La mappa di Ecateo V-VI secolo acOra che il delitto è consumato, che l’oligarchia europea ha gettato la maschera con la sua equiparazione di nazismo e comunismo la cosa più saggia  è capire se l’Europa alla quale ci apprestiamo a sacrificare ciò che resta di questo Paese, esista realmente o sia solo, un mito, una pura costruzione intellettuale, un concetto spurio oppure una semplice aggregazione geografica che nel resto del pianeta lo distingue come il continente della volontà di potenza. In questi anni abbiamo assistito alle liti, spesso artificiali per trovare un senso alla parola e rintracciarne le comuni radici culturali, vuoi che esse debbano essere rintracciate nella religione cristiana ad onta degli scismi che l’hanno divisa  (ma allora il sud america sarebbe europeissimo) o con più consistenza sulle basi illuministiche o in altri vettori culturali. Tutti tentativi destinati a fallire per parzialità o semplicemente perché il piccolo continente ha differenze culturali enormi in uno spazio così piccolo da poter creare l’illusione di un facile assemblaggio.

Di certo qualsiasi sia l’origine etimologica del nome che rimane ancora non chiarita, anche se con tutta probabilità esso deriva dal fenicio “ereb” che vuol dire occidente, è sempre stato un nome geografico che i greci – per i quali il centro del mondo era il mediterraneo come appare evidente dall’opera del primo vero geografo, Ecateo di Mileto   – citavano raramente riferendosi principalmente alle terre a nord del mondo ellenico e in ogni caso mai come termine a se stante, ma solo in rapporto all’Asia: questo già ci mette sulla pista di un concetto sottrattivo e non additivo. I greci stessi che noi riteniamo fondatori della civiltà occidentale, non si consideravano affatto europei. A loro volta anche i romani non si sentivano affatto europei, concetto inesistente nel mondo antico, ma anch’essi si consideravano mediterranei, a casa loro in Egitto, o lungo l’Eufrate o in Nord Africa, ma assai meno nelle terre occidentali: dopo almeno quattro secoli di eurocentrismo non ci rendiamo conto che per i romani la conquista delle Gallie, della Britannia, della stessa penisola iberica nella sue parti centrali, della Pannonia o del Norico derivavano esclusivamente dalla necessità di tenere lontani i barbari ed erano considerate estreme propaggini del mondo. Non è un caso che i romani potenza terrestre, abbiano considerato vitale per la propria espansione lo scontro con Cartagine, potenza marittima per eccellenza.  Anzi se Roma aveva un difetto era proprio quello di essere troppo a occidente tanto che poi la capitale imperiale verrà trasferita a Costantinopoli, mentre una nuova religione di carattere  mediorientale diventava quella di stato.

Tuttavia se esistono rarissime citazioni dell’Europa nel mondo antico, gli europei non esistono affatto e il concetto comincia ad apparire qui e là solo molto dopo la caduta dell’impero d’occidente e l’affermazione degli stati romano – barbarici. Due sono le citazioni native di questo oggetto misterioso: la prima appartiene al sesto secolo dopo Cristo ed è usata da Gregorio Magno in una lettera all’imperatore romano Maurizio (noi lo chiameremmo bizantino, ma al tempo questa distinzione non esisteva) per rivendicare l’universalità del vescovo di Roma, rispetto a quello di Costantinopoli, oltre che per invocare aiuto contro i Longobardi. In quella missiva supplicava l’imperatore:   “Non dimenticatevi dell’europa asservita ai barbari”. In questo senso ciò che orgogliosamente chiamiamo continente era solo la parte di impero Romano non più sotto il controllo imperiale, le terre dei barbari insomma. Dunque ancora una volta un concetto esplicitamente ritagliato in negativo, anche se attualissimo visto che è ancora in mano a barbari politici.  Per un’ altra citazione bisogna attendere ancora tre secoli e questa volta siamo a Poitiers dove intorno al 920 (l’anno esatto non si conosce) l’esercito berbero musulmano di al-Andalus, comandato dal suo governatore,ʿAbd al-Raḥmān venne sconfitto dai Franchi di Carlo Martello. Questa vicenda, ignorata molto a lungo, venne invece recuperata a metà del 1800 nell’alveo della nascente cultura del suprematismo bianco per indicare in qualche modo la nascita dell’Europa a cui bisognava pur dare un qualche inizio. Il perché di Poitiers è dovuto al fatto che l’unica cronaca che in qualche modo descrive la battaglia, opera di un autore di cui non conosciamo il nome, spagnolo cristiano, ma abitante sotto il regno mussulmano, marra  al suo inizio l’assalto degli arabi contro le “genti del nord” grandi e grosse, ferme come un muro di ghiaccio. Egli narra anche che il mattino successivo al sanguinoso, ma non decisivo scontro, l’esercito di Carlo Martello si rischierò convinto di dover ricominciare la battaglia, ma gli arabi se ne erano andati nella notte e in questo caso gli uomini del nord diventano “europensis”. Qui assistiamo ancora una volta a un taglio in negativo e questa parte di mondo viene definita non perciò che è, ma in relazione a ciò che non è, ossia la ricca, colta e allora anche più tollerante civiltà araba. C’è da dire che lo scarso ricordo che si ebbe della battaglia per secoli fu che essa non fu né decisiva né folgorante, fu soltanto una vittoria per abbandono e un segnale che l’espansione araba si andava esaurendo dovunque. A questo proposito va detto che un secolo e mezzo prima di Poitiers gli arabi avevano sconfitto i cinesi nella battaglia del fiume Talas oggi in Kazahistan, senza però riuscire a penetrare oltre nella vasta regione: battaglia dunque secondaria importanza se non fosse per il fatto che dai prigionieri cinesi fu appreso il segreto della fabbricazione della carta e della bussola.

Ma vediamo chi erano questo Franchi: erano una popolazione germanica formata. esattamente come gli alamanni  – che hanno dato il nome alla Germania in quasi tutte le lingue romanze ad eccezione dell’italiano e del rumeno –   da gruppi sparsi in prevalenza goti e, probabilmente, da uomini che mal sopportavano il potere tribale e che perciò si riunificavo in accampamenti dandosi il nome di “liberi”, *franco in antico sassone con una radice che fa pensare a Freya e al suo giorno. Friday e Freitag  (ma questa è solo un’ipotesi) . Questi gruppi avevano a lungo combattuto contro i romani sul limes del Reno e in parte del Danubio prima di cominciare ad entrare alla spicciolata  e poi sempre più numerosi nelle gallie nord che si spopolavano. Ora facciamo un passo indietro e andiamo alla fine del IV secolo quando i goti sfondarono il limes del Danubio e si riversarono nei Balcani sconfiggendo in maniera catastrofica i romani nella battaglia di Adrianopoli che costituì il colpo che trascinò nella polvere l’impero. Per fronteggiare la situazione si dovettero prendere legioni dall’Egitto, dal resto del nordafrica e dal medio oriente, ma la situazione non precipitò del tutto, Costantinopoli  il maggior centro di potere dell’impero non venne conquistata dai Goti grazie all’attacco  della cavalleria araba che pure faceva parte delle legioni. E del resto gli arabi, ad eccezione delle tribù più interne erano cristiani, avevano i loro vescovi, i loro funzionari, erano pienamente integrati nel mondo romano ed ebbero persino un imperatore, Filippo l’Arabo, figlio di uno sceicco del deserto  sotto il cui regno si celebrò il primo millennio della città eterna. E anche a lui toccò il destino di combattere i Goti da cui prenderanno origine anche i Franchi. 

Allora come la mettiamo? Inizialmente Europa è ciò che i barbari hanno strappato all’impero, ma l’impero si estendeva su tre continenti ed era un mondo molto più complesso di ciò che noi ora chiamiamo Europa, anzi in qualche modo antitetico ad esso che si riassumeva e ancor oggi in fondo si riassume sotto il nome di sacro romano impero. Però quel nome di recupero che tentava di riproporsi come succedaneo della precedente autorità universale sui territori marginali della medesima, mostrava una chiara natura imitativa e al tempo stesso la prospettiva di voler essere qualcosa di nuovo, identificato con quel “sacro” che però ne mostrava tutti i limiti e l’impossibilità di proporsi come organismo in grado di mediare fra le diverse culture. Ad ogni modo la suddivisione feudale, l’impero, le autonomie comunali e la lotta per le investiture impedirono per secoli che i termini Europa ed europeo venissero usati se non in rare attestazioni: esse cominciano ad apparire sempre più frequentemente dopo la scoperta delle America e l’affermazione sia in termini economici e che antropologici del colonialismo: in questo senso europeo significa non indigeno o aborigeno e man mano acquisisce tutti i caratteri legati all’idea della supremazia bianca che è ancora alla base dell’occidente anche se recentemente si è passati dall’idea di una superiorità genetica a quella di superiorità culturale. Paradossalmente però il vero successo della parola si accompagna allo sviluppo degli stati nazionali avvenuto con la demolizione delle istituzioni feudali residuali ed è in questo contesto che alla fine nasce l’idea  di evitare lo scontro diretto fra le nazioni che detengono il potere su tutto il pianeta, ancorché esso abbia avuto un vero rilievo solo dopo la strage della prima guerra mondiale.

Tuttavia l’idea dell’Europa rimane sostanzialmente un ritaglio e la sua universalità, come possiamo vedere in questi anni, è ancora legata al suo imperialismo, mentre la radicale differenze di cultura che la contraddistinguono vengono elise e rese marginali o addirittura demonizzate dall’economicismo. L’Europa rimane un sacro romano impero che con la tendenza a contrapporsi a ciò che lo circonda, nella sicumera  della propria distintiva sacralità, qualcosa che non unisce e che addirittura è riuscita a riaprire solchi profondi tra le sue culture anche se tenta di nasconderli, qualcosa che ha a che fare con il potere e non con la comprensione e l’amicizia. A mio giudizio l’Italia ha ancor meno a che fare con tutto questo che gli altri: forse è per tale motivo che svedesi, norvegesi e persino finlandesi considerano gli italiani come orientali, ad onta del fatto che la nostra penisola e più a occidente di quella scandinava.