Anna Lombroso per il Simplicissimus

Lo ammetto a volte, raramente, anche io fatico a resistere alla tentazione di desiderare un destra forte, strutturata e esplicita che ci aiuti a distinguerla da quella goffa imitazione in uso presso  banchieri e bancari, imprenditori avidi, amministratori corrotti, militari di carriera prestati al bene comune che  occupano gli spazi sociali, politici e morali con valori usurpati: ambientalismo, antifascismo, solidarismo, femminismo.

A chiamarla ancora sinistra sono rimasti solo vecchi arnesi che la condannano o la rivendicano per interesse personale, da Berlusconi a D’Alema, purchè accoppiata con quel centro sempre vagheggiato ai fini della “governabilità”, della conservazione, cioè, del potere, delle rendite e del prestigio che ne derivano.

È per questo che succede di rimpiangere icastici slogan di un tempo perché possedevano il gusto iconoclasta e perentorio della chiarezza e  bollavano convinzioni e azioni che dietro l’ipocrisia legittimata dal politicamente corretto lasciavano inviolati totem e tabù, disuguaglianze e ingiustizie.

Come non avere nostalgia della cara e vecchia  definizione di “buonismo” per catalogare la vicepresidente  dell’Emilia Romagna audacemente promotrice insieme a altri prodi, con la minuscola, di una legge che stabilisce la possibilità per i senza tetto (che dal primo gennaio aumenteranno esponenzialmente) di avere un medico di base.

Si deve all’inimitabile modello emiliano il conio di un provvedimento pilota esemplare  grazie al quale  anche i cittadini e le cittadine italiane senza fissa dimora e privi di qualsiasi assistenza sanitaria potranno iscriversi all’anagrafe sanitaria per la scelta del medico di base e avere garantiti i cosiddetti Lea, i “livelli essenziali di assistenza“. “Un diritto fondamentale, quello alla salute, che non può essere negato a nessuno e che un’istituzione ha il dovere di garantire a tutti”,  sottolinea la Schlein .

Questa è la sanità pubblica e universalistica che vogliamo… che garantisca assistenza e cure a tutti i suoi cittadini e cittadine, senza alcun tipo di distinzione“, si compiace, aggiungendo si deve al Covid questa lezione di civiltà che insegna “che il diritto di curarsi è un diritto collettivo, anche per garantire la salute di tutti”.

Non è la prima volta che  la Leader della formazione dei Coraggiosi ci fa  sospettare che viva in una di quelle bolle artificiali separate e protette dai miasmi e dai versacci della marmaglia, dove è possibile mantenere insieme a privilegi inviolabili quel necessario distanziamento sociale che garantisce la corretta manutenzione di principi morali e di libero arbitrio che lo stato di necessità ostacola.

È già successo quando il suo presidente pretendeva che i percettori di reddito di cittadinanza venissero reclutati per svolgere lavori forzati nei campi al posto di immigrati renitenti, o quando sempre Bonaccini chiedeva che si ripristinasse il regime di autorizzazioni per le trivellazioni in mare.

Solo una condizione di totale estraneità realtà giustifica il suo orgoglioso giubilo per l’attuazione di una norma costituzionale vigente ma inapplicata dal 1947, come se si trattasse di una originale adesione a ideali di carattere umanitario. O spiega il suo silenzio complice in merito alla pressante istanza secessionista della sua Regione che insieme alle  due  governance leghiste esige una maggiore autonomia  proprio nelle materie e nelle attribuzioni di carattere sociale e sanitario.

Va a spiegarle che ci fosse ancora il Salvini di una volta riderebbe all’idea di una norma che prevede la tutela dei senzatetto intercettati dalle Asl, raggiunti sul cartone e abilitati a scaricarsi le ricetta sullo smartphone o a essere assistiti in caso di emergenza grazie ai prodigi digitali in regime di telemedicina, direttamente sulla panchina del parco.

Va a spiegarle che la lezione del Covid ci conferma che la sanità pubblica e universalistica non si è realizzata, per via della demolizione del sistema pubblico, dei tagli effettuati, della umiliazione delle risorse umane addette, della consegna delle attività di ricerca all’industria, della progressiva riduzione della medicina territoriale e di base a un ruolo burocratico- amministrativo, dell’inserimento forzato dei valori  del profitto e del marketing nell’organizzazione dell’assistenza, ufficializzato a partire dal nome Asl, Azienda Sanitaria.

Va a spiegarle che mai come da due anni la garanzia di “assistenza e cure a tutti i cittadini e cittadine, senza alcun tipo di distinzione”  ha lasciato il posto a un incremento di disuguaglianze, sperequazioni e infine discriminazioni, eseguite per fascia di reddito, censo, età, produttività e “utilità sociale”.

Va a spiegarle che anche grazie al suo partito di riferimento si è fatta strada la convinzione che sia lecito anzi doveroso penalizzare i disobbedienti che si sottraggono a un obbligo introdotto in maniera surrettizia grazie a imposizioni anticostituzionali e sanzioni disonorevoli, facendo loro pagare eventuali spese mediche, gli strumenti di controllo volontario diventati ineludibili per lavorare, spostarsi, mantenere qualsiasi relazione e l’appartenenza al contesto sociale.

Va a spiegarle che mentre il Covid attraverso le autorità di impartiva la sua pedagogia, la sanità in attesa di essere davvero  pubblica e universalistica consegnava i malati al regime di tachipirina e vigile attesa, esonerava i medici da svolgere la loro opera dissuadendo violentemente quelli ostinati nell’adempiere al mandato professionale, abbandonava chi soffriva di malattie pregresse, eliminava la prevenzione e la diagnostica.

Va a spiegarle che siamo autorizzati a immaginare che per appagare gli appetiti umanitari delle anime belle che vogliono vaccinare la proprio coscienza con il colonialismo profilattico di BigPharma, intanto si voglia procedere alla somministrazione nel terzo mondo domestico che solo in questa occasione esce dall’invisibilità.

Davanti a tanta carità pelosa, a tanta virtù farisaica, a tanta bontà farlocca vien proprio voglia di esercitare un po’ di cattivismo per farli uscire dalla loro bolla di ipocrisia.