Anna Lombroso per il Simplicissimus

7 dicembre, la stampa locale esulta: “E’ rimasto sempre sollevato, anche durante la notte, il sistema di barriere del Mose, e così ha evitato che su Venezia si verificassero tra ieri e oggi due punte di acqua alta di 130 centimetri. La schiera di paratoie, eccetto per l’abbassamento ieri di Malamocco, per il transito di alcune navi, è in funzione da quasi da 40 ore consecutive, evitando per Venezia una pesante alta marea”.

8 dicembre, la stampa locale si rammarica: “Venezia di nuovo alle prese con l’acqua alta, che oggi si è ripresa la città a causa del fatto che il Mose – che l’aveva difesa negli ultimi giorni – non è entrato in funzione…“. sarebbe stato il meteo a mettere sotto scacco la città facendola finire sotto 138 cm. di acqua.

Perché il Mose non è stato azionato?” illustra Cinzia Zincone, a capo del Provveditorato alle opere pubbliche del Nordest, alla guida della cabina di regia del sistema di dighe mobili, insieme alla supercommissaria Elisabetta Spitz. “Siamo in una fase sperimentale, nella quale si alza quando c’è una previsione di 130 centimetri: l’allerta viene data 48 ore prima, per permettere non solo di emettere le ordinanze per la navigazione ma anche per convocare le squadre operative“. E aggiunge:  “Nonostante a Venezia si parli di ‘strucare el boton’ (pigiare il bottone), in realtà l’operazione nasce con molto anticipo e va preparata“.

Meno di un mese fa il commissario straordinario incaricato “di riportare il diritto” nel Consorzio Venezia Nuova,  il soggetto cui era stata affidata la  lotta della città contro il mare grazie alla realizzazione del sistema Mose, è stato delegittimato dalla ministra De Michela, infastidita dalla sua caparbia contrarietà alla nuova Agenzia per Venezia, altro mostro giuridico chiamato a sostituire il Magistrato alle Acque.  

In realtà in cinque anni e mezzo l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo aveva commesso più volte il delitto di lesa maestà per aver fatto el pulci alla gestione contabile, certo, ma anche per aver dichiarato, come si legge nella relazione in merito alle consulenze del Consorzio e nei resoconti delle sue audizioni presso le Commissioni parlamentari, che il malaffare non consisteva solo nel sistema di corruzione, nello scambio di mazzette, incarichi, nella collaudata organizzazione dei profittevoli ritardi che incrementavano i profitti di imprese e vigilanti, ma anche nella combinazione di inefficienza e incapacità dimostrata negli anni, che aveva condizionato scelte di materiali, cambiamenti in corso d’opera, qualità delle risorse manageriali e tecniche espresse dalle cordate di aziende impegnate.  

E quando il 3 ottobre scorso trionfalmente vennero alzate le barriere per una specie di inaugurazione a poco meno di una anno dall’acqua granda  del 12-13 novembre, suonò come un malaugurio la sua prudenza sui tempi e le speranze di salvezza della Serenissima, confermata peraltro il giorno dopo quando a poche ore dalla festa l’acqua ha invaso la Piazza, perché la grande opera ingegneristica, il prodigio in terra che deve salvare la città dai flutti ci sta un bel po’ più di un ponte levatoio del castello, perché la procedura impegna uomini e mezzi oltre a un bel po’ di quattrini, perché la tutela della città si scontra con il passaggio delle navi, perché tenere le barriere alzate trasforma la laguna in una pozzanghera maleodorante e avvelenata.. perché, perché…

Perché c’è un evidente errore progettuale che parte da lontano quindi, dalla scelta di una realizzazione “pesante” e macchinosa, quella ingegneristica, che per entrare in azione con il suo congegno si affida a previsione meteorologiche e climatiche non sempre affidabili e che ha bisogno di un certo lasso di tempo per sollevare le sue barriere.

Mentre, anche senza avere l’avvedutezza e lungimiranze di ipotizzare fenomeni esterni, quelli legati al cambiamento climatico all’eustatismo e alla subsidenza (notoriamente aggravati oggi dalla pressione dell’opera stessa) a particolari effetti dei venti, era invece necessario immaginare soluzioni “automatiche” e leggere, quelle alla base di altri progetti subito cassati, quelli idraulici e matematici per i quali non occorreva andare in Olanda o chissà dove, bastava Padova, che si conciliavano con l’opportunità di predisporre un complesso previsionale, di allarmi e meccanico che intervenisse con tempestività e immediatezza nel caso di maree “anomale”, magari anche un po’ sotto quei 130 cm, che comunque allagano la Piazza,  e che con altrettanta rapidità cessasse una volta passato il pericolo.

Quante volte dovremo ancora prendere atto che quando c’è un problema che riguarda le nostre vite, si incarica di risolverlo chi l’ha creato? Non era evidente che la salvezza di Venezia, che affonda virtualmente e concretamente per via di scelte economiche, industriali e immobiliari, era stata “consegnata” ad una cerchia di malaffaristi della politica e dell’imprenditoria, una vera e propria cupola che ha messo in piedi una “machina” speculativa e corruttiva “incontrastabile”, come vogliono farci credere che siano i cosiddetti fenomeni naturali, adesso le malattie, i morti per incuria, profitto, sfruttamento?

Venezia muore. E non di morte naturale, vittima di omicidio premeditato (ne ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2020/07/10/mose-e-gli-adoratori-del-vitello-doro/)  ad opera di un sistema che tante volte ho definito una cupola mafiosa allo stesso modo di quella che ha infiltrato la Capitale e altri siti dove la compulsione bulimica delle grandi opere ha perfezionato il corto circuito politica sporca- affari sporchi, quando gli interventi e gli investimenti non vengono programmati per un utile generale, ma solo per il profitto degli attori interessati, quelli che pretendono voti, consensi, finanziamenti, e quelli che pagano in vista della prossima accumulazione di denaro e rendite di posizione.