Cose che succedono in questo mondo di Alice: da quando il New York Post ha rotto l’omertà e riportato alcuni dei dettagli contenuti sul computer di Hunter Biden, figlio del candidato Joe, che compromettono anche il padre coinvolgendo nello scandalo della Burisma, l’azienda petrolifera ucraina al centro du uno scandalo internazionale, dolosamente soffocato, Twitter e Facebook, i giganti dei social media più strettamente collegati al modo in cui gli americani si scambiano informazioni politiche, sono entrati in azione per sopprimere le informazioni e proteggere Joe Biden dalle possibili ripercussioni elettorali della vicenda. Nel caso di Facebook, però, forse uno di quei protettori sta difendendo se stesso e offendendo la buona fede degli iscritti al libro delle facce: la persona attualmente responsabile del programma di integrità elettorale di Facebook è infatti Anna Makanju ex componente dell’Atlantic Council, ovvero un think tank che si occupa di affari internazionali, ma che in sostanza è un organizzazione fiancheggiatrice della Nato. Di esso hanno fatto parte Susan Rice, Richard Holbrooke, Eric Shinseki, Anne-Marie Slaughter, Chuck Hagel e Brent Scowcroft, tutti i personaggi principali dell’amministrazione Obama. E fin qui si potrebbe intravvedere solo una “vicinanza” sospetta: il fatto è che uno dei maggiori finanziatori dell’Atlantic Council è stata proprio Burisma, con un contributo di 300 mila dollari in tre anni a partire dal 2016, ovvero da quando il figlio di Biden è entrato nella squallida faccenda.
Ma questo sarebbe il meno perché proprio la Makanju nella pagina che conserva sul sito dell’Atlantic Council viene così descritta: “È un’esperta di politiche pubbliche e legali che lavora in Facebook, dove guida gli sforzi per garantire l’integrità elettorale sulla piattaforma. In precedenza, è stata consigliere politico speciale per l’Europa e l’Eurasia dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden , consigliere politico senior dell’ambasciatrice Samantha Power presso la Missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite, direttore per la Russia presso il Consiglio di sicurezza nazionale e capo del personale per la politica europea e della NATO presso l’Ufficio del Segretario della Difesa.” Per completare l’opera è stata citata in un articolo del Washington Post come testimone che non c’era nulla di corrotto nei rapporti di Biden con l’Ucraina, che il candidato non ha fatto pressioni su Kiev per licenziare il procuratore Viktor Shokin il quale indagava su Burisma e sui traffici del figlio, ma che è intervenuto perché Shokin non stava facendo il suo lavoro quando si trattava di indagare sulla corruzione. Una tesi del tutto incredibile e priva di senso, ma si sa che il compito dell’informazione è ormai proprio quello di ribaltare la verità. Peraltro al tempo in cui tutto questo accadeva, la Makanju era consigliere politico senior di Biden per l’Ucraina e ha affermato che i colloqui tra l’attuale candidato alla Casa Bianca e l’allora presidente ucraino Poroshenko o il primo ministro Arseniy Yatsenyuk non riguardavano la Burisma, ma le riforme richieste dal Fondo monetario internazionale, i metodi per combattere la corruzione (sic) e l’assistenza militare. Si tratta di versioni evidentemente contradditorie che in un tribunale non reggerebbero un nano secondo perché una volta Makanju dice che Biden voleva le dimissioni di Shokin per imprecisate ragioni di correttezza e un’ altra che Biden non ha mai parlato della vicenda.
Al di là però della faccenda in sé la situazione si sintetizza così: il dirigente di Facebook che dovrebbe essere il garante della neutralità del social network e che attualmente blocca tutte le prove sulle attività corruttive di Hunter e Joe Biden in Ucraina è la stessa persona che coordinava l’attività corrotta ei guadagni della famiglia Biden in Ucraina. Si tratta solo di un aspetto della social mafia, che dilaga e diventa facilmente mafia mediatica, nella quale ogni informazione che non piace viene nascosta e ogni opportuna disinformazione viene esaltata. Come vediamo ogni giorno e in ogni campo, compreso quello della pandemia.