Ca'_Foscari-Aula_BarattoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Il decano di Ca’ Foscari, oltre 100 docenti e gli studenti di Ca’ Foscari, l’Università di Venezia, scendono in campo contro il rettore, promotore di una incauta svendita, anzi di uno scambio inspiegabile perfino da un punto di vista commerciale, in una delle sedi storiche destinate allo studio dell’economia. Si è deciso infatti che tre edifici storici dell’università vengano ceduti in cambio di una palazzina  anonima datata 1957. La motivazione è sempre la stessa: è necessario ridurre le spese, i fondi per l’istruzione universitaria e le sue strutture calano e – come raccomanda l’ideologia di governo – è d’uopo essere realistici., disfarsi in fretta anche dei gioielli di famiglia, soprattutto se hanno adornato i templi della cultura e dell’istruzione che come è stranoto non si possono collocare tra due fette di pane.

Poco importa che della fama e dell’attrattività di Ca’ Foscari facciano parte anche il senso di appartenenza che suscita la circolazione di idee e conoscenza in luoghi che hanno acquisito una loro sacralità:    Ca’ Cappello, affacciata sul Canal grande, costruita in epoca gotica e sede storica degli studi di area orientalistica a Venezia, Ca’ Bembo, nel sestriere di Dorsoduro e palazzo Cosulich, affacciato sul Canale della Giudecca alle Zattere, di fronte al Mulino Stucky.

Eppure sono proprio questi tre luoghi di culto del sapere che verranno ceduti in regime di permuta in cambio di una scialba Palazzina  pomposamente chiamata Ca’  Sagredo, anche se risalente agli anonimi anni ’50, di proprietà del “Risparmio immobiliare uno energia”, un fondo immobiliare chiuso e quotato in borsa,  in modo da fronteggiare “pragmaticamente” la collocazione razionale  dei due dipartimenti della facoltà di Lingue, anche se nella “vantaggiosa”  operazione non sono stati conteggiati i costi necessari per la ristrutturazione del bloccone di cemento, la cui struttura è per sua natura poco flessibile, in barba all’ideologia corrente.
La petizione di decano, docenti e studenti entra nel merito della confusa e opaca operazioni. Ma anche fosse limpida e profittevole, resta l’antieconomicità nel lungo periodo di un intervento che toglie appeal, sottrae tradizione e memoria a un’istituzione culturale. D’altra parte siamo nello spirito dei tempi: penalizzare una università pubblica in favore di quelle private, che proprio nel campo delle scienze economiche e linguistiche hanno già permesso una verifica dell’efficacia, tramite premier e ministri, grazie a teorie e ricette sulla crisi che oggi motiva la squallida permuta.

1868 è l’anno di fondazione di Ca’ Foscari, non è una delle università più antiche d’Italia ma rispecchia uno dei caratteri che fecero grande la città che la ospita, dove perfino l’artigianato diventava sapienza “alta” e sofisticata in virtù di scuole che trasmettevano conoscenza e tecnica, dove studiosi illustri erano chiamati a tenere lezioni e corsi finanziati con  fondi privati e della Serenissima. Dove la passione per la cultura umanistica, per il latino e il greco, sono testimoniati anche dai lasciti di studiosi alla Biblioteca Marciana, come nel caso di Bessarione, dove i mercanti facevano studiare i figli a Padova o in università straniere volendoli eruditi non solo della matematica, della pratica commerciale,  della scienza, ma della filosofia, dei classici, della logica. E non per farne dei medici e degli avvocati, bensì solum mercatores, solo mercanti, ma, quindi, più colti, più sicuri, più competitivi. E quindi anche più congeniali al  grande progetto di una potenza egemonica in termini commerciali, politici e culturali.

Le città sono fiere delle loro università, che rappresentano un investimento e una ricchezza, perché attirano giovani, fanno circolare idee, esaltano accoglienza.

Appunto per questo uno dei capisaldi del regime mondiale che ci governa è quello di avvilire l’istruzione e la conoscenza, anche in queste forme apparentemente marginali: perché così si consuma la storia, la dignità, l’identità stessa dei popoli, perché così è più facile piegarli ai ricatti, ridurli a una generico e diffuso anonimato, l’effetto più infame della globalizzazione, perché in esso si consumano più sfrontatamente le disuguaglianze e la soppressione dei diritti, perché così, come sta avvenendo con le permute e le compravendite in materia elettorale, si annienta la possibilità di partecipare delle scelte e si annientano le democrazie.