La cosa davvero straordinaria e avvilente insieme è che dentro la querelle intorno a Napolitano e alle manovre per portare Monti a Palazzo Chigi, vengono prodotte quantità industriali di ipotesi, scenari e chiacchiere, mentre sono del tutto trascurati gli interrogativi più ovvi, le considerazioni più evidenti, le dolenti note dell’Italia trascinata nel declino: chi “consigliò” e impose a Napolitano, già dal giugno del 2011, una sostituzione di Berlusconi con Monti senza passare per il vaglio delle elezioni che avrebbero visto vincitore il Pd? Quali poteri lavorarono per creare la situazione di emergenza che rese possibile concretizzare il piano e gettare il Paese in un clima di allarme e di paura che ha consentito di mettere mano allo sfascio dello stato sociale in nome dell’austerità?
Non certo Berlusconi che fu estromesso, non certo Bersani e men che meno si trattò di capricci in proprio dell’uomo del Colle che infatti ha trovato modo dire che la scelta del professore fu tema di approfondite consultazioni. Consultazioni con chi, con i corazzieri? Ieri ho provato a dare una risposta ipotetica, ma concreta: con il sistema di potere che fa riferimento alla Merkel e ai potentati finanziari di cui Monti era un figlioccio, con il benestare degli Usa. Una tesi tutt’altro che azzardata viste le prese di posizione della cancelliera nell’autunno scorso ( vedi qui e qui ).
Che da allora l’Italia sia entrata in uno stato coloniale nel quale una politica di miserabile cabotaggio ha come unico scopo e senso quello di “stare ai patti” europei lasciandosi come spazio di libertà solo la difesa accanita delle proprie rendite e quelle della classe dirigente, non può sfuggire a nessuno. Ma come si vede dalle domande che non ci si pone di fronte al caso Napolitano, ci troviamo di fronte a un caso di evidenza inconfessabile, sulla quale viene steso un tappeto di europeismo peloso e convenzionale che purtroppo anche gran parte della sinistra residuale ha fatto proprio per interessi di bottega delle piccole elites rimaste quando non di riformisti occasionali che aspettano un passaggio per Strasburgo, prendendo a noleggio Tsipras.
L’evidenza inconfessabile da noi, è peraltro esplicita in Germania: la cancelliera tedesca dopo aver messo a punto il governo della grosse koaliton con i socialdemocratici , ha chiaramente snudato la spada di Brenno nel dicembre scorso, sostenendo “Prima o poi, senza la necessaria coesione, l’Euro esploderà”. Il clangore della lama sul piatto della bilancia si è sentita fino in Australia, ma non da noi, dove l’astuta formulazione è stata spacciata da pusher mediatici per il germe di un’Europa più solidale o “tagliata” con il miraggio di fantomatici aiuti e piani Marshall. In realtà la coesione della Merkel non stava certo ad indicare un sistema di trasferimenti finanziari che implicherebbero, secondo calcoli specifici, passaggi dalla Germania verso la periferia tra i 220 e i 232 miliardi all’anno, una cifra sotto il cui peso l’economia tedesca crollerebbe e che dimostra efficacemente come pensare di uscire dall’austerità mantenendo l’euro, sia solo un non senso, giusto la preghierina della sera. Peccato che non sia la testata di un quotidiano.
In realtà mentre la Corte Costituzionale di Karlsruhe tiene a bada le idee piuttosto vaghe di federalismo europeo dichiarando che la Ue è un’organizzazione internazionale il cui ordinamento è derivato dagli stati che mantengono la padronanza dei trattati, la Merkel, come ha sostenuto nel contesto della frase sull’euro riportata, pensa a contratti vincolanti fra Berlino e singoli Paesi del Sud Europa, modulati inizialmente attraverso il Fiscal compact e il Mes, atti a far sì che gli stati della periferia sopportino i costi di adeguamento necessari alla sopravvivenza dell’euro, mentre la Germania sarà l’unica a trarne profitto. Recentemente gli economisti Laurent Faibis e Olivier Passet hanno pubblicato su Les Échos un saggio in cui spiegano perché l’euro può giovare solo a un Paese stabilitosi al vertice del processo industriale e perché, invece di mettere la moneta unica al servizio dell’economia, è l’economia ad essere sacrificata in nome dell’euro.
Insomma il progetto Merkel, imperniato sulla moneta unica, non ha niente a che vedere con l’Europa diversa che ci si aspetta, si vagheggia, si prega, anzi ha piuttosto a che vedere con la creazione di un organismo parallelo e antitetico alla Ue che veda la Germania al centro di una rete di trattati di ferro di carattere sia economico, sia politico -sociale. Le recenti dispute in Grecia in seno alla troika, ma anche questa vicenda italiana intorno al Quirinale e ai suoi evidenti suggeritori, dimostrano che si sta andando proprio in questa direzione. Forse sarebbe il caso di comprarci una bussola, invece di chiedere indicazioni per strada.
Condivido ogni tua parola così come ogni tua osservazione a riguardo, e per il fine, del solo ed unico vero interesse, che gli Usa ( scriviamolo pure per intero) hanno, nella volontà di mantenere un certo predominio di controllo sulla vecchia europa; a livello economico… e non da meno a livello di strategie militari, il che per loro, purtroppo, non guasta mai. Piacere mio di averti incontrato, Roberto.
Grazie per l’apprezzamento, Carlo, se ci fosse un quotidiano online incentrato più sulla geopolitica che sulla politica sarebbe bello potervi contribuire con le varie scoperte che si fanno andando in giro per internet. L’ultima, per esempio, è abbastanza sorprendente e la devo, come spesso mi succede, a Giorgos Delaktis, il bloggista greco, che in un post pubblicato l’altroieri su Ethnos mi ha fatto notare una cosa che mi era del tutto sfuggita.
Tutti abbiamo letto della polemica riguardante Victoria Nuland, la diplomatica statunitense che cura le relazioni estere del suo paese con l’Unione Europea e che ha mandato a quel paese la UE con un linguaggio pittoresco (“fuck the EU!”).
In realtà, l’intercettazione che i russi hanno divulgato riguardava ben altro! La BBC l’ha pubblicata qui: http://www.bbc.co.uk/news/world-europe-26079957
Come si può leggere, la Nuland, parlando al telefono con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, discute nei dettagli di come formare il prossimo governo ucraino una volta sloggiato l’attuale primo ministro. Hanno già i loro candidati sia per il posto di primo ministro che per i leader dell’opposizione!
Questa intercettazione dimostra quanto segue:
– la famosa opposizione ucraina, lungi dall’essere un fenomeno spontaneo, è teleguidata da Washington al 100%;
– gli Stati Uniti sono colti in flagrante nell’atto di decidere i nuovi assetti politici di un paese straniero e questo sia a livello di nuovi leader di governo che di nuovi leader dell’opposizione, secondo la teoria dell’infiltrazione totale che vede la necessità di avere propri uomini al governo, all’opposizione e alle ali estreme in modo che il controllo remoto della politica di uno stato estero sia il più possibile totale;
– la stampa mondiale è anch’essa colta in flagrante tentativo di depistaggio nel senso che, una volta rivelata l’intercettazione, fa di tutto per impedire all’opinione pubblica di coglierne la reale portata e utilizza a questo scopo l’arma attenuatoria del gossip: infatti “fuck the EU” significa solo “al diavolo l’Unione Europea” e in una conversazione che si suppone privata non ha neppure le stimmate tecniche dell’insulto;
– i politici tipo Merkel fanno finta di indignarsi per il gossip mentre in realtà fanno gioco di squadra con la stampa mondiale per distogliere ulteriormente l’opinione pubblica dai fatti che l’intercettazione rivelava;
– i cosiddetti politici dell’opposizione anti-austerità stanno doverosamente zitti sia in Italia che in Grecia visto che hanno probabilmente un debito di riconoscenza verso chi li teleguiderà se dovessero un giorno andare al governo. Anche il sito di Rifondazione Comunista, ormai stretta l’alleanza con la lista Tsipras, tace sull’argomento.
Sulla base di ciò, non è difficile interpretare come eventi telepilotati da Washington anche tutti i rivolgimenti assurdi che vediamo accadere da noi in questi mesi, dai Monti che lasciano il passo ai Letta ai Bersani che lasciano il passo ai Renzi. In fondo, di solito, squadra che vince non si cambia ma da noi vediamo l’assurdo che si cambia tutto per nessun apparente motivo. Perché Letta è “condannato” a cedere il timone a Renzi? Se guardiamo le cose dal punto di vista stellostrisciato lo comprendiamo immediatamente: ci sono le elezioni europee e la sinistra delusa rischia di votare in parte per i partiti della protesta anti-austerità. Ecco perché è essenziale che Renzi subentri a Letta prima delle elezioni europee così da rivitalizzare la sinistra mortificata e assicurarle un voto plenario senza alcun sviamento verso le ali estreme (leggasi: lista tsipriota). Finite le europee e messo in saccoccia il risultato voluto, anche Renzi potrà essere rimesso in soffitta in attesa del prossimo leader utile.
..come dire: l’euro specchietto per le allodole con a capo la regione germanica a trazione anteriore? La leggo sempre molto volentieri Roberto, questo suo, ed anche altri precedenti, non fanno altro che avvalorare certe tesi del “Ilsimplicissimus…”, facendo emergere altrettanti interessanti punti di domanda. Complimenti.
Se fosse come dice Mr. Simplicissimus, l’Italia potrebbe con una semplice scrollata di spalle mandare a quel paese la Merkel. La Germania non ha alcun potere contrattuale particolare nei confronti dell’Italia, i due paesi hanno un interscambio commerciale che li rende interdipendenti, questo sì, ma senza che Merkel possa condizionare o, peggio, ricattare Letta perché ogni calcio dato all’Italia sarebbe comunque un piccolo o grande calcio dato anche alla Germania.
Né la Germania occupa un posto predominante fra i cosiddetti onnipotenti “mercati”. Chiediamoci: quanti fra gli 85 uomini più ricchi del mondo sono tedeschi? E quante fra le 100 banche più potenti del mondo? Quale grande agenzia di rating è tedesca? Quale grande agenzia di notizie risiede a Bonn o Berlino? Qual è stato il ruolo tedesco nello sviluppo di internet? Facebook è tedesca? Apple è tedesca? Neppure il sistema operativo Linux è tedesco!
Se si pensa il contrario, come mai fino allo scoppio della crisi la Germania se ne era stata buona buona? Cosa può aver fatto venire improvvise idee di grandeur alla Germania? Hanno per caso scoperto il petrolio o le terre rare nella Ruhr? A me risulta che hanno perfino rinunciato ad una preziosissima fonte di sovranità che è l’autonomia energetica: dicendo definitivamente no al nucleare, la Merkel ha lasciato agli odiati cugini francesi il monopolio dell’energia nucleare pacifica in Europa. Nessuno stato serio avrebbe mai compromesso in questo modo le proprie potenzialità future.
Qui stiamo rischiando di prendere sul serio non dei burattini, ma gli epigoni dei burattini, gente che prende ordini e che ne dà, è vero, ma solo perché qualcuno ha dato loro l’autorità di farlo.
La parola chiave, per giudicare queste vicende, è “sovranità”. La Germania, che non è neanche una nazione realmente sovrana, piena com’è di trattati segreti stipulati con gli Stati Uniti che la riducono a uno stato fantoccio, non può permettersi di fare alcuna politica autonoma e, se lo volesse fare, ogni stato periferico, perfino la Grecia, potrebbe proporre giustificatissime azioni di rivalsa per il mancato pagamento dei danni di guerra conseguenti all’invasione del proprio territorio.
Guardando alla reale distribuzione del potere geopolitico nel mondo, la Germania conta zero. Gli Stati Uniti, invece, contano infinito o giù di lì. E l’Italia? Conta zero, ma non meno dello zero che è la Germania, per cui ogni genuflessione dell’Italia verso questo paese va ricondotta al sommo potere che ci obbliga a genufletterci alla Merkel. Non vi è una particolare capacità intimidatoria in questa donna dal volto mite che i tedeschi stessi apostrofano con il nomignolo di “Mutti”, mamma, a significare che a parte l’aria rassicurante non ha alcun altro carisma particolare.
Il bello è che con questa immagine supervalutata della Germania qui da noi si intessono discorsi, si generano paure, si inventano mitologie, si immaginano delle soluzioni e ci si creano delle illusioni che non hanno alcuna ragione di essere. La Germania è solo il paravento, o parafulmine, del paese innominato e innominabile, è il suo luogotenente, il suo mandatario, il suo rappresentante, il suo area manager o come altro vogliamo dire. La soluzione al problema della crisi non sta a Berlino nella testa della Merkel ma a Washington nella testa di Obama.