maschere Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualche giorno fa all’età di 87 anni si è spento serenamente in California dove aveva trovato riparo insieme alla moglie l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Mazzacurati.

Grazie alla buona abitudine secondo la quale i morti diventano tutti “il povero…”, pure il povero Benito appeso a testa in giù e il povero Adolf costretto a un dignitoso suicidio, anche la figura del manager che aveva definitivamente convertito un mostro giuridico che riassumeva in sé tutte le funzioni, controllato e controllore, scavatore e riempitore, inquinatore e bonificatore, in un polipo che aveva allungato i tentacoli sull’intero sistema politico, istituzionale e sociale della città, anche il povero Mazzacurati grazie ai generosi uffici della stampa locale è stato trasformato in un longanime e munificente visionario, talmente  posseduto dalla radiosa immagine della grande opera ingegneristica che stava allestendo da convincersi che ogni mezzo fosse buono e doveroso per portarla a termine (obiettivo che a essere ottimisti sarà portato a compimento, forse, nel 2023?).

Il ruolo di agiografo dell’utopista delle dighe mobili che aveva aperto le tasche di molti al fiume di denaro sporco e a fortune cresciute sul fango è stato attribuito dal Gazzettino alla segretaria di Mazzacurati andata in pensione previdentemente qualche mese prima che divampasse lo scandalo e che tratteggia a tinte pastellate il ritratto dell’Ingegnere come di una vittima, sfruttata e messa al bando in funzione di capro espiatorio da chi si era approfittato di lui, uomo profondamente religioso, padre di famiglia integerrimo che aveva capito, cito, “ che se voleva realizzare il Mose e lasciare il suo nome scolpito nella storia non c’era altro modo che pagare. Lo faceva a malincuore…. ma lo faceva”.

C’è poco da aggiungere alla letteratura sulla figura idealtipica della segretaria fedele custode di segreti ingombranti, gelosa detentrice delle chiavi per aprire cuore e per assicurare protezione a postulanti pronti a blandire e appagare le voglio del suo capo in cambio di scorciatoie e favori, pronta a coprire marachelle, vizietti e tradimenti, stereotipo esemplare che potrebbe confermare il ruolo gregario imposto per destino biologico o in via patriarcale alle donne, seppure in forma meno efficace del comportamento di qualche ministra.

E ci sarebbe poco da aggiungere anche alla doviziosa narrativa sui grandi corrotti e corruttori che popolano l’autobiografia nazionale, con un particolare in più, perché a fare di Venezia la città esemplare della svolta mafiosa del malaffare più ancora di Roma, è la natura dell’istituto giuridico che ha fatto da ombrello legale alla circolazione di mazzette, atti criminosi, controllori infedeli. Quel Consorzio che ha dato l’imprinting a un modello di  corruzione a norma di legge e al tempo stesso di corruzione della legge  in regime di monopolio esclusivo, incaricato, al fine di ottenere una celere realizzazione degli interventi in laguna, di procedere all’esecuzione del Mose attraverso l’istituto della “concessione”. Una scelta a suo tempo condannata dalla Corte dei Conti, che una pletora di soggetti a vario titolo “interessati” (varrebbe la pena di sfogliare l’album di famiglia di allora, tra Nicolazzi, De Michelis, Craxi, Bernini, Zanda, poi Lunardi, Matteoli  e tanti, tanti altri) aggira grazie ad un altro “istituto” di vecchio conio e di grande efficacia, quello dell’emergenza. Per salvare l’augusta città in pericolo era necessario, anzi obbligatorio, cancellare regole, ricorrere a strumenti straordinari ed eccezionali, accentrare poteri di controllo, veto e firma nelle mani di pochi dotati di autorità incontrastata.

Sappiamo che il successo, che verrà in seguito replicato, di quel format  consiste oltre che nell’alleanza tra imprese spregiudicate che si avvicendano nella cordata come ruotano sulle loro poltrone e attraverso le porte die tribunali i loro dirigenti talvolta in odor di mafia, amministratori locali e nazionali, enti di sorveglianza e controllo, autorità “tecniche e scientifiche”, anche nell’accordo bipartisan tra gli attori politici come ebbe a raccontare agli inquirenti uno dei protagonisti, Baita: fin dagli anni ’90 non so muoveva foglia che non vedesse la concordia tra i partiti di governo e pure dell’opposizione di allora, incarnata dagli interessi delle cooperative, e poi lo stesso Mazzacurati che, si direbbe a Roma dovevi torturarlo per farlo star zitto, e che nel corso delle fasi processuali chiamò in causa i suoi più stretti collaboratori, proseguendo poi con numerosi imprenditori, politici locali e nazionali, esponenti delle forze dell’ordine, funzionari e dirigenti di vertice di enti pubblici.

Quale sia poi il prodotto della radiose visione dell’Ingegnere di quell’opera che tutto il mondo doveva invidiarci si sa: una realizzazione obsoleta prima di essere finita se mai lo sarà,  indebiti risparmi su appalti opachi al ribasso, attrezzature di cattiva qualità, palesatesi sotto forma di cerniere corrose, detriti accumulati, cedimenti del fondale, paratoie che si abbassano e non si rialzano, per un intervento che è costato quasi 6 miliardi, il 40 % in più di quello che poteva esserne l’ammontare senza ruberie, fatture false, tangenti e soprattutto sprechi, come ha ammesso uno dei Commissari Straordinari che stanno trascinando questo monumento di archeologia industriale per non arrendersi al destino segnato di morte e rovina, che comunque ormai costerebbe meno della prosecuzione e gestione.

E’ che ancora e malgrado tutto ci sono ancora interessi vivi e vegeti, gli stessi che si annidano in tutte le grandi opere in corso o minacciate con buona pace dei ferventi manifestanti del Friday for Future: Tav, Aeroporto di Firenze, stadi, infrastrutture olimpiche, grattacieli che superano la Madonnina nella capitale morale del consumo di suolo e altri che superano il Campanile di San Marco a ridosso di Venezia.

Alla loro ombra continuano a prosperare a 27 anni da Mani Pulite le stesse tipologie di imprenditori, manager, amministratori, qualcuna aggiornata, altre rimaste immutate grazie a frettoloso e compiacenti operazioni estetiche. Quelli che in Francia dove ce ne sono stati anche all’Eliseo, chiamano douteux personnage, qualcosa come i nostri cattivi soggetti, senza scrupoli, disincantati, dinamici, spregiudicati, che però esercitano una fascinazione anche nei virtuosi che pensano così di mettere alla prova la loro incorruttibilità senza sapere di venirne invece contagiati almeno “culturalmente”.

Perché così si spiega l’ascesa dei nostri tanti cattivi soggetti, incontrastati e perfino rimpianti quando cadono in disgrazia, che somministrano anche in prossimità di tribunali superiori e dopo aver attraversato quelli terreni le loro lezioni immorali e le loro ricette a base di arrivismo, sfruttamento, speculazioni, corruzione, ricatto e comprensive di appetiti da priapisti bavosi, borbotti piduisti e avvertimenti trasversali a vecchi alleati portati ina auge e irriconoscenti, delfini smemorati e aspiranti imitatori che sia pur giovani vogliono già essere cariatidi immortali.