Anna Lombroso per il Simplicissimus

Di loro tutto si potrà dire ma non che siano delle ingrate.

Si potrà dire che hanno votato il Jobs Act, la Buona Scuola, il taglio di tre miliardi di tasse dei lavoratori, la Legge Fornero, che fiere di essersi prestate a iniezioni fatali e propagandiste delle tessere di cittadinanza a punti, proprio come la Meloni, d’altronde.

Ma non che siano delle ingrate. Eccole sfilare contrite per via di qualche sconsiderata innocente ribellione del passato, per qualche intemperante piccolo capriccio di avide forosette, en travesti  con le nuove divise d’ordinanza, chemisier punitivi, magliette sapientemente informi, gonne appena sotto il ginocchio che penalizzerebbero anche Naomi, innocenti e canide camicette dell’Oviesse.

Ci sono quelle che un tempo animarono le cene eleganti immemori, c’è la leggendaria migliore amica dei cagnolini da compagnia pronta a mettersi in gioco per il bene comune, e c’è la Boldrini che  ricorda che la sua inossidabile candidatura è il dovuto riconoscimento per le sue battaglie contro le macchine del fango condotte da chi prende a pretesto un malinteso spirito critico per orchestrare cospirazioni sessiste.

Per carità qualche esclusa penalizzata per via di non potersi fregiare del titolo di consorte eccellente ringhia avvelenata, ma vedrete che ci sarà modo di ricompensarla, un cda, una presidenza non si negano a nessuno.

È una nuova edizione delle specialità di genere, che predica la fine di lotte  controproducenti. E’ il tempo delle guerre vere e basta dunque con la lotta dei sessi, basta ridicoli ammutinamenti:  in gioco è il futuro del Paese e tutti/e sono tenuti a impegnarsi lasciando da parte velleità, arrivismi, accomunati dalla volontà di contribuire con abnegazione a restituire reputazione, lustro e un posto al sole  all’Italia benevolmente riammessa dai Grandi in cambio di obbedienza, pentimento e sacrifici.

Le nuove cifre in rosa consistono nell’accettazione volonterosa e appagante della gregarietà e della subalternità, così riposanti e elargite in cambio  del riconoscimento di meriti personali legati appunto alla rinuncia a aspettative troppo elevate e incompatibili, così come sono state abituate a fare da sempre le   signore dei ceti borghesi e piccolo borghesi, paghe di camminare qualche passo indietro per lasciare la scena a uomini autorevoli e influenti, pronte all’abdicazione di ambizioni salvo quella di nuovo conio di collaborare alla ripresa e resilienza in ruoli e destini secondari.

Non è cosa nuova: è sufficiente guardare alla retrocessione di papesse in porta acqua zelanti, che se  venivano collocate in funzioni prestigiose si sapeva già che si trattava di incarico a termine da condurre per mettere la faccia su obbrobri, oltraggi e feroci sopraffazioni, irrorate di calde lacrime  e foriere di odio e risentimento il solerte ripescaggio di tv e stampa pronti a recuperi e passerelle negoziate per rendere più accettabili a distanza di tempo segni e caratteri di infamia.

Eccole qua, immortalate nelle foto di rito cui si sottraggono ragionevolmente le sindacaliste che hanno celebrato i più biechi tradimenti, schierate e giudiziosamente orgogliose della grazia ricevuta,  come scolarette e in mezzo, paterno, l’artefice della loro fortuna, lui,  il benefattore benevolo cui dovere eterna riconoscenza, eterna fino al prossimo leader, alla prossima coalizione, ammesso che qualcuno trovi gusto nel ripetere queste commemorazioni di una democrazia consumata dall’abuso.

Qualcuno però non si accontenta, alla fine la presenza femminile resta marginale, IoDonna del Corriere lamenta che è vero che ci sono competenze e capacità indiscusse, ma la qualità deve consistere anche in una quantità che possa davvero lasciare l’impronta di genere, per non dire di Repubblica che denuncia:  “Le elezioni parlano al maschile”, sarà pure entrato, nero su bianco, nella Costituzione. Ma del principio delle “pari opportunità “, ora che ci sono le elezioni, non si ricorda nessuno.

 

Certo rassicura il fatto di poter nuovamente testare le professionalità combinate con le speciali caratteristiche femminili di sensibilità, attenzione e dedizione all’ascolto che ne so, della Morani, della Prestipino, della Cirinnà, della Serracchiani, ma avremmo diritto anche noi italiane a farci rappresentare da qualcuna ancora più speciale, meglio se coniuga sesso e giovinezza, una Sanna Marin, esuberante traghettatrice del suo sventurato Paese nella Nato con gli effetti collaterali che noi sperimentiamo da più di settant’anni. Ma che compiuta l’impresa criminale se la spassa sventata, dissipata e trasgressiva nella sua personale lotta ai pregiudizi.

Mentre a noi spetta quella mollacchiona della Schlein che tra svolta green, win win, “parità di genere”- che non si usa più l’angusto stilema “liberazione”, per carità, o riscatto- visto che non ci meritiamo più neppure le nonunadimeno, le femministe neoliberiste che volevano sfondare il soffitto di cristallo per sostituirsi perfino a Calenda o Renzi, perfino a Casini, imponendo per ricambio automatico i loro miserabili valori di sopraffazione e infedeltà.