Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ci sono abusi verbali e semantici ormai entrati nel linguaggio comune e accettati, come ad esempio l’aggettivo impopolare impiegato da decisori per definire misure che è difficile far inghiottire a una plebe riottosa, ma che in realtà significa l’adozione di disposizioni e azioni ai danni dell’interesse generale.

E che dire di controinformazione, stilema largamente usato dal ceto dominante per delegittimare e ridicolizzare informazioni, fatti, convinzioni in contrasto con la comunicazione ufficiale, da censurare o conferire nella discarica delle fake news. Inutile dire che chiunque possieda non solo proprietà di linguaggio ma anche un minimo di spirito di osservazione e  buonsenso  ha capito che i veri attentati contro una conoscenza dei fatti che contribuisca alla creazione di opinione oggettiva sono per mano dell’informazione “ufficiale”, da noi in particolare, dove il servizio pubblico è occupato dal sistema spartitorio e ispirato da obiettivi di carattere commerciale e dove i giornali posseduti da editori impuri e monopolistici sopravvivono grazie a ricattatori quanto ben accetti aiuti “governativi”,

Ora, da due anni, il giornalismo italiano è diventato il caso di studio per la verifica in campo della capacità profetica non tanto dei distopisti vanamente abusati sui social dai laureati all’università della strada, ma di filosofi e sociologi da anni impegnati a denunciare l’industria delle bugie.

E dire che hanno spopolato sui libri, nelle università compresa la Luiss che scarica i docenti fuori dal coro e prima che diventassero luoghi privilegiati del controllo sociale aiutato dal green pass, al cinema, nelle scuole RadioElettra di comunicazione, spopolavano regolette, manualistica e decaloghi per la corretta informazione nel rispetto di auree regole deontologiche, dalle 5 W (iniziali di Who, What, Where, When, Why) alle 10 di Kann.

Alle quali preferisco di gran lunga le raccomandazioni di Brecht per chi volesse combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità: «Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese».

Mentre invece in questi due anni, ed ora con una formidabile accelerazione, la stampa italiana ha acquisito la leadership di mercato nel comparto produttivo della falsificazione, dell’omissione, della manipolazione, della censura e dell’autocensura, confermando che la menzogna è un brand irrinunciabile per occupare lo spazio pubblico e condizionarlo alle leggi del totalitarismo vigente, si tratti di persuadere della necessità di imparare a identificare un nemico e di muovergli guerra, dell’obbligatorietà e utilità della rinuncia alla dignità e alla libertà personale e collettiva, dell’opportunità di assecondare politiche inique.

È servito a questo il culto farlocco della terzietà e obiettività del giornalismo anglosassone con i suoi miti letterari e cinematografici, anche quello posseduto dai demoni del sensazionalismo, della soggezione alle fonti che somministrano a comando indiscrezioni e scoop, della potenza di ricatto editoriale e delle lobby, con qualche rara eccezione che noi non abbiamo saputo replicare con l’abiura alla sfida investigativa, preferendo la comoda erogazione di veline a cominciare da quelle giudiziarie.

Eh si la pandemia è stata un laboratorio scientifico sperimentale per testare l’eutanasia dell’informazione, mettendo in pratica tutte le procedure d’uopo: dalla asportazione di parti sensibili della realtà, alla sua rimozione in tempo reale con la censura o a posteriori con l’oblio, con la sua spettacolarizzazione,  con la sua negazione a scopo profilattico in modo da non urtare sensibilità e coscienze, al camouflage per nascondere i danni e rassicurare fino all’elusione sistematica della verità condotta con tutti i mezzi, manipolazione dei numeri, manomissione di  dati e statistiche, cancellazione del confronto pubblico con la chiusura degli spazi di visibilità a critici, dubbiosi, eretici.

Una valanga di elementi contraddittori, confusi, contraffatti, ci è piovuta addosso creando un disordine cognitivo che poteva essere “riparato” solo con mezzi autocratici, repressivi, o inducendo la rassicurante narcosi introdotta del prodigio scientifico cui affidarsi fiduciosamente.

La minaccia della guerra è stata dunque provvidenziale nel momento nel quale l’edificio di fandonie ha cominciato a scricchiolare a conferma che anche Marte sa fare la sua parte nella cospirazione degli oligarchi contro i popoli e ha fornito l’occasione buona per replicare la sceneggiatura che ha avuto successo per due anni.

Ed ecco riavviata la pratica consueta di rimozione del passato, la mitizzazione del soggetto negativo convertito da demone, concetto superato anche per via dell’anatema lanciato contro un intenditore letterario, in pazzo narcisista e sociopatico sotto osservazione di clinici tornati e sedersi nei salotti televisivi, quella dei martiri celebrati in qualità di partigiani con gadget e propaganda, compreso il battaglione Azov assimilato da Repubblica agli inevitabili effetti collaterali, che spara sui fuggiaschi, sotto al titolo che attribuisce il crimine agli empi separatisti,  la mutilazione della storia fino alla sua cancellazione, secondo le regole deontologiche di Fubini: la Nato non ha mai invaso un Paese,  l’abbellimento moralizzatore dell’interventismo come necessario esercizio per garantire sicurezza ed euro-ordine sia pure a costo di sacrifici doverosi in termini pratici ed etici.

E d’altra parte l’Italia vanta un primato di collaborazionismo, dalla conquista di un Oscar per aver sostenuto che Auschwitz l’hanno liberata gli americano, all’aver partecipato attivamente a campagne umanitarie, esportazioni di democrazia e di rafforzamento istituzionale a tutte le latitudini e longitudini, ora nuovamente legittimate e consigliate per via delle esuberanze del folle criminale.

Un fondamentale contributo all’interventismo del governo con mitra e elmetto come l’ottantenne  Nonna Fucile esibita con orgoglio dal governo ucraino, viene dalla stampa che preferisce la propaganda spettacolare all’informazione e non ci resta che aspettare le interviste nei reparti intensivi con l’autodafé dei pentiti di essere filo-russi a coronamento delle immaginette votive dei ragazzini in armi nei campi di addestramento neonazi, delle fosche inquadrature di rovine e macerie di incerta datazione e origine, dei brani di film con festoso popolo in fuga ridente in coupè e maglietta, delle apocalittiche descrizioni dei barbari suicidi che colpiscono centrali nucleari, che mettono a ferro e fuoco ospedali, che portano lutti e dolore proprio come nei wargame, appunto. Mentre intanto a stabilire che vale più il diritto all’informazione dei cronisti, che quello del pubblico a essere doverosamente informato, la Rai e l’Ansa ritirano i loro inviati in Russia.

A creare unanime consenso autolesionista tra la popolazione che deve sempre essere mantenuta in uno stato di eccitazione artificiale con la paura, la minaccia e l’esaltazione di sentimenti di rancore e violenza in questo caso autorizzati e promossi, c’è la ostensione di ex vaccinati famosi in giallo e azzurro. Dopo i Gassman, i Cracco, ecco l’aggiunta della soubrette alle Maldive che asciuga una lacrima di solidarietà con l’orlo del perizoma, più desnuda del Davide che Nardella ha pudicamente coperto con un drappo nero  in segno di fraterno appoggio, come le gambe delle sedie della Regina Vittoria, mentre un’altra regina, quella di Spagna, lo certifica il Corriere, che si è presentata a un evento benefico con opportuna camicetta ricamata in stile folk-ucraino, come lo stilista che fa uscire in passerella un vestilo giallo alternato a uno azzurro, come la Coop che cambia la denominazione dell’insalata mai più russa, come Madonna e Greta alla pari che inalberano cartelli a significarci che sono pro Ucraina, e, la seconda, anche pro nucleare e shale gas .

E, non bastasse quello, consigli per gli acquisti equi e solidali, e su risparmi ancora più lungimiranti, con la raccomandazione di lavare i piatti a mano, la rivelazione che la pasta prodotta con qualsiasi grano non sempre è salutare alla faccia della dieta mediterranea, che dobbiamo spegnere le luci superflue anche quelle stradali, per simulare un non ipotetico coprifuoco. A dimostrazione che quello che si vuole è che con il buio si favorisca il sonno della regione.