta (1982). Le spese a breve termine dello Stato devono essere coperte da signoraggio e tasse; quelle a medio e lungo termine da titoli di Stato di nuova emissione garantiti dal ritorno macroeconomico degli investimenti pubblici.
Quindi non si deve cadere nelle trappole come la TAV e il ponte sullo stretto che saranno causa di deficit statale quando saranno completati.
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