Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il neo rettore dell’Università per stranieri Tomaso Montanari si deve insediare e già si lancia in considerazioni gravi, poco ’accademiche’ e non in linea con l’incarico prestigioso chiamato a svolgere a Siena“. È l’accusa che Francesco Michelotti, responsabile provinciale di Fratelli d’Italia, lancia contro lo storico dell’arte colpevole di aver definito il Giorno del Ricordo dei martiri delle Foibe come “il più clamoroso successo di falsificazione storica“.

 Accademico, aggettivo, secondo la Treccani definisce universitario, che concerne l’università o l’insegnamento universitario mentre accademicamente in senso figurato rimanda al parlare accademicamente, trattare accademicamente un argomento, in modo astratto, per pura esercitazione erudita e retorica.

Chissà se intendeva quello l’avvocato Michelotti, Assessore al Comune di Siena con delega all’urbanistica, edilizia, Sito Unesco, semplificazione e digitalizzazione edilizia, e cioè che Montanari sia venuto meno alle auree regole della retorica che impone ricorrenti celebrazioni annuali a compensazione di 364 giorni di oblio,  possibilmente con il condimento a reti unificate di sceneggiati che aiutino la spettacolarizzazione di eventi e personaggi, atta a promuovere quella pacificazione che metta d’accordo vinti e vincitori, vittime e carnefici e quella manipolazione favorita da premi Oscar che rasenta il negazionismo, ora ripescato per altre finalità.

Di quelle giornate commemorative,  dal 25 aprile che dopo l’eclissi berlusconiana, lettiana, montiana, renziana, aveva trovato nuovo appeal grazie alle adunate canterine dell’antifascismo di facciata dichiaratamente monopolizzate dalla condanna del bruto oggi figura di primo piano dell’Esecutivo, all’8 marzo, dal 2 giugno che non ha nemmeno bisogno della parata con tanto di carri armati, potendo contare sulla militarizzazione di vie, piazze e hub vaccinali grazie al ruolo egemone affidato a un generale Nato, alla festa dei nonni superstiti della malasanità., non si può che parlare coi toni vibranti delle sagome di cartone ascese al Quirinale, in modo da svuotarle di ogni significato storico e civile, riempiendole invece di cioccolatini, mimose,   cognac  e profumi, secondo lo stesso procedimento effettuato sulla Costituzione, lodata, ammirata e citata in qualità di datata opera letteraria risalente allo scorso secolo, su cui è legittimo mettere le mani per opportuni aggiornamenti che ne modernizzino il linguaggio arcaico e gli aulici richiami a valori ormai desueti e alla lunga pericolosi: uguaglianza, solidarietà libertà, giustizia.

Quindi se un docente universitario, addirittura un rettore, parla di storia, è obbligato a rispettare le regole della retorica ufficiale, applicata alla storiografia consegnata in regime di esclusiva a una cerchia di frequentatori delle reti Rai, con preferenza per giornalisti e “divulgatori” prestati dai giornaloni e scelti accuratamente tra quelli che hanno fatto una missione del recupero dei miti dei “vinti” quasi tutti vivi o morti in tarda età per cause naturali e con tanto di pensione, a differenza di Matteotti, Gramsci, dei Fratelli Cervi, di Gobetti, dei Rosselli,  e cantati dai Montanelli, dai Pansa e dai Gervaso.

Di questi tempi poi ogni motivo è buono per tacciare di sacrilegio chiunque prenda le distanze dal pensiero forte e egemone, grazie alla estensione del termine negazionismo estrapolato dal suo contesto e applicato a qualsiasi espressione critica della vulgata corrente, in modo da sottoporre a un linciaggio meritato chi abbia l’audacia di dubitare del generoso interessamento delle autorità per la nostra salute e il nostro benessere, dell’affidabilità della scienza, della competenza dei tecnici e di quello che dice il Tg, o proclama Burioni, o racconta Mieli.

Figuriamoci se quelli che dopo vent’anni si accorgono che forse c’è stato qualcosa di sbagliato nell’esportazione di democrazia e rafforzamento istituzionale in Afghanistan, quelli che iniziano ad avere dei sospetti sul benefico avvicendamento Trump-Biden, quelli che in nome  di una riconciliazione girano la testa davanti al sacrario di Graziani e al matrimonio di Montanelli, quelli che hanno ritenuto doveroso il prodigarsi del governo d’Alema in Kosovo, daranno mai cittadinanza alla richiesta presentata nello scorso aprile da più di cento studiosi per il « riconoscimento ufficiale dei crimini fascisti in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito italiano», quando nell’aprile del 1941 appunto, le truppe italiane, di concerto con quelle tedesche ed ungheresi, occuparono il Regno jugoslavo, aggiudicandosi come bottino di guerra  buona parte della Slovenia (tra cui Lubiana), della Dalmazia, del Montenegro e del Kosovo.

Quei cento storici e studiosi, che l’assessore di Siena definirebbe poco “accademici”, ricordano che «durante l’occupazione fascista e nazista, e fino alla Liberazione nel 1945, in questo territorio si contano circa un milione di mipocrita. orti. L’Italia fascista ha contribuito indirettamente a queste uccisioni con l’aggressione militare e l’appoggio offerto alle forze collaborazioniste che hanno condotto vere e proprie operazioni di sterminio. Ma anche direttamente con fucilazioni di prigionieri e ostaggi, rappresaglie, rastrellamenti e campi di concentramento, nei quali sono stati internati circa centomila jugoslavi».

Si sa che l’autocritica non è un esercizio in voga nella nostra autobiografia nazionale, che la storia è una pelle di zigrino tirata da una parte e dall’altra per coprire più ancora che i crimini del passato largamente impuniti, quelli presenti per i quali  chi comanda esige l’immunità, si tratti di capi del governo (D’Alema come un Blair qualunque nel riconoscere l’errore di aver bombardato Belgrado, si compiace che da noi ci sia un così elevato standard di democrazia da imporre  pubblica ammissione degli sbagli a chi sta in alto), si tratti di industriali e manager o pubblici amministratori.

Basta pensare alle lezioni di storia somministrate da chi ha sottoposto ad anatema e ostracismo gli incauti che hanno osato paragonare le discriminazioni già in atto nei riguardi di una parte della cittadinanza con la politica di emarginazione, penalizzazione e isolamento culminata nelle leggi razziali.

Esibire le credenziali degli italiani brava gente che non aveva previsto che la cacciata dalle scuole e della università degli studenti ebrei e degli ufficiali dall’esercito, i licenziamenti, l’espulsione da circoli sportivi e culturali, fossero l’inizio di purghe e persecuzioni, fino all’abominio  del manifesto della razza e delle leggi del ’38, corrisponde all’esigenza di salvare l’immagine dell’Italia, ma anche del dittatore che negli anni, ben prima del patto scellerato con Hitler aveva coltivato il mito di un nemico che doveva suscitare ripugnanza e rifiuto, di un bubbone che contaminava la società, pericoloso in quanto non integrato, fidelizzato e obbediente.

Salvo qualche eccezione, non sono gli storici ad aver peccato di omissione  o rimozione, non è la storia la feroce ruspa che seppellisce e distrugge. E’ sempre la politica a costruire le narrazioni del negazionismo e del revisionismo , della pacificazione obbligata e della riconciliazione ipocrita, contando sulla memoria corta, sull’ignoranza e sull’indifferenza.

Così un Ministro dei Beni Culturali inamovibile e in tutte le stagioni si permette di nominare alla guida dell’Archivio Centrale dello Stato,  l’istituto depositario della memoria documentale dello Stato unitario,  Andrea De Pasquale, il direttore della Biblioteca Nazionale di Roma, diventato tristemente noto per aver accolto a scatola chiusa il ”Fondo Pino Rauti” – ideologo neofascista e fondatore di Ordine Nuovo,- nel novembre 2020,   così come era stato costituito dalla famiglia e senza sottoporlo a un  vaglio tecnico-scientifico,   rivendicando il valore dell’acquisizione di “una fonte di informazione politica di prim’ordine e anche un valido punto di riferimento di natura culturale”,   con toni celebrativi  e dipingendo  Rauti come un  “organizzatore, pensatore, studioso, giornalista. Tanto attivo e creativo, quanto riflessivo e critico”.

La nomina di De Pasquale, che risale al 16 agosto, ha suscitato lo sdegno dell’associazione dei parenti delle vittime della strage di Bologna, che hanno ribadito che se la nomina non verrà bloccata, farà sospettare “che nei fatti non c’è nessuna volontà di fare chiarezza sui retroscena della strage e delle stragi in generale, sulle collusioni degli apparati, di chi erano i gladiatori, delle loro ‘imprese’ e tantomeno delle varie implicazioni politico terroristiche della famigerata loggia P2″.

È toccato ancora una volta a Montanari denunciare lo scandalo, presentando le sue dimissioni dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali, preso atto della irremovibile decisione del Ministro che rivendica attraverso le parole di Giuliano Volpe, presidente emerito del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, di voler difendere con l’inamovibilità del suo protetto il “pensiero laico e libero” minacciato  dalle “posizioni intransigentemente fanatiche di certi sedicenti progressisti molto apprezzati nel nostro mondo e molto presenti sui media”.

È davvero il momento di ribellarsi prima che ci portino via insieme a lavoro, casa, diritti, istruzione anche  memoria e dignità,