Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non c’è via di scampo, ogni ingresso su Facebook, ogni tentativo di pubblicare una notizia e dei dati viene sottoposto a occhiuta pratica di controllo della “congruità” con la comunicazione ufficiale.

Anche volendo stare solo a guardare lo struscio dal davanzale virtuale, tocca esultare per l’aggiornamento in tempo reale su contagi o decessi, ma se uno vuole collaborare alla conoscenza è tenuto a sapere che per la misteriosa applicazione di algoritmi arbitrari il suo contributo potrebbe essere rigorosamente cassato senza pietà.

A me è successo con un post  che riportava pedissequamente i risultati di accertamenti condotti dall’Oms, l’ente cioè cui viene fatto costante riferimento come  indiscutibile autorità in materia, giudicato una fake malgrado la fonte cui avevo attinto.

Ricordo che la prima volta che sono stata resa edotta del rischio sociale e morale costituito dalle “bufale”, lavoravo nell’informazione, scrivevo quotidianamente per un blog e frequentavo i social.

 Ero abbastanza disincantata da aver smesso da tempo di rimpiangere quegli uffici e quegli “ufficiali” un tempo presenti nei giornali con il compito di verificare autenticità e fonte delle notizie – il più famoso e tante volte ricordato era quello del New Yorker –  e anche da non nutrire più illusioni sulla coerenza della corporazione alle indicazioni per il responsabile esercizio della professione secondo Brecht, ma pure sul rispetto della regola delle 5 w, da quando con tanto di manifestazioni in piazza si è rivendicato il diritto e non il dovere di informare.

Chiunque fosse sufficientemente smaliziato aveva  capito da subito che non si trattava di una preoccupazione che riguardasse il pubblico e la gente comune: non a caso la richiesta di controlli, l’esigenza di “regolare” in modo da aiutare il senso di orientamento del popolo confuso da analisi e dati contraddittori ebbero inizio in occasioni “elettorali”, quando partiti, decisori e stampa mainstream cominciarono a nutrire il timore che di condizionamenti che avrebbe “adulterato”  la trasparenza dei pronunciamenti.

E’ successo proprio in coincidenza con referendum, che anticiparono emblematicamente la tendenza ormai irresistibile a dividere i cittadini in fazioni e tifoserie, con il risultato paradossale di far dimenticare i plebisciti traditi, dal nucleare all’acqua pubblica, così come quelli “rimossi” grazie a manipolazioni costituzionali a norma di legge o di Dpcm, come è accaduto da quando vige il dominio delle emergenze che trasformano ogni evento e ogni intervento in problema da fronteggiare con leggi eccezionali, commissari speciali e provvedimenti di ordine pubblico.

Non a caso gli squilli delle trombe dell’apocalisse in difesa della verità hanno segnato l’inizio delle campagne condotte contro i “nuovi media”, siti, blog, stigmatizzati e criminalizzati a causa della “libertà” lasciata ai lettori e ai produttori di pensiero e opinione, grazie anche ad accordi sottoscritti con i grandi operatori della rete da istituzioni sovranazionali (la Commissione Europea ad esempio) e autorità interne di regolazione dei vari Paesi, determinati a limitare espressione e divulgazione quanto si mostrano invece tolleranti con l’esuberanza commerciale e la mercatizzazione dell’informazione attuate dalle mayor diventate piazziste di svariate merci: valori, principi, consenso, paura, passioni, prodotti e soprattutto dati da raccogliere e rivendere profittevolmente.

Attività quest’ultima che sarebbe doveroso tutelare in quanto componente irrinunciabile della crescita, proprio come i rapporti che si tengono con altri despoti impegnati in stragi che vanno oltre quella ai danni della verità, in nome della implacabile real politick, mentre è vitale circoscrivere e punire gli operatori e anche i fruitori delle “camere dell’eco”, colpevoli della diffusione di messaggi e, peggio ancora, della loro disintermediazione che dovrebbe essere affidata unicamente addetti ai lavori “ufficiali” in grado di esercitare una efficace selezione.

Avessimo il tavolino a tre gambe chissà come sarebbe frastornato Orwell per il processo accelerato che ha subito la verifica delle sue profezie, grazie al sopravvento delle “politiche della verità” entrate a far parte dei sistemi di governo e alla concomitanza con il grande accidente occorso al mondo occidentale alle prese con un’epidemia i cui effetti sono dichiaratamente provocati oltre che aggravati dalla hubris del capitalismo che ha ammazzato il vecchio e impedisce al nuovo di nascere.

Non stupisce che uno dei paesi europei dove si è accanita di più la falange impegnata nella repressione delle bufale pre covid sia stata la Grecia, diventata anche grazie ai buoni uffici del nostro attuale presidente del consiglio il laboratorio per l’assassinio della democrazia anche grazie al veleno diffuso per demolire l’istituto referendario, per tacitare la controinformazione, per censurare qualità e numero delle vittime dell’austerità. Deve essere proprio una specie di legge del contrappasso che raccomanda il tradimento della storia per impedire il riscatto di oggi, se uno dei pilastri della democrazia, raccontato da Aristotele, consisteva nell’accesso libero  dei cittadini all’Agorà, con altrettanto libero diritto di parola per domandare conto alle autorità e ricevere risposte.

Ormai dappertutto, anche nella retorica, internet ha smesso di essere definito la piazza della polis globale, per limitarlo a essere la piazza del mercato, dove si commercia e negozia ogni cosa, convinzioni, opinioni, pareri, l’immagine di sé che si vuol dare, l’immagine degli altri che si vuol demolire, le icone a pronto consumo, il potere di influenza e quello di persuasione.

E d’altra parte non sorprende  che l’eutanasia delle ideologie del passato, sostituite dall’unica che abbia corso, il neoliberismo, abbia comportato  ogni forma razionale di argomentazione pubblica, preferendole le battute contate sui social su cui si forgia anche la comunicazione istituzionale con le sue varie declinazioni e le sue conseguenze  aberranti, se  agli scialbi ermetismi – che da ieri rimpiangiamo- di Draghi si oppone Cecchi Paone che forte del suo hastag “Mariorispondi”   viene ammesso in conferenza stampa, se ogni giorno Twitter è il teatro delle scaramucce e dei rinfacci di ministri e parlamentari, se per concedere un po’ di guazza al populismo youtube che chiude Byoblu apre ai filmati di Calenda che a guisa del celebre nonno mette in scena le sue diatribe vernacolari con un eroe di reality reo – e vorrei anche vedere – di contare su più follower di lui.  

In tutto questo marasma a rimetterci è la Verità, concetto tanto abusato da essere sfocato, ridotto com’è a stilema retorico e arcaico, che è moderno e ragionevole ridicolizzare, proprio come quando ogni pretesa etica diventa moralismo, proprio come quando il “pluralismo” nell’attuale eclissi democratica viene convertito nell’offerta di pareri e dati contraddittori, volutamente confusi, valorizzati come contemporanea e fertile adattabilità alla complessità del mondo. Proprio come succede da quando è più fecondo nutrire la sfiducia con la paura, in modo da instaurare la necessità di affidarsi ciecamente a autorità superiori e dogmatiche, inconfutabili e insindacabili, le religioni, insomma, le idolatrie che non concedono il dubbio, le divinità, dalla medicina al mercato, che poi, si sa, spesso coincidono. (segue)