Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ieri è apparsa una notizia in non casuale coincidenza con gli esiti di due liturgie elettorali che hanno perso il loro significato di pronunciamento sul governo di vaste aree del Paese, per assumerne uno puramente allegorico di rappresentazione di lodevoli “valori” morali, quelli di contrasto alla xenofobia, di sostegno alle buone maniere, di controllo sulle esternazioni in rete concesse solo ai detentori del nuovo galateo del politicamente corretto, in modo da sancire il primato etico di una regione e invece la doverosa e meritata spinta verso le propaggini africane dell’altra, favorita tra l’altro dalla decisione della prima di associarsi a quella autonomia pensata proprio per allargare il divario tra Nord e Sud.
Si tratta di una notizia che ha tra l’altro ritratto esemplarmente la desiderata eclissi dei 5Stelle e del suo ceto dirigente di rappresentanti eletti: il quotidiano di proprietà di Caltagirone e altri organi di stampa hanno informato i lettori romani e romanisti che finalmente si potevano aggirare i tentennamenti e i dubbi ridicoli della Raggi, tornando a quel felice passato nel quale trionfavano i poteri forti della città di qua e di là del Tevere, quelli legali se non legittimi in allegre intese non tanto temporanee con il crimine organizzato del mondo di mezzo, quando, tanto per fare un esempio un sindaco uscente del partito che aveva lui stesso fondato, il giorno del suo ritiro regalava all’influente costruttore un piano regolatore ad personam, con opportune varianti cucinate press an press per andare incontro ai suoi desiderata. Smentiti oggi come da tradizione, i quotidiani avevano ricostruito in modo credibile i contenuti di un accordo tra il futuro proprietario della Roma, Dan Friedkin, e Francesco Caltagirone per realizzare il nuovo stadio non più a Tor di Valle ma a Tor Vergata.
A dare conferma del proposito sarebbe stata l’apparizione ecumenica al derby delle squadre locali, in veste di santo protettore dello sport più amato degli italiani, del potente costruttore, del quale è nota la fumantina permalosità e una certa indole a rifarsi dei torti subiti con spirito vendicativo, commessi a suo danno prima di tutto da Marino che si fece promotore della costruzione dell’opera di primario interesse generale proprio là a Tor di Valle, e della Raggi, che dopo una campagna elettorale ostile all’iniziativa si piegò doverosamente alle pressioni dell’ottavo re di Roma, con maglia n.10, alla cordata di vari inquisiti e indagati, tra patron indebitati, finanziatori con le pezze al culo, spregiudicati affaristi.
Fin dall’inizio si sapeva che l’idea era improvvida, tanto da contribuire all’espulsione dalla giunta – la stessa che invece aveva tenuto fede al patto stretto con i romani di non far pesare sulle loro spalle megalomanie e audaci propositi scellerati sotto forma di giochi olimpici – dell’unico assessore che aveva dimostrato di avere a cuore, professionalmente e politicamente, un assetto presente e futuro della città che non rispondesse solo alle esigenze bulimiche dei padroni che da sempre avevano steso le mani sulla città.
E che era scellerata per l’investimento oneroso che avrebbe comportato per le finanze comunali sotto forma di opere accessorie non solo stradali, di indirette “donazioni” di spazi offerti fuori dalle quotazioni di mercato, di interventi necessari per compensare l’impatto dell’opera realizzata di una vulnerabile area golenale.
Ma anche perché è risaputo che ci sono progetti che assumono il carattere di cavalli di Troia, che vengono imposti alla cittadinanza come occasioni di sviluppo di attività e occupazione, mentre altro non sono che formidabili operazioni speculative spacciate per azioni di urgente e pubblico interesse, non nel rispetto di una strategia organica di realizzazione di infrastrutture sportive, bensì grazie a un comma inserito forzosamente all’ultimo momento nella legge di stabilità del 2014 (governo Letta) nell’ambito del tradizionale maxiemendamento e imposto con il voto di fiducia e che stabiliva che un Comune, se d’accordo con il proponente, in quel caso l’allora presidente della Roma Pallotta, dichiarasse i “vantaggi” per la città della edificazione di un impianto privato.
È iniziato così l’avventuroso e avventurista percorso di quello stadio che comprendeva una pluralità di volumi edilizi per un totale di circa un milione di metri cubi di cui solo un quinto riguardava lo stadio e altre funzioni connesse alle attività sportive, mentre prevedeva tre grattacieli alti più di 200 metri e altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali privi di rapporto funzionale con lo stadio ma destinati a compensare il costo delle opere infrastrutturali necessarie all’utilizzo dell’arena, su un’area in un’ansa del Tevere che il piano regolatore destinava a verde sportivo attrezzato. Nel tempo (ne abbiamo scritto più volte, anche qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/10/25/milano-roma-citta-allultimo-stadio/ ) la sindaca Raggi aveva rivendicato di aver ridotto le volumetrie ma non l’insensatezza di un’opera la cui opposizione in campagna elettorale aveva deciso del suo successo rispetto allo sbiadito competitor, tagliando il 50% della cubatura che comunque restava di 550 mila metri cubi (il 60% solo sul Business Park, con eliminazione delle tre torri) rispetto ad un Piano Regolatore che ne autorizzava al massimo 330 mila, di cui lo stadio continua a rappresentare meno della metà.
L’ipotesi tratteggiata di una nuova localizzazione a Tor Vergata sarebbe più praticabile: i nuovi sponsor che attraverso Caltagirone avrebbero offerto alla nuova proprietà texana l’opportunità di avere un prodotto completo “chiavi in mano” e in tempi strettissimi, sono i rappresentanti del consorzio di imprese della Vianini Lavori e di altre 9 imprese proprietarie dei terreni dell’Università di Tor Vergata, e in questa veste non dovrebbero sottoporsi all’iter della Legge sugli Stadi, della conferenza dei Servizi e della variante al Piano Regolatore, i collegamenti stradali e il trasporto pubblico sarebbero garantiti dalla Metro C e da un possibile prolungamento della Metro A da Anagnina, secondo “un progetto tra l’altro che risale al Giubileo del 2000 e mai realizzato per la ristrettezza dei tempi”.
E inoltre, si racconta, l’area non registrerebbe le stesse problematiche ambientali del sito di Tor di Valle, anche se a nessuno può sfuggire la tremenda pressione della localizzazione di uno stadio in un posto già interessato da un traffico pesante e disorganico, quello della popolazione universitaria, dalla vicinanza con quartieri ad alta residenzialità e urbanizzazione, dove è andato già in scena il fallimento di un’altra visione altrettanto estemporanea, la Città dello Sport i cui lavori iniziati nel 2005 sono stati interrotti per mancanza di fondi.
L’ipotesi alternativa ha già avuto il consenso degli ultras del cemento e di quelli delle curve, laziali compresi che adesso possono aspirare a farsi il loro colosseo biancoazzurro.
Meno contenti devono essere i romani, quelli che sono costretti all’occupazione abusiva delle case, quando il patrimonio immobiliare è stato svenduto, offerto a basso prezzo a inquilini prestigiosi o donato con munifico spirito redentivo a cerchie “nere”, quelli che pagano quotidianamente le scelte improvvide di altre grandi opere a cominciare dalla Metro C, la madre di tutte le corruzioni secondo l’Anac, non solo inutili ma anche rischiose a vedere lo smottamento di una strada contigua al Colosseo quello vero e la messa in pericolo di un palazzo con 60 sfollati, quelli che ogni giorno sono prigionieri del traffico in una metropoli dove il trasporto pubblico è penalizzato da sempre, dove si tagliano le linee di superficie per alimentare tratte superflue di metropolitana, le cui stazioni si rivelano essere l’obiettivo di una pedonalizzazione che doveva restituire alla città e la mondo la più grande area archeologica urbana e che si mostra come un cantiere privo di incanto, quelli che continuano a pensare che altre sarebbero le priorità locali e nazionali, di fronte alla chiusura di ospedali, alla riduzione di servizi, alla espulsione di residenti costretti a cercare riparo nelle periferie cui si aggiunge altro squallore e altra disperazione.
E intanto tutti vogliono gli stadi: i progetti in lista d’attesa includono la Lazio, Firenze, Milano, Bologna, Napoli, Palermo, in piena attuazione del sogno berlusconiano stabilito per legge (era a sua firma una delle ultime proposte che dobbiamo alla sua era) secondo il quale era «urgente e indifferibile » costruire nuovi impianti, dotati di zone residenziali e servizi, semplificando e aggirando le necessarie varianti urbanistiche e commerciali, annullando le garanzie di legge mediante il teatrino dell’istituto della conferenza dei servizi, cancellando i principi fondamentali di legalità e legittimità.
L’avranno vinta loro, i padroni delle città, la cui malattia è il cancro di una rapacità all’ultimo stadio.
Si può leggere:
https://carlobertani.blogspot.com/2020/01/cosa-e-successo-niente.html
C’è un refuso buffo: occhio alla data di inizio lavori a Tor Vergata
grazie, ho corretto… si sa anche la storia è diventata un’opinione e forse anche il tempo…