Anna Lombroso per il Simplicissimus

Dovevamo, fino a qualche giorno, fa dire grazie al Covid, che, dandoci una nuova consapevolezza del valore della vita, aveva prodotto  una rivoluzione morale dando adito a comportamenti morigerati e responsabili, all’applicazione  di principi di precauzione severi e selettivi utili a evitare contatti impuri, alla doverosa considerazione della obbligatorietà delle regole  saggiamente imposte da “chi sa”.

Da qualche giorno dobbiamo essere grati a Putin, che ha sostituito il nemico invisibile con una presenza concreta, invece,  e fisicamente e politicamente   esuberante: la sua feroce e aggressiva determinazione  ha avuto il merito di ricreare quella unità ideale e di intenti cui aspiravano i  padri dell’Europa, ha riacceso in menti narcotizzate dal benessere la fiammella di quei valori di giustizia e libertà che con qualche insuccesso l’alleanza nata nel dopoguerra ha tentato con tenacia di esportare in geografie renitenti alla democrazia. E ha prodotto prodigiosi  risultati pedagogici nel pubblico pagante, schierato nella trincea non solo virtuale a difesa di prerogative, garanzie e diritti dei quali si è fatto espropriare senza reagire pur riconoscendone le qualità e i meriti.

Si tratta della fertile potenza di quello che ormai viene chiamato capitalismo delle catastrofi, che si manifesta producendo e riproducendo potenziali apocalittici che si ripetono, ma presentandoli come imprevedibili incidenti della storia, cigni neri che si materializzano sorprendentemente nonostante la visione profetica e lungimirante delle autorità e con tutte probabilità, lasciano intendere, favoriti dai  comportamenti irresponsabili della collettività.

Filoni di pensiero li interpretano come frutto velenoso della reiterazione dei corsi e ricorsi della storia, che ci manda in onda la replica della barbarie e del medioevo, mentre è più probabile che si tratti solo dell’espressione degli elementi costitutivi  e aggiornati del sistema di sfruttamento, disuguaglianze, repressione, che via via assume nuove forme totalitarie e autocratiche.

Il contributo della globalizzazione a questi processi è dimostrato dalla coincidenza e combinazione su scala planetaria di crisi che  assumono dimensioni e portata generale, che si normalizzano in modo da diventare incontrastabili se non con misure eccezionali  decise e avviate da un potere centralizzato autorizzato a demolire le democrazie e i sistemi di protezione sociale adottando su scala esterna ed interna le procedure dell’imperialismo:  crisi ecologica, crisi epidemiologica, crisi economica ormai a carattere permanente, instabilità geopolitica.

Poi ci sono luoghi nei quali si sperimenta con maggiore vigore la politica degli shock per mettere alla prova la capacità dei funzionari del sistema dominante di mettere a frutto le emergenze e i disastri che ha provocato, allo scopo di accumulare ancora maggiori profitti e potere e di instaurare regimi autoritari grazie a stati di eccezione e alla istituzione di corpi e organismi paralleli a quelli dello stato, coi quali si saggia anche l’indole alla soggezione e all’obbedienza di ceti impoveriti e spaventati che si assoggettano in cambio di standard minimi di instabile e  precaria sicurezza. con un ulteriore risultato, quello di riconfermare il principio dell’impunità dell’oligarchia dominante, dei poteri sovranazionali rapaci, immuni a leggi confezionate fuori dai parlamenti in studi legali al loro servizio, dei governi composti da membri della stessa nomenclatura che si prestano ad agire da sicari e esattori, anche grazie all’indebolimento del diritto internazionale e dei suoi strumenti, alla subalternità degli enti preposti alla sua “sorveglianza”, come l’Onu, e retrocessi o a onlus ininfluenti oppure a organizzazione sotto contratto con la Nato.

C’è però qualcosa di nuovo e di ancora più iniquo, del quale dobbiamo prendere atto: il potere totalitario, ha riassunto in sé tutti i caratteri di una religione che detta i dogmi, punisce l’eresia o premia i fioretti e gli atti di fede, facilitato in questo dalla potenza del dominio della comunicazione, della propaganda e della “pubblicità”, che legittima il controllo sugli individui con un valore aggiunto di carattere etico ed educativo, quello che deve conviverci della bontà delle rinunce, delle virtù dei sacrifici, dei pregi dell’austerità e della bellezza della sofferenza, della severità e della frugalità, doni concessi in regime di esclusiva agli umili che possono così emanciparsi dalla loro condizione di inferiorità.

Anche questo fa parte dell’arsenale di chi comanda con le armi, tutte, ma vuole anche guadagnarsi il consenso grazie all’imposizione di “valori” e canoni, di cui possiede le royalties nel mercato azionario dell’etica pubblica, effettuata grazie al ricorso alla menzogna che nessuno deve avere l’ardire di smentire, salvo i successivi ripensamenti offerti come viatico a conferma della  buona volontà delle intenzioni e della  trasparenza del ravvedimento che indicano che perfino quando punta la pistola l’impero è aperto e democratico.

Hanno questa natura le mezze verità somministrate a piccole dosi e impercettibili nella valanga di bugie, si tratti di epidemia, si tratti delle vittime delle sanzioni, noi, si tratti del mostro del Cremlino, talmente ambiguo che continua a rispettare i contratti per il nostro approvvigionamento per confonderci le idee, si tratti dell’elemosina europea che stiamo già rimborsando con aumenti, perdita di beni e servizi, svendita del nostro patrimonio pubblico (è di due giorni fa la notizia che   Eni ha ceduto a Sixth Street, una delle principali società di investimento a livello globale, il 49% delle azioni detenute in Enipower), si tratti della colpevolizzazione di ogni atto di opposizione e dell’obbligo all’abiura del senso critico,  della libertà di opinione e di coscienza.

Non ci resta come sempre da sperare che qualche residuo di consapevolezza, di dignità, di esercizio autonomo della ragione risieda ancora tra la gente, tra chi non si è ammaestrato al servilismo per assicurarsi il possesso di miserabili privilegi.

Come i portuali di Pisa e di Livorno che si sono rifiutati di caricare armi e munizioni dirette in Ucraina, perché sanno che anche questa come tutte le guerre la pagheranno  i popoli.