Con il capo, ex fiduciario di Tremonti, fuori sede per compiti ministeriali, l’Istat sembra far volare i suoi numeri: e così nelle ultime rilevazioni si scopre che nel secondo trimestre del 2013 i disoccupati sono ormai più di 6 milioni conteggiando chi ha perso il lavoro e chi non lo trova: circa 3 milioni per ciascuna categoria. Forse il dato in crescita era ampiamente atteso, ancorché deprecato e peraltro già noto grazie alle anticipazioni dell’Istituto di statistica, ma la lettura complessiva va fatta tenendo conto di un’altra cifra, vale a dire l’aumento fino a 650 mila unità della sottoccupazione e quella del “part time” involontario, ormai arrivato alla cifra di 2 milioni e mezzo di persone con un aumento di 200 mila unità rispetto all’anno scorso.
Questo evidenzia che il problema non è solo e soltanto la mancanza di lavoro, ma che quel poco ancora esistente va soggetto a un continuo degrado che si riflette sui livelli di salario, sulla ricattabilità e non ultimo sui livelli di consumo. In una parola meno lavoro e di minore qualità che è il segno dei tempi. Altrove come in Germania e in Usa gli indicatori dell’occupazione “tengono”, in qualche caso pure tendono a rialzarsi, ma presentano sempre questo secondo aspetto, ovvero un crollo di livello, di competenza e ovviamente di retribuzione.
L’Italia è affetta da entrambe queste caratteristiche denunciando non soltanto la profondità della crisi in cui si è avvitata, i lunghi anni di oblio della politica vera e l’incapacità delle classi dirigenti di farvi fronte, per non parlare della governance europea che merita un discorso a parte. Non mi sembra una follia sostenere che in questa situazione invece di baloccarsi con le sue ambizioni, salvezze e schifezze il sistema politico dovrebbe riconoscere l’impossibilità di rimandare ulteriormente provvedimenti draconiani, esattamente contrari a quelli adottati finora. In pratica un sussidio di disoccupazione generalizzato che a conti fatti (cioè con il ritorno in tassazione diretta o indiretta e in minori spese) costerebbe parecchio meno di quanto ci costano le missioni di pace e l’acquisto di armamenti, ma almeno favorirebbe una qualche ripresa con l’aumento dei consumi.
L’ostacolo è puramente ideologico, al contrario di quanto non si pensi. Un sussidio di disoccupazione è infatti un antidoto al ricatto sul lavoro e ai salari troppo bassi, al precariato selvaggio, al lavoro nero, permettendo alle persone di non dover accettare qualsiasi cosa e a qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Un colpo allo sfruttamento intensivo. Ed è proprio questo che fa storcere il naso alle classi dirigenti: tanta crisi per nulla, proprio no.
Dati attendibili e purtroppo attesi, ancorché veritieri, e forse per difetto. Un decimo della popolazione italiana inoccupata, cui vanno aggiunti i sottocupati e i lavoratori gratuiti (cioè quelli che prestano manodopera e servizi intellettuali a 0 euro, solo per non rimanere mani in mano o “per farsi conoscere”, o in attesa di retribuzione, campa cavallo…), e inoltre pensionati e giovani in età scolare, da aggiungersi alla “popolazione inattiva” (anche se la locuzione mi sembra impropria). Ora che quel mentecatto, indoratore di pillole e mistificatore di cifre fa il Ministro del (non) Lavoro, vengono fuori come un verminaio sotto il tufo di un giardino i numeri più aderenti alla realtà, che nessun corifeo di regime potrà edulcorare.
Purtroppo nessuno ha in procinto di cambiare le ricette che ci hanno portato a questo disastro, nemmeno gli aspiranti Premier prossimi venturi. Basta dar una scorsa e un’orecchiata in quel della Leopolda alle innumerevoli baggianate che sono state vomitate da un personaggio che in Paesi leggermente più presentabili del nostro avrebbero mandato a lavorare con la qualifica di reggi-sacco-per-le-defecazioni-degli-elefanti al Circo Barnum, quel davide serra, una metastasi che ciarla di come sconfiggere il cancro, uno di quelli che se gli fanno il guanto di paraffina ha le mani lordate di polvere da sparo delle P-38 che hanno killerato l’economia sana di questo come di altri Paesi. Insomma un pieno di vuoto che ha riempito il tutto di nulla del blateratore fiorentino.
Considero i più colpevoli i partiti che si rifacevano alle ideologie di sinistra di questa situazione ed i sindacati. E’ noto infatti che la destra persegue questi obiettivi di divisione della classe lavoratrice per contenere i costi di produzione ed incrementare, a favore del capitale, la quota di plusvalore da ripartire. Se si persegue solo il metodo assistenziale e non si cerca di dare quello che spetta ai lavoratori e cioè il controllo dei mezzi di produzione qualsiasi riforma è destinata al fallimento. In un paese come l’Italia non si capisce a cosa servano i padroni visto che hanno quasi sempre utilizzato le risorse statali per mantenere e far evolvere (spesso in peggio) le proprie aziende. Personalmente penso che prima di fare qualsiasi battaglia per la sopravvivenza della forza lavoro sia indispensabile spostare il potere decisionale a livello di imprese dai “capitalisti” a chi effettivamente lavora e produce. Poi, o anche meglio insieme, si dovrebbe procedere alla realizzazione di un sistema di protezione economica dei lavoratori organizzato in modo da impedire ricatti e vessazioni in quanto indispensabile per motivi basilari di civiltà. Certamente è un passaggio necessario, ma senza la presa del diritto decisionale dei lavoratori temo che questa riforma potrebbe essere usata dalla destra per effettuare manovre del potere economico contro i diritti dei lavoratori.