Il piano B loro ce l’hanno. Di fronte al redde rationem della vicenda greca nella quale non pare esserci altra soluzione che un cedimento di Atene a questa Europa visto che l’altra dà segno di esistenza o un’uscita del Paese dalla moneta unica, il ceto politico italiano vecchio o nuovo e la classe dirigente di riferimento, cominciano a cambiare la propria narrazione, in maniera da potersi preparare a smentire l’ adesione senza se e senza ma al dogma dell’austerità, a nascondere il macello sociale perpetrato in nome dell’euro e naturalmente a continuare la trasformazione della democrazia italiana in oligarchia conclamata.
I toni cambiano impercettibilmente, ma in direzione chiara e inequivocabile: quella di sottrarsi alle responsabilità, cercando di scaricare su altro il peso dei propri errori prima e poi dei disegni di potere costruitisi su di essi per giustificare un eventuale contrordine e tentare di non pagare dazio, conservando intatto l’europeismo acritico e dozzinale che è stato il false flag ideologico del liberismo continentale. La tesi che pare delinearsi poco a poco sui media, tutta basata sulla poca memoria e sulla scarsa conoscenza degli eventi, è ingegnosa, tale da salvare la faccia sia del vecchio ceto dirigente democristiano e socialista, poi del berlusconismo e infine degli epigoni di diretta scelta europea destinati a stravolgere la Costituzione e le istituzioni democratiche. Dunque ora si accenna al fatto che l’adesione all’euro fu una cosa buona, (nonostante l’intero milieu economico mondiale lo considerasse una catastrofe) e permetteva ampie possibilità di flessibilità in caso di crisi: per questo e solo per questo ci si decise ad entrare a tutti i costi nella moneta unica anche dopo la disastrosa esperienza dello Sme. Ma poi la cattiva Germania attraverso i successivi regolamenti del trattato di Maastricht, tema del famigerato Regolamento europeo 1466, ha ribaltato la situazione creando un sistema molto rigido e trasformando le regole del 3% di deficit di bilancio e del 60% del rapporto debito Pil da misure tendenziali a limiti invalicabili. E alla fine ce la si prende con Schäuble, incarnazione di tutti i mali e forse costretto alla sedia a rotelle a causa della presenza di zoccoli diabolici al posto dei piedi.
Naturalmente non è vero, si tratta di puri pretesti, di interpretazioni all’italiana dei fatti o nel migliore dei casi di mancata lettura dei testi, ma per il momento diamolo per buono: la domanda a questo punto è perché l’Italia abbia lasciato passare questa sorta di stravolgimento del trattato originario senza minimamente opporsi. La risposta che si delinea è affascinante per la sua vuotezza e per la faccia tosta senza remore che esprime: fu mani pulite con l’azzeramento degli assetti politici a determinare quel “vuoto” che poi determinò l’assenza del Paese dalla contrattazione sul regolamento e sul suo rigorismo. Si tratta di pure fesserie: il regolamento del trattato venne approvato a Bruxelles nel 2007, cinque anni dopo mani pulite in pieno governo Prodi, uno degli economisti che più aveva seguito e collaborato all’elaborazione di Maastricht e dunque divenne regola quasi un anno prima della formalizzazione dell’adesione italiana all’euro che avvenne il primo maggio del ’98, forse come sberleffo anticipato al mondo del lavoro. Per di più Mario Monti era uno dei “ministri” di spicco della commissione europea, con delega al mercato interno senza accorgersi di nulla, mentre Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro, fu uno degli entusiasti assertori nonostante l’opposizione del suo amico Franco Modigliani, unico italiano ad avere avuto il cosiddetto premio nobel per l’economia.
Dunque non si era determinata alcuna discontinuità fra chi partecipò alla trattative di Maastricht e chi ne firmò poi entusiasticamente il regolamento che oggi viene artatamente accusato di essere l’origine di tutti i mali. Il fatto è invece che proprio con Maastricht viene sancita la definitiva scomparsa del riferimento a un’Europa federale e si attua lo stralcio delle politiche sociali ovvero si disegna il minotauro che oggi conosciamo. Così il trattato che era stato interpretato come politico più che come economico, provvide da solo a sterilizzare le speranze da cui era nato e a lasciare campo libero solo alla moneta.
Fu un errore catastrofico per di più voluto in tutto il continente proprio dalle socialdemocrazie. Ma da noi invece di riconoscere l’errore cosa peraltro ormai intollerabile ai poteri che hanno titanizzato l’Europa e impossibile per le forze che sono emanazione di Bruxelles e del potere finanziario, c’è addirittura la tentazione di attribuire il disastro a mani pulite e dunque alle inchieste contro la corruzione. Come a suggerire vedete cosa succede a toccare i ladri che governano? La tesi non è ancora esplicitamente in campo, ma è, come dire, incipiente, pronta ad essere sfornata non appena si delineerà il destino della Grecia ed è gestibile sia in caso di resa di Atene che di grexit. Già mi immagino le profonde analisi che saranno prodotte su questo dagli immortali pianibianchi, gallisti della loggia, alesin giavazzari, boeri senza ciliegia per divenire poi patrimonio di peones e peonie politici o giornalisti di quella testata unica detta Il maccarone.
https://liberodifareilfuturo.wordpress.com/2015/05/25/litalia-fuori-dalleuro-il-catastrofico-scenario/
Un punto di vista sulla questione: https://9atm.wordpress.com/2015/04/20/i-soldi-che-la-germania-deve-alla-grecia/
“evidentemente non vivo in Italia, ma su un altro pianeta, perchè io di critiche a Schauble e/o Merkel sui media e dai politici di regime non ne ho mai viste.”
concordo.
evidentemente non vivo in Italia, ma su un altro pianeta, perchè io di critiche a Schauble e/o Merkel sui media e dai politici di regime non ne ho mai viste.
Il mio commento è una citazione tratta da un settimanale che ho comprato anni fa a un mercatino dell’usato. Sulla rivista Tempo del 24 settembre 1949, n. 39 dell’anno XI, prezzo 70 lire, con in copertina una ragazza in bikini a tutta pagina e un titolo “Che ne pensate di Miss Lombardia?”, ossia una testata che certamente non si può definire specializzato in politica, a pagina 3 compare un lungo editoriale “L’allineamento forzato dell’Occidente”, sottotitolo “L’America chiude i conti europei.”
Ed ecco l’incipit dell’articolo: “Che cosa sta accadendo a Washington? Un allineamento generale di monete e di comandi militari, di piani economici e strategici, di relazioni dipolomatiche e inter-parlamentari, di esigenze di prestigio e rivendicazioni – ahi! ahi! – territoriali. La politica americana sta più che mai energicamente imponendo un’omogeneità forzata e apparente, ma necessaria data la gravità dell’ora, agli interessi contrastanti tra loro. … L’America esige allineamenti complessivi e unificazioni, massime di sistemi monetari e commerciali, ideologici e militari e non cerca l’umiliazione o il danno di questo o di quello. …
Ebbene la Francia ha dovuto abbandonare a Washington la sua posizione europeista contro il gruppo atlantico (USA e Inghilterra, mia nota) perché gli americani hanno fatto una sola questione e hanno imposto un solo tema: non esiste più né Inghilterra né Francia né Jugoslavia: esiste solo l’Occidente, del quale l’America ha la responsabilità suprema. … Il manager generale (l’America, mia nota) ha bisogno di avere ai suoi ordini non tanti singoli Paesi, ma l’Occidente, tutto, come un superStato, per poter disporre piani organici, collettivi, vastissimi: se l’avversario è uno (l’Unione Sovietica, mia nota), anche da parte nostra si vuole che si diventi uno.”
Questa citazione dimostra alcune cose. La prima è che la profonda irreversibile dipendenza dell’intera Europa dagli Stati Uniti era nel dopoguerra molto chiara a tutti i cittadini e se ne poteva parlare liberamente e senza infingimenti perfino sui giornali di massa. Successivamente sappiamo che su questa pacifica verità sono stati gettate infinite mani di vernice volte a convincerci che invece eravamo liberi, sovrani e indipendenti e che, per esempio, la costruzione europea era una nostra precisa volontà e serviva a renderci una potenza tra le potenze e non a perfezionare quello che era stato da sempre il piano americano: omogeneizzare e fagocitare l’Europa.
La seconda cosa che questa citazione dimostra è che allora come ora gli Stati Uniti hanno bisogno della minaccia russa come pretesto unificatore da far valere presso il cittadino. La paura come collante, insomma.
La terza cosa che questa citazione rivela è che allora i giornalisti politici erano ancora italiani, ossia subivano la lesione della sovranità nazionale come una sofferenza e auspicavano che si potesse ottenere dai nostri liberator/invasori americani le migliori condizioni possibili. Successivamente i giornalisti politici cominciarono a specializzarsi nel cercare di venderci l’idea che spogliarci della nostra sovranità per una sovranità più ampia ed importante fosse una cosa buona e giusta.
Arrivo alle conclusione che è anche un punto di inevitabile dissenso con quanto si scrive nel post. Non fu affatto un “errore” quello dei politici che ci vendettero l’idea di un’Europa “buona” che non sarebbe mai esistita. Chiamarlo “errore” è un grave errore. Non si trattò di errore, ossia di un caso di leadership idealista che innocentemente sbaglia facendosi fuorviare dai cattivoni americani o tedeschi, ma di un piano strategico ben strutturato che nel 1949 era chiaro a tutti, anche ai bambini, e che poi, complici i politici e i media, divenne sempre meno chiaro fino ad ottenebrare completamente la mente del cittadino sui reali rapporti di forza fra Stati Uniti ed Europa. Quello che si dovrebbe fare è tornare, il più possibile rapidamente, alla chiarezza del 1949 e ricominciare a chiamare le cose con il loro nome.
segnalo un piccolo refuso sulla data dell’accordo di Bruxelles : 1997 e non 2007