matteo-renzi-ruota-della-fortuna1Devo farvi una confessione: da qualche tempo sono diventato un fan dei quiz televisivi, proprio io che da bambino mi annoiavo con Lascia o Raddoppia e in seguito non ne ho mai seguito uno se non episodicamente. Ma devo dire che adesso sono diventati uno spettacolo imperdibile non solo perché i concorrenti cadono su domande del tutto elementari e trionfano quando si tratta di indovinare parole di canzonette industriali, non solo perché cadono o sono sottoposti a bombe di colore, simulando scherzosamente la punizione che incombe, ma soprattutto perché esprimono tutto il drammatico disastro del Paese nel suo insieme: disoccupati che fingono di non esserlo non tanto per pudore personale, quanto per timore di infrangere il tabù dell’ottimismo, masterizzati incompetenti o di incertisima origine, startuppari veri o fasulli, anche se la differenza concreta è assai poca, sedicenti impreditori che si scopre essere niente altro che normalissimi agricoltori, baristi, pizzicagnoli o merciai promossi sul campo linguistico dal berlusconismo, professionisti di cui non è difficile intuire le scarse fortune, laureati che servono al pub, sottoccupati patinati che si occupano di organizzazione di eventi, matrimoni e delle altre amenità contemporanee.

Insomma un panorama desolato nel quale quando appare un impiegato a 1200 euro al mese pare che sia entrato un miracolato di Lourdes, lo specchio di un Paese che mente a se stesso con una straordinaria pervicacia nella speranza che le profezie liberiste e le frasi fatte delle orazioni in suo onore siano vere. O ancor meglio nel timore che bestemmiare contro di esse sia come essere fuori dalla realtà quando invece è l’esatto contrario. Tutta una modernità d’accatto che si salda alla vecchia italietta dei saluti a parenti e fidanzati, talvolta estorti al conduttore in veste di re taumaturgo televisivo per le sindromi da anonimato. Nessuno sembra essersi accorto dell’inganno insito nella promesse di vita facile e di fortuna a portata di mano, disponibile per chi fosse disposto a rinnegare il sistema dei diritti, mentre un ceto di oligarchi e di loro manutengoli si occupava di fermare il cosiddetto ascensore sociale. Non è la situazione che rattrista, ma il fatto che non si voglia prenderne atto, mentre si prega la modernità come beghine in chiesa e naturalmente andare in televisione è un po’ come farsi a piedi il cammino di Santiago.

A che domande mai possono rispondere le vittime del disastro scolastico, quelle che hanno visto progressivamente trasformarsi la scuola in addestramento al lavoro e hanno visto ridursi l’università a istituto tecnico affinché possano dotarsi di un pezzo di carta che vale meno dei vecchi diplomi, ma in compenso soddisfa remoti e persistenti narcisimi? Cosa si può spremere da un mondo che organizza corsi per cose che un tempo era semplice e facile imparare da soli grazie alle abilità multipotenziali che creava l’educazione scolastica? Anche se il sistema generale è lo stesso dei quiz di ammissione o di esame con le domande a risposta multipla, le carenze di fondo sono evidenti e voraginose.  L’unica vera abilità rimasta è quella di mentirsi usando il gergo anglofilo adattissimo proprio alla vendita di fumo, confermando ciò che sosteneva Garcia Marques cioè che se non hai nulla da dire lo dici in inglese. Cosa a cui si può tranquillamente aggiungere in nota l’esplicito non voler dire, l’astenersi dalla parola che pesa, dal disvelamento dei trucchetti insiti in un pidgin che sottrae connotazioni. Quindi poco importa se questi quiz con immancabile coda di sadismo siano palesemente truccati a seconda dell’audience dei vari personaggi o magari della loro raccomandazione ( il giovane e insulso Renzi fu appunto uno dei vincitori “designati” di un antica trasmisione di questo tipo): ciò che è davvero affascinante in queste gare è la sociologia che rappresentano la quale si palesa a dispetto degli autori e la sociologia che vorrebbero imporre ovvero quella della cultura ridotta a semplice futile infarinatura, ai destini sociali come gioco. Appunto non è caso che renzi e Salvini siano stati concorrenti e portatori insani della cultura da quiz.

In realtà si tratta di uno spettacolo drammatico se lo si guarda con occhi che vanno al di là dello schermo, rappresentano lo scempio di un Paese che non sa più farsi domande e che le risposte le trova mettendo la croce sulla casella indicata dalla narrazione mediatica. La sconfitta è assicurata: il Paese si lascia andare, altro raddoppia.