Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ci sarebbe e ci sarebbe stato proprio bisogno di un po’ di Kirchner in Europa, qualcuno che le canti ai cravattari in cravatta, come ha saputo fare la presidente argentina denunciando quella che ha definito l’estorsione della Corte suprema Usa, che reclama il pagamento di 1,3 miliardi di dollari ai fondi speculativi titolari di Tango bond finiti in default nel 2002. La presidente ha voluto precisare precisato che quello che l’Argentina affronta “non è un problema finanziario o giuridico, ma significa convalidare un modello di business a scala globale” che potrebbe portare a “tragedie inimmaginabili”. “Vogliamo onorare i debiti, ma – ha concluso – non vogliamo essere complici di questo modo di fare affari”.
Non contenti di essere i guardiani del mondo, dopo aver diffuso la peste con quella patologica mutazione del capitalismo in turbofinanza, gli Usa, a nome e per conto della cupola planetaria, fanno gli esattori, anzi gli strozzini di quelli che sotto il doppiopetto gessato celano la rivoltella o il drone.
A differenza dei premier europei la Signora Kirchner sa e dice che la crisi non è un fenomeno naturale, imprevedibile e sorprendente, oppure un intoppo, un accidente temporaneo nel lento procedere delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo, le cui vittime sono un rischio necessario e calcolato, un costo inevitabile che presto dimenticheremo, crogiolandoci in un nuovo benessere.
E dichiara di non essere stata sorpresa dalla richiesta della Corte Suprema, così come non dovremmo essere stupiti dal non certo inatteso avventurismo bellico degli esportatori di democrazia in Irak, che il sistema è lo stesso, creare un nemico, finanziarlo mentre lo si criminalizza e poi muovere una campagna punitiva, o umanitaria, comunque la chiamino la spericolata semantica o lo sconcertante eufemismo militare.
L’arte della guerra segue le stesse regole anche nei contesti apparentemente pacifici, in altri campi di battaglia: le armi sono i tagliandi della lotteria sotto forma di titoli, l’illusione che si possa creare denaro dal nulla, vuoi tramite il credito, vuoi attraverso operazioni immateriali, grazie ai derivati, che così come potrebbero creare beni reali, possono scomparire nel nulla con i sogni degli incauti. E in questa lotta di conquista le prede sono la sovranità degli Stati, il lavoro, i diritti e quindi la democrazia. A muoverla, proprio da dove oggi reclamano il doveroso pagamento, è un complesso politico-finanziario che ha svolto il suo sporco lavoro in nome di una ideologia e in parte per soddisfare i propri interessi.
E dovrebbe essere naturale che chi non si riconosce in quella ideologia senza alternativa o chi non ne ricava benefici, si opponga, si ribelli a quel sistema, a quella cupola: le grandi entità finanziarie, banche centrali, Bce, Fed, Banca d’Inghilterra, Fmi, enti e conglomerati che a loro volta controllano istituti di credito, investitori istituzionali, fondi pensione e compagnie di assicurazione. Ma anche le società immobiliari, i fondi del mercato comune, le società di compravendita di titoli commerciali, le fondazioni bancarie. Per non parlare dei governi che hanno contribuito alla crisi elaborando grazie ai loro Parlamenti le sue fondamenta legali, i partiti che hanno sostenuto questi governi e i loro rappresentanti che quelle leggi hanno votato nel rispettoso silenzio dei media come è avvenuto in Italia, dove gli scarsi commentatori hanno voluto persuaderci che si trattava di rimedi e non di veleni.
È vero che i sacerdoti di quella ideologia dello sviluppo illimitato e immateriale erano influenti, è vero che avevano un certo appeal, quando li interpretava Michel Douglas digrignando i denti a Wall Street, è vero che i gonzi erano tanti illusi dalla speranza che quella che Hobsbawm ha definito l’età dell’oro – perché ci fu una fase nella quale si coniugarono crescita economica, aumento del benessere grazie alla stabilizzazione del tasso di disoccupazione e all’incremento dei salari reali – potesse durare per sempre. Ma la sbornia non poteva durare per sempre, se le disuguaglianze anziché attenuarsi, crescevano, con la sempre più tremenda contrapposizione tra blocco capitalistico e Terzo mondo.. e poi tra pochi sempre più ricchi in una diaspora variegata e poveri sempre più poveri, dappertutto compresi i vari Terzi Mondi interni, se la punizione dopo le troppe battaglie perse ha colpito Stati, lavoratori, imprese industriali grazie all’isteria dell’austerità usata come manganello e come grimaldello per aprire le ultime porte alla speculazione e con essa alla fine degli stati sovrani indebitati e ricattati.
Riconversione dell’economia, rilancio della domanda pubblica, nazionalizzazione dei debiti, ristabilimento della pari responsabilità dei Paesi creditori e del Paesi debitori, sarebbero i primi passi fondamentali per una reazione sana ai veleni del capitalismo, ma richiederebbero la restituzione alla politica del controllo dell’economia e in primo luogo dei movimenti internazionali dei capitali.
Ma quale politica? Non certo quella affidata a chi pensa che il semestre di presidenza Ue sia un’occasione di visibilità personale, una consacrazione sostitutiva proprio come le ultime elezioni, della investitura popolare. Non certo quella di chi – messo là apposta – pensa che al ricatto è ragionevole rispondere con l’ubbidienza, che se si è debitori anche degli estorsori più criminali è obbligatorio pagare, dimenticando quello che anche il racket sa, che non è redditizio ammazzare il moroso. Non certo quella di chi si annette agli strozzini per guadagnarci qualcosa, per conquistarsi la fiducia di padroni e sopraffattori, di chi ha imparato che il potere si conquista anche con la preventiva e propedeutica sottomissione.
Ci vorrebbe un po’ di Kirchner, ci vorrebbe un po’ di Argentina in Italia, se perfino Belen intervistata qualche tempo fa disse le stesse cose della sua presidente, piene di normale buonsenso, ci vorrebbe un po’ di tango nella danza macabra che ci fanno ballare.
Si, dalle mie parti Churchill veniva chiamato “ciocio” che significa sudicio suino, maiale, porco
Purtroppo c’è una sorta di ritardo storico fatale nell’accorgersi di certe cose. Quando l’Europa non era nel mirino della finanza sporca, chi di noi si era accorto che in Sud America l’FMI e gli Stati Uniti già operavano con criteri paramafiosi? Bisognerebbe scrivere la storia di questa paramafiosità di stato, sapere non solo dove venne sperimentata per la prima volta ma anche a quale tradizione culturale si appoggiò per giustificare la propria legittimità. Tra l’altro la chiamo paramafiosità non per attenuarne la gravità ma perché utilizza la legge per ottenere gli stessi effetti di ingiustizia e di sopraffazione che la mafia ottiene con le minacce. La paramafiosità è peraltro molto più pericolosa della mafiosità, infinitamente più pericolosa, perché anziché taglieggiare singoli cittadini, come nel caso del pizzo, rovina un’intera nazione in un sol colpo con pagamenti che non sono in realtà dovuti in quanto le leggi che sono alla base della richiesta di pagamento sono state anch’esse “comprate” attraverso la preventiva corruzione di uomini politici locali.
Usare la legge per obbligare all’ingiustizia è ormai il sistema più in uso e che garantisce non solo il raggiungimento degli obiettivi ma anche la loro “santificazione” in quanto ci si nasconde dietro il concetto malsano di “sacertà” della legge. Ossia, una volta decretata la trasformazione dello schifo in legge, lo schifo assume una veste inattaccabile: è diventato legge dello Stato. Wow!
Grandi maestri di questa strategia sono ovviamente gli Stati Uniti, grandi suggeritori e ispiratori del male travestito da bene, sommi esempi da cui tutti hanno imparato qualcosa. Basta pensare alla nostra stessa Costituzione che considera i trattati internazionali superiori persino a sé medesima per cui un trattato tra noi e l’Andorra che abolisse la Costituzione sarebbe inattaccabile a norma di costituzione! Forse è un’idea da dare a Renzi che si affanna così tanto a cambiarla quando sono sicuro che preferirebbe in realtà cestinarla. E che non se ne parli più per i prossimi duemila anni.
Ma un altro dei grandi libri che mancano all’appuntamento nelle librerie del mondo è quello relativo alle tecniche para-estortive profuse ultimamente dagli USA verso tutti i paesi che abbiano delle banche “appetibili”. Si noti come la megamulta di 10 miliardi di dollari che gli USA pretendono dal gruppo francese Parisbas è di tale entità che potrebbe tranquillamente comportare non solo il fallimento dell’istituto ma avere anche un effetto destabilizzante sull’economia francese attraverso l’arma unilaterale del rating. Ricordo che in questo caso la “colpa” di Parisbas è l’aver avuto rapporti d’affari con l’Iran in violazione dell’embargo, anch’esso esempio di violenza mascherata da legge perché l’Iran, come tutti i paesi del mondo, avrebbe tutti i diritti di sviluppare l’energia nucleare pacifica (e anche quella non pacifica visto che non si capisce perché il diritto alla difesa del proprio paese debba riguardare solo un ristretto manipolo di paesi. Se il Pakistan può avere l’atomica perché non la può avere l’Iran?)
Un altro libro dovrebbe poi riguardare i titoli tossici che potrebbero essere nient’altro che la più grande para-truffa della storia effettuata con il pieno consenso del governo americano per impoverire i paesi terzi. Mi ricorda quei casi in cui in India dei piccoli mafiosi obbligano dei passanti ad entrare in un negozio e a comprare qualcosa di assolutamente non voluto al prezzo che vogliono loro. Il vantaggio di questa tecnica estorsiva è che non si tratta di furto perché la vittima ha effettivamente comprato qualcosa. Lo dico perché non credo che le banche del mondo siano gestite da idioti e quindi tutti i vertici sapevano benissimo che i titoli tossici non valevano nulla ma, d’altra parte, erano imposti dagli Stati Uniti e non si potevano rifiutare. Perché poi, in fin dei conti, il concetto è sempre lo stesso: non siamo sovrani e dobbiamo fare quello che vogliono i nostri tutori d’oltreoceano.
Concludo con altri due libri da scrivere. Il primo è la rilettura dell’11 settembre dopo quanto abbiamo saputo dello spionaggio totalitario rivelato da Snowden. La tesi, fin troppo facile, ma ora molto più dimostrabile di prima, è che già allora gli USA avevano una capacità di sorveglianza e controllo totalitario, per cui l’idea che qualche cammelliere potesse attentare alle torri gemelle è un nonsenso. Chi poteva però guidare, armare e fiancheggiare i cammellieri verso l’esecuzione di qualcosa di così complesso erano ovviamente i servizi segreti, poco importa se con il consenso o l’ignoranza del presidente degli Stati Uniti. Le rivelazioni di Snowden mostrano ormai che nel complesso militare-industriale americano i servizi segreti costituiscono una terza polarità che sta acquisendo sempre più peso in virtù degli ingenti finanziamenti di cui hanno goduto proprio grazie all’11 settembre. Per non parlare della retrocessione in serie B (B come barbarie) di tutti i paesi del mondo a seguito dell’11 settembre. Ormai anche se un bambino ruba una caramella, rischia l’accusa di terrorismo.
L’ultimo libro che vorrei trovare negli scaffali reali o virtuali dei venditori di libri è anche qui una rilettura ma molto più impegnativa della precedente: si tratterebbe infatti di rileggere la storia degli ultimi cento anni di mondo alla ricerca di comportamenti che rivelino analogie con quanto stiamo vivendo ora. Per esempio, sto leggendo un libro curioso di Patrick Buchanan, noto esponente della destra tradizionalista americana ed ex candidato vicepresidente di Nixon ai tempi: “Churchill, Hitler and the Unnecessary War.” In questo saggio si suggerisce che le due guerre mondiali si sarebbero potute benissimo evitare. Buchanan non vede però le guerre come il riflesso della volontà delle aziende produttrici di armi (le uniche che senza le guerre fallirebbero e che per default dovrebbero essere indiziate fino a prova contraria) ma come una serie enorme di “errori”. Però nel raccontare di questi “errori”, viene scolpita la figura di un Churchill giovane guerrafondaio, liberista in economia e che fa di tutto per far entrare in guerra il Regno Unito contro l’opinione contraria del 90% dei ministri e dell’opinione pubblica britannica e che, in una lettera alla moglie scritta il giorno dopo la dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia, confessa: “My darling one & beautiful: everything tends towards catastrophe and collapse. I am interested, geared up and happy. Is it not horrible to be built like that?” (Traduzione: Mia carissima e bellissima, tutto tende verso la catastrofe e il crollo. Sono coinvolto, su di giri e felice. Non è orribile essere fatto così?)
L’idea che mi sta nascendo, e di cui cercherò riscontri, è che Churchill fosse al servizio in qualche modo degli interessi del capitalismo americano, una sorta di Blair ante-litteram insomma. Quando l’Inghilterra entra in guerra, gli altri ministri sono tutti angosciati e in preda a dilemmi da uomini normali, si chiedono cioè se hanno fatto la scelta giusta, sanno che cosa significhi una guerra. L’unico a non avere dubbi è Churchill che è letteralmente al settimo cielo. Il suo piano (suo ma forse non solo suo) è riuscito. Un tempo avrei pensato a una stranezza, a un carattere particolare, a un’eccentricità leggermente maniacale. Oggi, dopo Naomi Klein e le teorie capitaliste che vedono nei disastri di ogni tipo grandi opportunità economiche, sono portato a vedere nel Churchill descritto da Buchanan un antesignano del modello di politico che piace al capitalismo. Amorale, assolutamente senza scrupoli, gran parlatore, sublime inventore di slogan e totalmente fedele alla causa del capitalismo.