OLYMPUS DIGITAL CAMERATempo fa un video shock ha fatto il giro del mondo: si vedeva  un bimbo siriano sfuggire a centinaia di pallottole ( senza che si scorgesse chiaramente chi sparava) e salvare una bambina. Nonostante la palese irrealtà della scena il video è stato preso per buono ed è andato a finire nel gigantesco elenco di bugie contemporanee, facilmente spacciate per realtà, finendo sotto il capitolo: l’esercito siriano spara ai bambini. Solo due settimane fa si è saputo che si tratta di un falso “girato” a Malta dal regista norvegese Lars Klevberg, per sperimentare “come i media avrebbero reagito”. Esperimento inutile perché i media occidentali non aspettano altro che poter confermare  le tesi del potere che direttamente o indirettamente li gestisce: ciò che semmai li indispone è che questa loro parzialità e subalternità venga platealmente smascherata.

Più interessante è invece capire come mai gran parte dei milioni di persone che l’hanno visto, sia pure sotto il peso di interpretazioni già servite dai giornali e dalle organizzazioni umanitarie parallele ai servizi americani (Human Rights Watch, si distingue sempre in questo senso), abbiano potuto dar credito a un filmato palesemente falso. La risposta è in qualche modo semplice: la televisione e il cinema costituiscono ormai gran parte della realtà quotidiana delle persone e in quelle sentine dove si forma l’immaginario collettivo è quasi scontato che l’eroe si salvi sotto un fuoco infernale o la più mortale delle trappole. La finzione codificata favorisce dunque la finzione propagandistica e impedisce, se opportunamente incanalata, di avvertire la distinzione con il mondo reale.

Questo episodio ci porta però ad altro e cioè ai meccanismi grazie ai quali l’intero mondo della comunicazione riesce a spacciare per buona una narrazione del tutto irrealistica, smentita ogni giorno dai fatti. E non mi riferisco alle bugie o alle tesi usurate e grossolane della politica che si concretano, per esempio, nel job act, ma al piano stesso su cui questo chiacchiericcio demenziale si svolge. Vale a dire all’idea della crescita e della ripresa che costantemente accompagna ogni discussione o presa di posizione. E’ questa la finzione a cui ci hanno abituato e che ora permette di contrabbandare ogni idiozia come plausibile. Ciò che ci viene detto non è che una certa visione del mondo e delle cose, ossia quella liberista, mostra ora il vero volto facendo calare la maschera dietro cui si era nascosta: modernità, benessere, opportunità per tutti, libertà e quant’altro. Non si dice mai che il recupero del concetto di eguaglianza, di democrazia in senso non formale, di giustizia nel suo senso più ampio e della stessa economia reale, passa per un’epocale inversione di tendenza. Non si fa mai cenno a una crisi di sistema. Si parla invece sempre e costantemente di crescita, magari anche di crescita mancata, come se ciò che stiamo vivendo fosse solo un momento di caduta ciclica che può lasciare il posto  da un momento all’alto a quella mitica ripresa del resto puntualmente preconizzata e poi smentita ormai da sette anni.

Tutti si rendono conto che non sarà mai più come prima, a meno che non si cambi rotta di 180 gradi rispetto alle tesi del pensiero unico, tutti avvertono che i figli vivranno molto peggio dei padri, che saranno milioni di persone impoverite e misere a pagare il fio di debiti contratti dalle razze padrone, eppure, almeno finora, ha prevalso il desiderio di vedere ciò si vorrebbe vedere, ha dominato la voglia di non cambiare pagina nella speranza di ritornare ad avere ciò che si aveva prima. L’attesa infantile e magica che passi la nottata.  La confusione emotiva e l’atarassia mentale hanno persino favorito il permanere anzi l’affermazione di tesi e figuri che premono sull’acceleratore del nuovo medioevo sociale e sulla distruzione delle vecchie conquiste, come se questo fosse un necessario sacrificio agli dei. Crediamo ai pifferai che dicono di condurci nell’eden della crescita infinita e intanto sottraggono diritti, salari, rappresentanza, democrazia, non perché non ci accorgiamo del furto, ma perché ci viene detto che solo con questo infame denaro torneremo come prima. Non avendo mai esplorato davvero altre prospettive non possiamo che aggrapparci a quel prima che è gran parte della nostra realtà. Per decenni è stata la nostra droga e adesso, in crisi di astinenza, facciamo finta di credere a chi ci promette un’altra dose. Non ci accorgiamo che il concetto stesso di crescita – peraltro totalmente diverso anzi contrario a quello di progresso –  è una concrezione ideologica che ci sta fregando e illudendo per fare gli interessi dell’1 per cento, tanto per usare un’espressione abusata e del resto iper ottimista.

Così possiamo credere che le pallottole sparate contro di noi non siano mortali, che ce la si può cavare, salvare il salvabile e superare il brutto momento facendo ciò che ci si dice. Peccato che non sia vero, che ci sono registi, sceneggiatori, produttori, assolutamente determinati a distrarci.