Anna Lombroso per il Simplicissimus

Prima che vengano proibite come oggetto di culto popolare dell’impero del male, credo che siamo autorizzati a dire che questo conflitto in corso tra Russia e Usa/Nato è una matrioska all’interno della quale si muovono e si consumano altre guerre di conquista e sottomissione di paesi, un tempo sovrani, ora retrocessi a province remote senza altro destino se non quello di fornire territori e potenziali eserciti per lavoro servile e svariate imprese belliche.

Il dominio amerikano conta sui suoi attaché, il più ottuso e  solerte dei quali, il curatore incaricato di trattare il nostro fallimento, applica in questa fase le stesse procedure adottate nella precedente crisi:  dirottamento di investimenti dall’ economia ordinaria a quella di emergenza, che si traduce in profitti di case farmaceutiche o industria delle armi, demolizione del tessuto che costituiva la nostra economia reale: chiusura di piccole e medie attività produttive e commerciale, sostituzione di personale dotato di esperienza con risorse umane più ricattabili e meno specializzate, volontaria rinuncia a impegni finanziari e strategici nel welfare.

Più ancora di quella contro il nemico invisibile che insidiava la salute, bene e diritto primario da tutelare a costo di qualsiasi sacrificio, quella in corso è una guerra che mira occupare l’immaginario della gente per persuaderla che l’appartenenza in veste gregaria a un dominio egemonico e all’ideologia cui si ispira sia l’unica garanzia di sopravvivenza e di sicurezza sociale.

E intanto dietro a questo racconto rassicurante, malgrado la grande minaccia globale che contiene in sé, prosegue incessante l’affaccendarsi della speculazione, dello sfruttamento, dell’umiliazione del lavoro, della cancellazione di diritti e prerogative, l’abuso dei beni comuni e del territorio offerti in vendita a prezzi stracciati o concessi a titolo gratuito per usi militari.

E difatti nelle more del fallimento del Paese, ci sono macchine del malaffare che non saltano in aria.

Una di queste è il Consorzio Venezia Nuova, soggetto  inamovibile e inviolabile che promette la fine dei lavori del Mose, fermi da un anno, entro il 2024, rispetto a quella scadenza continuamente prorogata e stabilita ultimamente nel dicembre dell’anno scorso.

Il Tribunale Fallimentare di Venezia ha preso per buono il piano di risanamento della cordata di imprese che promette che in 18 mesi si possa completare il prodigio ingegneristico, già costato quasi 6 miliardi, con la messa in opera dell’impiantistica necessaria per rendere automatizzato tutto il sistema del Mose, grazie a un supplemento di costi di ulteriori 800 milioni, 200 inclusi nei 5 miliardi e 493 euro previsti nella convenzione iniziale e altri 538 deliberati dal Cipess lo scorso anno.

Il fermo di quasi un anno era stato motivato dalla scoperta inspiegabile di un buco di bilancio di 300 milioni, ingiustificato, mentre pare sia più che ammissibile una voce che si è aggiunta alle spese, quella relativa  ai servizi irrinunciabili di un alto consulente, inderogabili in prossimità della ripresa di lavori alla modica cifra di 600 euro al giorno.

Per fortuna che allo scopo di assicurarsi la competenza del super consulente, qualcosa è rimasto nel salvadanaio: nel 2021 erano stati stanziati 40 milioni da impiegare per l’ordinaria manutenzione di paratoie e cerniere, quelle arrugginite e invase da banchi di cozze,  che non sono stati spesi e che il provveditore Riva chiede possano essere spalmati sul bilancio in corso e adibiti a altre “priorità”.

La sprezzante sicumera degli oligarchi dimostra ancora una volta che non hanno bisogno di riconquistare consenso e reputazione, le acque grande non si manifestano d’estate, il Consorzio agonizzante ha ancora un po’ di ossigeno per fare e disfare la sua eterna ammuina, sporca e pulisci, scava e riempi, i pochi veneziani rimasti a prestare la loro opera in veste di osti, affittacamere, guide contano sul fatto che con i tempi necessari il primo giorno di alta marea si fronteggia, sperando che l’acme non si raggiunga nelle successive 24 ore, quando le paratie ostacolerebbero l’attività del porto commerciale.

E poi si è fatto il callo alla lentezza delle operazioni: l’innalzamento delle paratoie richiede cinque ore, perché come disse la più vulcanica delle autorità commissariale, l’opera è complessa e mica di può premere un tasto e tutto funziona. Pare che non funzioni niente in un prodotto ingegneristico pesante e macchinoso che doveva essere portato a termine, disse Zanda, il primo presidente del Consorzio, nel 1995!

Da allora secondo la Corte dei Conti dei quasi sei miliardi di costi, il mostro giuridico voluto da tutto l’arco costituzionale, Berlusconi, Prodi, e poi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte, sui quasi 6 miliardi di spese pazze si è incamerato ufficialmente 744 milioni, in forma di “compensi del tutto inusuali nel campo delle grandi opere realizzate sul mercato internazionale della gare d’appalto” e sui quali nessun governo ha pensato di fare le pulci così come nessuna forma di vigilanza è stata esercitata sui ritardi, sulla congruità dei lavori, sull’impiego di materiali scadenti, e meno che mai sui costi di gestione che oscillano tra i 30 e 100 milioni l’anno.

In realtà non serve più nemmeno un soggetto come il Consorzio, figura mitologica addetta a realizzare il sogno speculativo più profittevole, facendo di ogni problema  e crisi un’emergenza sanabile colo con misure eccezionali e poteri speciali,  in grado istituzionalmente di assumere su di sé tutte le facoltà in apparente contraddizione, fare e disfare, scavare e riempiere, controllare e essere controllati, progettazione e realizzazione, grazie alle licenze concesse da “leggi speciali di salvaguardia”  che nel solo novecento ammontano a 34, così sfacciato nella sua immunità da sfidare perfino l’Europa  che nel 2001 tenta di censurare l’Italia per gli aspetti monopolistici e lesivi del sistema dalla concorrenza nel rapporto Stato-Mose, ma si arrende di fronte e una serie di acrobazie giuridiche.

Adesso tutto è semplificato e non c’è più nemmeno bisogno di fingere di stare entro i confini della legge, una volta conquistato l’appoggio dei tribunali, compresi quelli amministrativi che spulciano ma poi mettono a tacere, delle autorità anticorruzione che sospirano ma rinviano la denuncia di operazioni opache in stato di avanzamento, rendendo impossibile tornare indietro, proprio come hanno imparato a fare i 5 stelle che hanno dimenticato ogni contestazione, consegnati alla realpolitik dell’ineluttabilità del già fatto e della paura di sanzioni, multe, penali.

E’ che ormai dovremmo aver capito che chi ci comanda ci odia, odia quello che è nostro, odia quello di bello che ci è stato consegnato e che potrebbe insegnarci orgoglio e indipendenza di giudizio, odia il Colosseo che vuol valorizzare con le bighe di cartapesta e i flash mob per animare le convention e l’apericena dell’entourage oligarchico, odia Pompei che torna alla ribalta con qualche scoperta a orologeria che rompe la monotonia dell’abbandono, odia la Sicilia che non vuole condannare aree sottratte alla servitù militare a diventare il circolo del golf dei ricconi globali,  odia la Sardegna oltraggiata e isolata più che mai dall’esercitazione Nato.

E odia Venezia, diventata un affare poco fertile da quando sono scemate le risorse  e è più redditizio svenderla coi pochi residenti rimasti  a multinazionali immobiliari e turistiche.

Dobbiamo ripagarli di ugual moneta.