Anna Lombroso per il Simplicissimus

Nel primo dei 5 tomi della Luce dei Giusti di Henri Troyat, storico e romanziere di origine russo-armena, non abbastanza dimenticato per non rischiare di essere espulso dalle biblioteche del Draghistan, racconta l’arrivo dei vincitori in Francia dopo la sconfitta di Napoleone. E come la società parigina temesse che gli stivali dei cosacchi ubriachi calpestassero il sacro suolo e i pavimenti preziosi di Versailles salvatisi dalle incursioni delle scalmanate il 6 ottobre 1789, che i barbari sanguinari violassero le donne e trucidassero  i bambini, per scoprire che invece colloquiavano amabilmente in francese, esibivano senza l’ostentazione dei provinciali le loro conoscenze sull’illuminismo e le presenze prestigiose di artisti nelle loro collezioni.

Una volta c’era la geografia che andava in soccorso dell’antropologia e dell’etnologia, discipline ormai obsolete e ripudiate da un Scienza che ha invece arruolato perfino quella più inesatta e arruffona, l’Economia premiandola con un Nobel farlocco.

Adesso identità e confini dei territori devono uniformarsi ai criteri arbitrari della globalizzazione, stabiliti dall’impero di Occidente e dunque il continente europeo è recintato dal filo spinato dell’Unione e della Nato, secondo  l’articolo quinto del Trattato Nord Atlantico, che anche l’Italia ha sottoscritto fin dal 1949, con le “opportune” successive modifiche introdotte dopo il  2001  volte a stabilire che ogni attacco a uno stato membro ovunque avvenga sia da considerarsi un attacco all’intera alleanza.

E  se è  arduo contestare che la Russia sia ad Est, solo arzilli rincoglioniti come Sergio Romano o allucinati visionari tipo Luciano Canfora possono sostenere sfrontatamente che lo zar e il suo popolaccio primitivo e ferino siano “europei” almeno quanto Macron, Draghi, Johnson recuperato all’uopo dalla Brexit e lo stesso Zelensky.

Non credano i novax e no greenpass che si sono illusi,  che fosse arrivata la sostituzione con un nuovo nemico pubblico. Non a caso si nota una certa coincidenza tra chi ha difeso il libero arbitrio e gli ultimi resti di democrazia e chi pensa che il susseguirsi di false emergenze  altro non sia che il sistema di governo di un regime sovranazionale che oggi ha scelto l’interventismo per proseguire uno stato di guerra su due fronti, interno ed esterno a tutela del buono stato di salute della civiltà superiore, con l’effetto che chi si sottrae alla spirale dell’obbedienza e del conformismo è criminalizzato due volte.

La Repubblica che si è specializzata nell’aggiornare periodicamente l’identikit dei malvagi novax che albergano ai margini della società negli anfratti bui della marginalità, dell’ignoranza e, ammettiamolo, dell’antagonismo destabilizzante, ho trovato un nuovo filone  mettendo a frutto uno studio della Columbia University che ha analizzato il fenomeno dei “Putinversteher” nostrani,  da Savoini a Fusaro, da Spinelli a Mattei a Foa, referenti nazionali di “Trump che considera Putin un genio, dell’ex cancelliere Schroeder, lobbista Gazprom, che paragona l’offensiva di Mosca in Crimea (pensate che sfrontatezza) ai pogrom in Jugoslavia” tutti  impegnati a  giustificare il Cremlino.

E il settimanale fratello in Gedi, l’Espresso  punta arditamente il dito contro manager di Stato, imprenditori, diplomatici che hanno spianato la strada a Putin in Italia, dai tempi degli affari dell’Eni di Scaroni che hanno consolidato la nostra dipendenza energetica dalla Russia e “mentre grandi banche come Intesa e Unicredit incassavano profitti enormi grazie ai rapporti con le aziende controllate dal Cremlino, che ha arruolato anche ex ambasciatori a Mosca e finanziato associazioni e lobby”.

Dobbiamo invece a Linkiesta l’altrettanto intrepida iniziativa di pubblicare il documento “Russian Influence on Italian Culture, Academia, and Think Tanks” (traduco per chi senza ritegno disobbedisce all’obbligo di comunicare solo con lo slang imperiale d’occidente: L’influenza russa sulla cultura, sull’ambiente accademico e sui Think Tanks)  a cura di due analisti dell’Istituto Gino Germani di  Scienze Sociali e Studi Strategici. Si tratta di una specie di Protocollo di Savi che ci mette in guardia da due schiatte ugualmente pericolose per la società: i neo-eurasisti e i Russlandvertseher, i simpatizzanti, cioè, che “comprendono la Russia”, preferendo magari la Spinelli a Luttwack,  Cacciari alla Prestipino (quella che plaude alla esclusione dalle Paraolimpiadi degli atleti russi e bielorussi).

A proposito di approccio scientifico, pare ci sia una attitudine accertata dell’anima e della coscienza che prta a schierarsi per l’ucraina del golpista neonazi come non si è fatto per l’Irak, l’Afghanistan, la Siria e per dir la verità nemmeno per la Serbia che ha visto entrare in guerra baldanzosamente anche noi.

Si tratterebbe della pietas selettiva diagnosticata – come riporta MicroMega – da analisti e opinionisti  statunitensi, francesi, britannici che parlando della guerra in Ucraina sentenziano:  «Questo non è un Paese del Terzo mondo: siamo in Europa!»; «Queste persone non stanno scappando da un Paese del nord Africa, hanno le sembianze di una qualsiasi famiglia europea, che potrebbe vivere nella casa accanto alla nostra», per culminare nella dichiarazione che dobbiamo al corrispondente da Kiev della CBS News che lavora in una sede lontana da Piazza Maidan e al quale non sono mai arrivati gli echi degli accadimenti del Donbass,  «Non è un Paese, con il dovuto rispetto, come l’Iraq o l’Afghanistan: è un Paese relativamente civilizzato, relativamente europeo, dove non ci si aspetta, dove si spera che queste cose non avvengano».

Si capisce così che le anime sensibili dei partner europei a libro paga della Nato abbiano deciso di scendere in campo, elmetto e mitra, per difendere nel paese fratello i valori e i fondamenti dell’Unione, la coesione, la solidarietà, l’accoglienza, le radici cristiani dando preferenza al contrasto a uno solo dei due “totalitarismi” condannati dall’Europarlamento presieduto dalla buonanima, che ancora farebbe da colonna portante del dispotismo di Putin, che l’altro invece pare sia opportuno sdoganare in nome della compassione per i martiri di Azov.

Si capiscono così i sacrifici pretesi da Draghi che ammonisce: Putin ascolti la voce di chi protesta!  e la riesumazione degli slogan delle campagne in scarponi di cartone del passato, che è proibito richiamare con inappropriati paragoni.

Si capiscono così le decisioni di Facebook che censura link riconducibili a “mezzi di comunicazione direttamente o parzialmente sotto il controllo del governo russo” alla pari con Ursula van der Leyen che chiude i battenti delle agenzie di stampa. Mentre in nome del dovere di informazione il Tg2 mostra al posto delle strade ucraine bombardate quelle messinesi dopo un’alluvione.

Si capisce così l’entusiasmo dei commentatori per la decisione a scoppio ritardato della Corte dell’Aia che avrebbe accettato un referral sulla situazione in Ucraina presentato da  39 Stati membri che chiede di indagare sui crimini internazionali commessi “nell’ambito del conflitto”, con l’auspicio che si verifichi un effetto trascinamento che nel coinvolgere gli accusati dei “presunti” atti di Piazza Maidan, l’occupazione della Crimea e ora, fresca fresca, l’aggressione russa a Kiev.

Si capiscono così il cambio di nome effettuato dai barman che trasforma il Moskow Mule in Kiev  mentre la Caipiroska verrà chiamata “Caipi Island“, i cocktail “White Russian” e “Black Russian” diventeranno “White Ukrainian” e “Black Ukrainian“, oppure l’iniziativa della Coop che in vetrina espone ile confezioni di “insalata italica“, o la decisione della Federazione internazionale felina che esclude i gatti e gli allevatori provenienti dalla Russia dalle fiere del settore, o la scelta del Glasgow Film Festival ha eliminato  dalla programmazione “No Looking Back” di Kiril Sokolov e “The Execution” di Lado Kvatanyia.

E come non comprendere la dichiarazione televisiva di Fubini del Corriere: “La Nato non ha mai invaso nessuno!”, con Mieli che fa sì con la testa e lascia intendere che lo sbaglio di Putin sia stato non chiamare la campagna di Ucraina “missione umanitaria” , ricevendo così il plauso e la commossa solidarietà dei pacifisti a senso unico.