Non so quanti si siano accorti che da due mesi a questa parte qualcosa sta cambiando: sull’euro e sulla possibilità, opportunità o necessità di uscirne non c’è più la negazione ontologica che si poteva avvertire ancora all’inizio di quest’anno. Un po’ in tutta l’Europa, in Germania in particolare dove la discussione affronta ormai non tanto il se, quanto il come, si dibatte apertamente del tema ormai da un anno. Ma anche in Italia dove la moneta unica è stato il feticcio, il dio cannibale delle larghe intese che minacciava di stritolare gli eretici, la classe dirigente comincia ad imboccare la via di Damasco in attesa della folgorazione. Lo fa alla chetichella, senza dare troppo nell’occhio, ma nemmeno troppo di nascosto per potersi appuntare future quanto immeritate medaglie.
La crisi è sistemica, ma Usa, Giappone, Gran Bretagna e praticamente tutti i Brics cercano di alleviarla con grandi immissioni denaro nel sistema economico, cosa che all’Europa è negato visto che la sua moneta non è gestibile come una divisa nazionale. Si rischia di essere travolti e se in una prima fase della crisi l’euro è stato la spada di Damocle della “riduzione di democrazia” il feticcio a cui tutto si poteva e doveva sacrificare, ora rischia far precipitare le cose e di rendere il continente il fanalino di coda nel mondo. E’ dall’estate scorsa che il concetto di austerità è entrato ufficialmente in crisi, ne sono stati smascherati i veleni e gli errori, ma anche volendo non si può fare marcia indietro perché la costruzione bizzarra e assurda della moneta unica non lo consente.
Si avvicina dunque il momento del redde rationem. E ora al festival di economia di Trento gli scenari apocalittici che venivano prospettati ancora qualche mese fa all’idea di un abbandono della moneta unica, hanno lasciato il passo a considerazioni più realistiche e possibiliste, la maledizione di Giorgio non cade più su chi osa affermare che con l’euro non riusciremo a uscire dal tunnel, l’Istat si accorge che per tornare ai livelli precrisi, viste le obbligazioni europee alle quali ci siamo scioccamente legati, ci vorranno 80 anni. L’istituto di statistica non lo dice apertamente, ma è evidente che il fiscal compact, il mes ed altri meccanismi di tortura economica, hanno un senso solo dentro la moneta unica. Lo stesso Amato ora giudica un grave errore il modo con cui siamo entrati nella moneta unica e insomma il discorso sta cominciando a riemergere dalle profondità abissali in cui era stato sepolto da un europeismo feticista per qualche versp, funzionale ai massacri sociali per altri.
Allora ci si può chiedere che fine farà un governo dell’inciucio nato proprio per gestire l’austerità prociclica a cui ci costringe l’euro. E che senso ha l’attivismo frettoloso di Letta e Napolitano -quando non presenziano alle parate, s’intende – nel cercare di perseguire il presidenzialismo e lo scasso della Costituzione? Si tratta di una scenografia gattopardismo per distrarre dalle vere scelte che incombono?
Non lo credo o almeno non è tutto qui: il cambiamento di tono nel dibattito sulla moneta unica, anzi la nascita del dibattito stesso come segnale di un problema prima negato, fa pensare ad altro. L’uscita dall’euro infatti, oltre alle ovvie e complicate questioni tecniche, non corre su binari necessariamente stabiliti, ma può prevedere un’uscita di tipo conservatore, cioè la tutela in primis di quel dieci per cento di popolazione che conta, della rendita, delle banche, degli asset finanziari e dei patrimoni mobiliari, oppure un’uscita progressista che rimetta l’accento sociale sul lavoro e sui meccanismi che dovranno essere istituiti per garantire il livello salariale nel medio periodo successivo al cambio di divisa.
Il fatto che “uscire dall’euro” da qualche tempo sia stato derubricato da bestemmia a prospettiva possibile, mi fa sospettare che l’inciucio fortemente tramato da Napolitano, le larghe intese a tutti i costi , siano state volute e concordate proprio per dare un sbocco conservatore ad eventi che cominciano a maturare anche al di fuori delle nostre volontà e che sono inevitabili a meno di un completo ribaltamento del trattato di Maastricht e delle istituzioni comunitarie, di fatto impossibile, almeno in un arco di tempo utile. Insomma l’inciucio non serve al presente, quanto al prossimo futuro.
NAPOLITANO – LETTA …
HAHA.HAHA.HAHA.HAHA.HAHA LORO SONO A CORTO DI EURO,
BASTA DIMINUIRE IL LORO STIPENDIO,…..
FIGURIAMOCI I GIOVANI OGGI SONO SENZA LAVORO… VIVONO DALLE SPALLE DEI GENITORI…
SONO SENZA LAVORO SENZA SOLDI….
IN SARDEGNA VOGLIAMO LA NOSTRA ZONA FRANCA…
VEDI …(“DORGALI ZONA FRANCA” )
Un libro appena uscito in Germania, che ho letto con grande profitto, è Showdown – Der Kampf um Europa und unser Geld di Dirk Müller. Il libro mi ha costretto a rivedere la mia interpretazione della crisi: contrariamente a quanto pensavo prima, la catena causale della crisi rinvia agli Stati Uniti come “mandante” che non ci tiene ad apparire mentre la Germania funge solo da esecutore materiale di un progetto neoliberista nato in USA e sviluppato silenziosamente negli anni attraverso l’infiltrazione nella classe politica europea di personale ligio agli USA.
Il libro non lo dice ma la Germania viene secondo me ricompensata per essere stata la prima nazione europea ad applicare in pieno i principali dettami del neoliberismo ed ottiene in contropartita anche l’importante risultato di eliminare dal proprio territorio ogni presenza di basi americane entro il 2014. Per una nazione colpevole di aver provocato la seconda guerra mondiale è un risultato strabiliante, se si pensa alla posizione di altre nazioni europee, vittime della Germania, che invece sono tuttora costrette a mantenere sul proprio suolo basi USA. La Germania sembra insomma diventata il paese vicario degli USA in Europa con carta bianca pressoché totale a patto che la direzione sia quella di trasformare tutti i paesi UE in stretti aderenti alla filosofia economica neoliberista.
Il libro fa anche notare come non sia un caso che nella gestione dei “salvataggi” sia stato sempre coinvolto il Fondo Monetario Internazionale che, a rigore, non c’entrava per nulla con i problemi europei. In realtà, l’FMI aveva una notevole esperienza pregressa nel “salvare” molti paesi dell’America Latina con le stesse ricette che sono state applicate ora a paesi come la Grecia, l’Irlanda o il Portogallo. Lo scopo era quello di creare un circolo vizioso che portasse i vari paesi coinvolti ad indebitarsi sempre di più fino al compimento del genocidio economico. A questo punto i paesi diventavano controllabili in tutto e per tutto e i “gioielli di famiglia” e le risorse naturali si potevano acquisire per poco o nulla, vista la mole immane di debito che toglieva ogni potere contrattuale alle autorità locali.
Questo mi fa pensare che mentre si ritiene che il progetto neoliberista abbia come scopo precipuo la creazione di manodopera a basso costo e di condizioni di subalternità dei popoli alle esigenze delle multinazionali, è probabile che lo scopo principale sia invece di carattere predatorio e di conquista. Una volta atterrata e conquistata, una nazione diventa quello che i nuovi conquistadores desiderano che essa sia. In pratica, se questo è vero, gli Stati Uniti vedono l’Europa come un tempo vedevano il Sud America, una facile terra di conquista, “our backwaters”.
Faccio queste considerazioni con riferimento al suo post perché non penso che l’uscita dall’euro di uno o più paesi possa avvenire se non verrà “autorizzata” dagli Stati Uniti. Dato che il progetto neoliberista ha sempre tempi lunghi (è la sua forza!), non vedrei come impossibile che ottenuto lo scopo voluto limitatamente alla Grecia e a Cipro (che hanno i famosi giacimenti di gas su cui tanti vogliono mettere le mani) gli americani abbiano premuto temporaneamente il pulsante di pausa ma non certo perché abbiano rinunciato al progetto. Stanno valutando le reazioni di quanto hanno già fatto e disfatto e, nel frattempo, aspettano il momento più adatto per riprendere le loro manovre distruttive.