Anche ieri reparti dell’esercito ucraino mandati nelle regioni dell’est a reprimere le proteste della popolazione russa e russofona, sono passati dall’altra parte: in particolare centinaia di giovani cadetti hanno issato la bandiera di Mosca e in qualche caso anche quella rossa, mentre dappertutto i carri armati o si impantanano come quelli tedeschi di settant’anni fa oppure vengono fermati dalla folla o si arrendono: l’attacco del regime nazionalista di Kiev lanciato dal tracotante presidente ad interim Turchinov, si sta tramutando in una disfatta perché è del tutto evidente la pochissima voglia dell’esercito regolare di fare sul serio, anche se per caso ne avesse i mezzi e le competenze. Agli oligarchi di Kiev e al loro cambiamento di verso avvenuto grazie alle mene americane e alla desolante subalternità dell’Europa, non rimangono che le milizie di Settore Destro o i contractor giunti dagli Usa, in pratica le stesse forze sulle quali potevano contare all’inizio.
D’altro canto anche la popolazione delle regioni occidentali che grazie al cambiamento di regime si è trovata esposta alle famose ricette della troika, sembra sempre meno disposta a guardare con simpatia a questa avventura e ai miliziani che la difendono. Purtroppo questo insieme di fattori apre prospettive molto pericolose perché è evidente che lo spostamento dell’Ucraina nel campo Nato non è realizzabile senza un intervento esterno e/o un aperto appoggio e sostegno a un regime di chiara marca. Senza nemmeno citare le perplessità di molta dell’economia europea di fronte alle sanzioni nei confronti di Mosca e travolta dalla politica del premio nobel per la pace preventivo – uno dei peggiori presidenti Usa mai visti, un personaggio che non ha saputo essere nemmeno a un decimo dell’altezza di ciò che avrebbe potuto rappresentare. E che nel migliore dei casi dimostra come a Washington le lobby stiano sostituendo la democrazia. Senza nemmeno parlare della necessità di appoggiare il regime di Kiev con valanghe di miliardi in una situazione di acuta crisi economica.
Insomma si voleva gettare l’Ucraina fra le ruote del carro russo in ascesa e invece pare proprio che l’Ucraina rischi di finire negli ingranaggi dell’Occidente visto che anche una guerra finanziaria sarebbe a doppio taglio e probabilmente non vincente quanto meno per l’Europa dentro un mondo in cui l’asimmetria è ormai la regola. Altro che guerra fredda. E di certo la presenza di un vulcano continuamente in eruzione sarebbe un pericolo troppo grave. L’unica via d’uscita a questo punto è che il golpe di Kiev venga lasciato fallire, che la democrazia sventolata come menzogna serva almeno come alibi efficace per fare marcia indietro senza dare la sensazione di una sconfitta.
Disgraziatamente non credo che questo avverrà facilmente: le classi dominanti hanno imparato una cosa dalla crisi ed è che hanno bisogno di un nemico per resistere efficacemente alle conseguenze della regressione sociale che esse impongono. La massiccia infusione degli ideal tipi liberisti, la mutazione maligna di istituzioni come la Ue, la forza di strumenti di tortura come l’euro, non sono sufficienti ad evitare il pericolo che gli strumenti messi in piedi o resi funzionali al disegno, sopravvivano alla tempesta. Così niente di meglio che rimettere in campo l’antagonista tradizionale, quello cui si è già abituati e che non richiede costose riconversioni dell’immaginario, ovvero la Russia che paradossalmente non è più l’Unione sovietica, ma anzi un modello di oligarchia da far invidia a JP Morgan. Quindi anche il sostegno irrealistico alla farsa ucraina a suon di miliardi potrebbe rivelarsi un buon investimento: la Germania sarà costretta a comprare gas da Mosca per rivenderlo all’Ucraina a prezzo scontato? Migliaia di aziende rischiano di veder inaridire uno dei mercati in maggiore crescita? Piccolezze se questo è uno strumento per ricondurre all’ovile masse disperse, ma forse già sul punto di essere raggruppate dall’impoverimento generale sia pure senza un qualche obiettivo di lungo termine. Pretendi forse un contratto a tempo indeterminato e la sanità pubblica quando c’è il nemico alle porte?
Così la tentazione di lasciare un margine di incertezza e di scontro, di mettere le premesse per un’escalation è molto forte e si concreta con gli assurdi accordi di Ginevra che sembrano scritti e pensati un secolo fa e che sono inutili perché pretendono di passare in ogni caso sopra la volontà popolare in un piccolo gioco di potenze e potentati. Un invidiabile miscela per la guerra. E che in effetti un secolo fa la provocò.
Ringrazio innanzitutto il secondo anonimo per i suoi lusinghieri apprezzamenti. Ringrazio anche il primo anonimo perché, comunque, mi aiuta a capire che non tutti amano i commenti lunghi ma, in proposito, ho già esposto quello che penso e potrei solo aggiungere che, volendo, esistono dei sistemi tecnici che consentono di pubblicare un lungo commento nascondendone alla vista la maggior parte. Con questi sistemi il commento viene visualizzato solo parzialmente e chi è interessato a proseguire clicca su un pulsante “Espandi” e può leggerlo nella sua interezza. I commenti dello Spiegel online sono tutti concepiti in questo modo. Ovviamente è il gestore del blog che deve decidere queste cose, non i suoi lettori!
Rispetto alle considerazioni che facevo prima vorrei fare un’aggiunta. Mi è capitato ieri di leggere la lettera aperta che Mathias Döpfner, amministratore delegato del colosso multimediale Axel Springer SE, editore tra l’altro della Bild Zeitung e del quotidiano “Die Welt”, ha scritto a Eric Schmidt, uno dei due capi di Google. La lettera si chiama “Warum wir Google fürchten” (Perché abbiamo paura di Google) ed è una lettera che vorrei definire storica, la cui lettura è, direi, indispensabile per capire lo stato di sudditanza dell’Europa rispetto agli Stati Uniti.
Io mi lamentavo del fatto di dipendere da Google praticamente al 100% per quanto riguarda la mia microattività aziendale. Beh, con mia grande sorpresa, noto che anche l’AD della Axel Springer si lamenta dello stesso fatto: il business dell’impero mediatico Springer (nettamente superiore per fatturato a quello di Berlusconi, tanto per intenderci) dipende nella sua interezza da Google e dalle sue “fisime”. Il giorno in cui, tempo fa, Google cambiò il suo algoritmo di ricerca, uno dei siti della Springer perse di punto in bianco il 70% del proprio traffico!
Ma quello che preoccupa l’AD della Springer, al di là del fatto che il lavoro dei suoi 13.651 impiegati debba dipendere da decisioni imperscrutabili di Google, è l’enorme conflitto di interesse che fa sì che Google, nei suoi risultati di ricerca, privilegi sfacciatamente le sue aziende e le sue attività senza nemmeno più far capire all’utente che si tratta di risultati autoreferenziali. Data la costante politica di acquisizioni fatte da Google, la concorrenza SLEALE si trasforma sempre in più in concorrenza LETALE per le aziende che devono competere con un gigante che non si cura di chi è più piccolo o infinitamente più piccolo di lui non sapendo neanche dove sta di casa la fairness che invece, in quanto monopolista di fatto, dovrebbe aver cura di esercitare se non altro per prevenire azioni legali. Ma Google, come è noto, è al di sopra delle azioni legali.
Mathias Döpfner ci racconta come la Alex Springer faccia parte del gruppo di aziende che ha chiesto all’Unione Europea di intervenire contro il monopolio di Google e ci descrive anche i grotteschi risultati dell’ “intervento” europeo. Anziché punire Google e risolvere la situazione del conflitto d’interesse secondo buon senso ed equità, in modo da ripristinare la competitività delle aziende europee lesa dal gigante americano, la Commissione Europea ha ulteriormente ricompensato Google ottenendo nelle “trattative” che se un editore si sente ingiustamente colpito dai posizionamenti arbitrari delle aziende del gruppo Google in cima ai risultati di ricerca avrà diritto – udite udite – ad uno spazio A PAGAMENTO in testa ai risultati di ricerca! Mathias Döpfner definisce le decisioni della Commissione “EU-behördlich sanktionierte Einführung von Schutzgeld”, una formulazione che si potrebbe rendere liberamente come “sdoganamento ufficiale della prassi del pizzo da parte delle autorità europee”.
Al di là delle forti espressioni usate dall’AD della Axel Springer, questa lettera conferma comunque in modo inequivocabile che la Commissione Europea, anziché fare gli interessi delle aziende europee, fa gli interessi di Google e delle altre aziende americane. E non le importa superare la soglia del ridicolo o dimostrare palesemente la sua subordinazione all’impero americano. D’altronde, come poteva essere diversamente? Chi, come la Commissione, non si è peritata di implementare una sorta di genocidio economico delle nazioni d’Europa con l’argomentazione truffaldina dell’eccesso di debito, che problemi potrebbe mai avere a danneggiare anche il resto dell’economia europea, interessi tedeschi inclusi?
La lettera di Mathias Döpfner però contiene anche dell’altro. Per esempio, cita le parole impressionanti scritte dai capi di Google che si lamentano di non poter liberamente sperimentare delle innovazioni interessanti a causa delle restrizioni legali. Per bypassare queste restrizioni, pare che Google stia lavorando seriamente al progetto di realizzare dei microuniversi ospitati da grandi navi in acque extraterritoriali dove poter sperimentare in santa pace tutte le innovazioni che vogliono e che, presumibilmente, faranno parte del nostro futuro prossimo.
L’articolo, che è stato riportato per sintesi su molti giornali inglesi, va letto però nell’originale aiutandosi magari con un traduttore online (Google Translate oppure Microsoft Bing, tanto per cambiare!). L’originale si trova qui: http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/medien/mathias-doepfner-warum-wir-google-fuerchten-12897463.html?printPagedArticle=true#pageIndex_2
Ah, sono un ‘anonimo che frequenta questo blog, non quello che ha comentato qui sopra… ma mi trovo parecchio d’accordo con le osservazioni del Sig. Casiraghi, che con i suoi commenti certo arrichisce
e valorizza questo blog, che senza i suoi commenti risulterebbe a volte noioso e ripetitivo, grazie Sig. Casiraghi.
Caro casiraghi, il buon gusto e il buon senso sono valori universali, quindi ogni essere umano ha il dovere di “redarguire” chi li offende. Il titolare del blog non potrebbe farlo, essendo lui stesso estraneo a questi valori. Per quanto riguarda “kthrcds”, per lui, evidentemente, le recenti elezioni in Afghanistan e la straordinaria partecipazione di uomini e donne finalmente liberi dalla schiavitu’ dei preti talebani, sono, semplicemente, “nulla”. Forse il nulla risiede solo nella mente di kthrcds.
@ Roberto Casiraghi, (21 aprile 2014 at 14:08)
Buongiorno, Roberto,
no, per accorgermene me ne sono accorto, e in sostanza ciò che lei riporta è il quadro fedele della situazione. Io intendevo solo sottolineare che tutto questo ha un costo pesante per Washington, che non sarà sostenibile a lungo se continua a muoversi come ha fatto negli ultimi dieci anni creandosi dei nemici ovunque e che le attuali tecnologie che oggi sono alla base del predominio Usa domani saranno replicate anche da altre potenze, vecchie e nuove.
Poi è chiaro, come sottolinea lei, che non c’è da farsi illusioni sul corso degli eventi. Ma su questo, ormai, ho messo una pietra sopra da diversi anni.
Buongiorno kthrcds, Le dò intanto la risposta più facile. Io già uso Yandex sul mio iPhone (conosco anche un po’ di russo per la verità) ma il problema è che, giusto per stare al suo esempio, un sito verrebbe trovato tramite Yandex solo se la maggioranza dei suoi utenti usasse Yandex come motore di ricerca. Siccome in Italia quasi tutti usano Google, l’alternativa sarebbe convincere 60 milioni di italiani a passare a Yandex, cosa che è ovviamente improponibile.
Poi non mi farei delle illusioni su Yandex, Bing o Baidu. Sono sicuro che tra i grandi di internet esistono interessi comuni, politiche comuni, liste di siti da oscurare comuni per cui la dipendenza da Google, oggi, è un fatto ineliminabile, almeno nel nostro paese.
Sulla questione centrale se gli Stati Uniti stiano attualmente perdendo o guadagnando importanza, faccio una premessa di fondo. Io considero gli Stati Uniti il paese leader del neoliberismo, quello a cui attualmente il neoliberismo si appoggia perché ha una capacità di persuasione e ricatto, ma anche di offesa e difesa militare, nettamente superiore a chiunque altro. Ha inoltre “entrature” in tre quarti del pianeta tramite le sue basi militari ed è in grado di condizionare completamente la politica dell’Unione Europea come stiamo vedendo di recente. Il neoliberismo, nell’affidarsi agli Stati Uniti piuttosto che alla Cina o alla Russia, sa quello che fa, in particolare sa che Obama ha una forza di convincimento che né Putin né i leader cinesi avrebbero, sa che gli Stati Uniti sono il miglior interlocutore, il più fedele, il più affidabile, il più preparato anche ideologicamente, mentre i leader russi e cinesi hanno ancora nel recente passato i geni avversi del comunismo e chissà se se ne sono veramente liberati in modo definitivo.
Fatta questa premessa, il mondo del capitale non avrebbe alcun problema a cambiare cavallo se il nuovo cavallo si dovesse dimostrare più conveniente o capace di garantire meglio i suoi interessi a breve, medio e lungo termine. Quindi non ci sarebbe alcuna preclusione a puntare sulla Russia, sulla Cina o sull’India. Anzi, così facendo, si stimolerebbero ulteriormente gli Stati Uniti a rigar dritto e a non deviare dal suo corso di stretta osservanza. Cosa c’è di meglio che organizzare una bella competizione fra paesi potenti che la pensano tutti allo stesso modo?
D’altra parte, se guardiamo a quello che sta succedendo in Europa, non possiamo non concludere che, per quanto ci riguarda, mai gli Stati Uniti sono stati così presenti e determinanti (invasivi, sarebbe la parola giusta). Certo, a volte lo sono per interposta persona, attraverso politici locali che hanno messo lì a rappresentarli, ma il discorso non cambia. Lo sono anche per interposto spionaggio e anche se la cosa sembra non preoccupare troppo gli italiani, che si considerano un popolo spiabile a piacere, preoccupa sicuramente i politici europei, che per paura di spifferate dei servizi segreti USA sempre più frequenti negli ultimi tempi, si attengono rigidamente ai dettami americani per non compromettere la loro carriera politica. In più lo spionaggio americano si sviluppa anche nella direzione microscopica di scrutare ogni nostro movimento, ogni nostra ricerca su internet, ogni nostro scritto, ogni immagine che vediamo, ogni articolo che leggiamo e perfino a che pagina di un libro siamo arrivati. Hanno inventato internet per questo!
Noi europei, invece, non spiamo gli americani. Non sappiamo nulla di loro, di quello che segretamente leggono o vedono. Se spiare fosse importante, dovremmo farlo anche noi nei loro confronti, non Le pare? E se spiare fosse invece, come dice un comma dei diritti universali dell’uomo, una cosa che non si fa, dovremmo avere il potere di dire no ai nostri “alleati” americani. Ma non lo facciamo. Non è questo un altro segno del potere che hanno su di noi?
Guardiamo poi alla nostra vita di ogni giorno e paragoniamola a quella di vent’anni fa, pre-internet. Come si fa a non notare una massiccia preponderanza dei giganti del web che ormai si occupano di noi ad ogni livello e ci tolgono sempre più il pane quotidiano o, ancora peggio, sono gli unici che ce lo danno! Dove c’erano delle librerie italiane, ora c’è Amazon. Dove c’erano produttori di articoli di cartoleria italiani, ora c’è Gmail o Hotmail. Dove c’erano locali italiani dove ci si incontrava, ora c’è Facebook e Twitter. Dove c’erano agenzie pubblicitarie italiane, ora c’è solo Google. Non si nota un pattern costante di depauperamento di occasioni di lavoro nel nostro paese che vengono anch’esse delocalizzate, anziché in India o Cina, nelle nuvole dei giganti del web? E pensiamo che sia finita qui? Non ci siamo ancora accorti che anche tutto il resto si sta delocalizzando? Che internet è l’estrema spoliazione di quel poco che rimaneva della fisicità del nostro mondo locale (italiano, nella fattispecie) e che il trasferimento ha come meta, invariabilmente, una nuova aerea sede nelle nuvole statunitensi? Dove sono i Google europei, gli Amazon francesi, i Facebook italiani? Da nessuna parte. Non esistono. I pezzi di mondo che si delocalizzano e si dematerializzano non abitano più qui. Abitano oltre oceano. Questo è il vero irraggiungibile e definitivo predominio americano. Ma, forse, è meglio non accorgersene e non soffrire.
@ Roberto Casiraghi (20 aprile 2014 at 13:27)
In genere sono in sintonia con il suo punto di vista, questa volta un po’ meno.
Per come la vedo io gli Usa non son più in grado di imporre la loro volontà ovunque comunque, come accadeva nel secolo scorso.
“Se Google volesse, potrebbe non farmi trovare dal suo motore di ricerca”, lei dice. Ma non lo farà perché lei potrebbe trasferirsi armi e bagagli su Yandex, il motore di ricerca russo – io, ad esempio, lo farò appena si decideranno ad implementare la lingua italiana.
“non sappiano quello che fanno”
In effetti non lo sanno più da parecchio tempo visti i risultati dei loro sforzi in Afganistan, Iraq, Libia, Siria, Ucraina, Venezuela, ecc. Hanno speso una caterva di miliardi, accoppando centinaia di migliaia di persone per nulla, senza raggiungere i loro obiettivi e rendendo evidente che il vero pericolo per la pace sul pianeta è costituito da loro.
“sapevano benissimo come avrebbe reagito Putin”
Se realmente lo avessero saputo si sarebbero risparmiatiti questa figura da peracottari, perché dell’Ucraina che volevano annettere alla Nato non è rimasto molto, e l’altra parte, quella dell’est, è perduta definitivamente.
Per ciò che riguarda il favorire un’eventuale “terza guerra mondiale”, possono anche scatenarla. Ma poi mica la vincono. Se invece l’obiettivo è la semplice vendita di armi agli alleati, beh anche i russi in materia scherzano poco, sicché la situazione non cambierebbe granché.
Infine, i “nuovi reggitori dei destini ucraini” non dureranno molto senza gli aiuti finanziari provenienti da Mosca, sicché non vorrei essere nei loro panni tra non molto, quando gli ucraini dell’ovest si renderanno conto di che cosa significhi realmente essere “aiutati” dal Fmi e dall’Ue.
Buongiorno gentile anonimo, ho messo tra parentesi il significato che dò io all’espressione win-win nel contesto dato. Anche lose-lose non esiste, o comunque non è frequente, forse bisognerà che Lei si abitui alle mie licenze “prosastiche”. L’importante, in tutti i casi, è che quello che voglio dire si capisca, e, almeno nel suo caso, non vi è dubbio che Lei abbia capito! Quanto alla lunghezza del commento, forse ha ragione Lei o forse dovrebbe essere il titolare del blog a “redarguirmi” e, se lo facesse, sarei più che felice di mettere la penna a posto data l’enorme stima che ho per lui. Per il momento, continuo ad illudermi che i miei commenti-ragionamenti siano utili e contribuiscano al dibattito acceso da Mr. Simplicissimus con i suoi illuminanti post.
Caro casiraghi, un commento non dovrebbe essere piu’ lungo dell’articolo. E’ una questione di buon gusto e di buon senso. Detto questo, il termine “win-win” non significa “vinci in ogni caso”, come sostieni tu. E’ un’ espressione usata per descrivere una situazione conflittuale tra due parti che si risolve in modo positivo per entrambe.
Molti compiono l’errore di considerare gli Stati Uniti un paese imbelle con governanti privi di senno che, sbagliando di continuo senza avvedersene e accumulando brutte figure su brutte figure, lo stanno condannando inevitabilmente alla decadenza.
Però già Sun Tsu, autore del primo trattato di strategia militare della storia, “L’arte della guerra”, stilato diversi secoli prima della nascita di Cristo, scriveva massime di questo genere:
– fondamentale in tutte le guerre è lo stratagemma
– se sei capace, fingi incapacità; se sei attivo, fingi inattività
– se vuoi attaccare in un punto vicino, simula di dover partire per una lunga marcia. Eccetera eccetera.
Approfittando del fatto che l’opinione pubblica più “avvertita” tende a considerare gli Stati Uniti un paese in coma, loro ci stanno trasformando lentamente in loro colonie senza che ce ne accorgiamo neppure. Non solo siamo già da decenni al servizio delle loro guerre (“missioni di pace”, ovviamente) e siamo abituati a spendere ingenti risorse economiche e molte vite umane per la loro maggior gloria, ma l’impero americano, che si poteva fino a poco tempo fa considerare una sorta di metafora circoscritta, si sta proprio in questi anni avviando a diventare realtà concreta perché a capo di tutti i paesi europei c’è ormai personale politico italiano, francese, tedesco, svedese, spagnolo eccetera che condivide al cento per cento la filosofia politico-economico-culturale americana e che sta implementando su commissione un progetto di rottamazione dei valori europei e di tutto ciò che costituiva la specificità della nostra cultura e ci distingueva dai nostri “alleati” d’oltreoceano. Il punto di arrivo, come testimoniano anche i negoziati dei trattati TAFTA/TTIP in corso, è l’omogeneizzazione dei due mondi, europeo e americano, sia dal punto di vista commerciale che culturale, premessa forse per un’unione anche politica in un futuro magari non vicinissimo.
Ecco perché parlare di debolezza del modello americano mi sembra abbastanza fuori luogo in un momento in cui questo modello si sta imponendo a noi in modo così massiccio e totalitario. Per dire, sto scrivendo queste righe con software americano, poi le inserirò su un blog WordPress americano, dopo andrò magari a lavorare sul mio sito (ospitato ovviamente su server americano) il cui stesso nome è gestito da una authority privata americana che me lo potrebbe cancellare per qualsiasi motivo rendendomi inesistente su internet. A fine giornata, infine, andrò a consultare quanto ho guadagnato oggi con gli annunci che Google mette automaticamente sulle mie pagine web e che sono diventati la mia fonte di reddito più sicura. Ah, dimenticavo. Se Google volesse, potrebbe non farmi trovare dal suo motore di ricerca e azzerare i miei guadagni presenti e futuri! Ecco fino a che punto oggi dipendiamo da questi “decaduti” di americani…
La morale è che ci vuole molta cautela anche nel giudicare i fatti ucraini. Nessuno può pensare che gli Stati Uniti, che investono in studi strategici delle somme inconcepibili, non sappiano quello che fanno. Hanno speso miliardi di dollari per favorire il colpo di stato ucraino, sapevano benissimo come avrebbe reagito Putin (e, beninteso, sempre che lo stesso Putin non abbia preventivamente concordato il putsch con Obama, possibilità assolutamente da non escludere) e cosa avrebbe fatto l’Europa (anche perché già la comandano a bacchetta).
Quello che ancora non si sa è se gli USA si siano messi sulla strada di favorire lo scoppio di una terza guerra mondiale, che sarebbe la panacea per risolvere tante bolle finanziarie insanabili, oppure se il loro scopo sia più limitato ed è quello di recuperare con la vendita di armi agli alleati “spaventati” dalla nuova “aggressività” russa le somme (con gli interessi!) che hanno speso per comprarsi la fiducia dei nuovi reggitori dei destini ucraini.
Nel discorso ucraino non c’è, secondo me, alcun fallimento americano. Gli americani operano sempre secondo una logica strategica di tipo win-win (=vinci in ogni caso), ossia qualunque sia l’esito di una loro mossa non perdono, al massimo vincono di meno o devono rimandare la vittoria finale a un’ulteriore mossa o sequenza di mosse. Quelli che invece perdono sempre, e con una logica del lose-lose (=perdi in ogni caso), siamo noi europei, noi popoli buonisti che non vediamo più in là del nostro naso, che ci entusiasmiamo per Monti che sostituisce Berlusconi, Letta che sostituisce Monti, Renzi che sostituisce Letta e, domani, Grillo che sostituisce Renzi.
“Mosca non deve fare altro che attendere che i “rivoluzionari” scoprano che gli “aiuti” promessi dalla Ue sono aria fritta, dopodiché si prenderanno a mazzate tra di loro.”
il problema è che i pazzi furiosi di Washington sanno benissimo che il tempo gioca contro di loro perchè li costringerà a mostrare le carte e PROPRIO PER QUESTO pretenderanno dai fantocci di Kiev la guerra aperta prima che gli ucraini vedano il bluff
Putin ha dimostrato di saper difendere gli interessi della Russia prendendo decisioni difficili in tempi rapidi, il che ha fatto salire di molto la sua popolarità tra i russi e ha reso evidente che i “falchi con le ali di pollo” al Pentagono non sono poi così astuti come pensano.
Con la vicenda ucraina Putin si è preso la Crimea, le sue importanti risorse, la possibilità di mantenere la flotta a Sebastopoli a tempo indeterminato e anche la gratitudine dei suoi abitanti. Yatsenyuk si è preso la responsabilità di gestire un tragico fallimento, attorniato da elementi talmente impresentabili che uno dei leader di “Settore destro”, Aleksandr Muzychko, è già stato eliminato, e Obama ha reso evidente che non c’è poi tutta questa differenza tra lui e chi lo ha preceduto, e infine che Washington dovrà abituarsi in futuro a dare un indirizzo più realista alla propria politica estera.
Siccome gli Usa non sono abituati a comportarsi ragionevolmente, c’è da temere da parte loro una reazione sconsiderata. Da una nazione il cui presidente 11 anni fa pensava di “conquistare i cuori e le menti degli iracheni” a suon di bombardamenti, e ancora oggi è convinta che il “destino manifesto” dell’America sia quello di guidare il mondo esportando democrazia anche a costo di accoppare centinaia di migliaia di persone – come è accaduto in Iraq e Afganistan solo per parlare degli ultimi 14 anni, altrimenti i morti si contano a milioni – c’è da aspettarsi di tutto.
Intanto Mosca non deve fare altro che attendere che i “rivoluzionari” scoprano che gli “aiuti” promessi dalla Ue sono aria fritta, dopodiché si prenderanno a mazzate tra di loro.
L’ha ribloggato su Per la Sinistra Unitae ha commentato:
#Ucraina
leggete:
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13248