Da quando i Tomahwks sono stati lanciati sulla Siria ed è esplosa la superbomba in Afganistan il gradimento di Trump è risalito dal 44 al 50 per cento e poco importa che i due terzi dei missili siano stati abbattuti o che l’ordigno afgano, usato in modo improprio solo per fare cinema, sia molto meno potente degli analoghi di cui Mosca dispone, che insomma il pugno di ferro inaugurato dal presidente, compreso l’invio della vecchia portaerei Carl Vinson mandata quasi sola davanti alla Corea del Nord per fare scena, denuncino piuttosto il degrado dell’elefantiaco sistema militar – industriale americano, colto di sorpresa dall’inatteso ritorno in campo della Russia e dalla straordinaria crescita di potenza della Cina. La constatazione è che ci troviamo di fronte a un Paese che ha ormai interiorizzato a tal punto la violenza e la sensazione che la sua eccezionalità la consenta sempre e comunque da rendere improbabile, qualunque sia l’amministrazione, una vera contestazione politica e popolare di essa che in realtà è comparsa solo quando i rampolli delle elites rischiavano il Vietnam.
I presidenti americani del resto hanno usato a piene mani le bombe per trarsi di impaccio, valga per tutti Clinton che al culmine dello scandalo Lewinsky, un giorno prima di dover comparire davanti alla commissione dell’impeachment, ordinò attacchi massicci sull’Irak lanciando 450 missili e uccidendo dalle 600 alle 2000 persone, immolandole all’altare della importante questione se un pompino sia o no un rapporto sessuale. La differenza è che nel dicembre del 1998 gli Usa non avevano rivali e qualunque loro azione non rischiava di accendere un conflitto globale che oggi invece diventa una possibilità concreta. L’amministrazione costruisce telefilm, le gente se ne ciba come se fosse Fast and Furious ma è del tutto evidente nei vertici la frustrazione dei generali stranamore che sanno di dover rinnovare gran parte dello smisurato, ma goffo sistema militare prima di potersela vedere con lo snello ed efficace sistema militare russo, peraltro non gravato fino all’assurdo dalle esigenze del lobbismo di mercato.
Sono cose che ho già ho avuto modo dire, ma che adesso prendono una consistenza diversa visto che sono in sostanza quelle espresse, anche se ovviamente in maniera più tecnica dal generale Dominique Delawarde ex capo della sezione guerra elettronica e pianificazione operativa dello Stato Maggiore francese ( qui ). Non si tratta solo di dati, constatazioni e opinioni, non solo di un certo sarcasmo riguardo ala situazione delle forze americane nonostante un bilancio annuale di ” appena” 700 miliardi dollari, ma del fatto che attraverso Delawarde il complesso militare francese, ossia l’unico che in Europa abbia conservato una qualche autonomia rispetto alla Nato, comincia ad esprimere una seria preoccupazione per una situazione che pare sempre di più senza controllo e abbandonata ad azioni estemporaneo o peggio ancora alla frustazione di “militari che si trovano più o meno a dover frenare insieme i loro ardori e la belva che hanno scatenato in Trump, nella misura in cui si accorgono che non hanno i mezzi per le loro ambizioni”.
Il problema è però che trovarsi questa situazione di strapotenza e debolezza assieme significa dover alzare continuamente la posta, seminare caos e sovversioni, guerre e stragi, tenere sempre alta la tensione e alla fine prepararsi per combattere una guerra fin da subito atomica come del resto risulta chiarissimo dalla volontà del ministro obamiamo Ashton Carter di rinnovare per primo l’arsenale nucleare, rendendosi conto dell’assoluta impossibilità di prevalere sul piano globale con le armi convenzionali. Per questo è importante che il tema cominci ad essere posto in un’ Europa che sembra del tutto catatonica rispetto al proprio non felice destino in caso di conflitto e che anzi segue ogni più acefala avventura senza fiatare, come se non avesse compreso che il poliziotto del mondo è divenuto via via un crudele Clouseau globale che prima o poi farà esplodere le polveri.