downloadAnna Lombroso per il Simplicissimus

Giorni fa mi è successo di fare una promessa imprudente ad alcuni amici e affezionati lettori di questo blog: pubblicare un post che trasmetta ottimismo, susciti pensieri di speranza, che offra spunti positivi e credibili. Quindi erano tassativamente escluse le baggianate di Renzi all’Expo, i successi del Gran Ballo Excelsior delle salsicce, la crescita trionfale cui è avviato il paese ed anche le innumerevoli opportunità di investire l’Imu accantonata che si presentano ai fortunati proprietari di prima casa, o le centinaia di posti di lavoro elargiti da un leale e generoso padronato grazie al Jobs Act. Domenica, mi sono detta, domenica ci provo.

Sono stata spericolata, difficile dire che qualcosa va bene quando tutto va male, quando nei paesi più sviluppati del mondo, USA e UE, che da soli producono circa la metà del Pil globale, l’economia  vive da tempo un periodo di stagnazione che secondo molti esperti potrebbe durare anche cinquant’anni.  Quando a  otto anni di distanza dall’inizio della crisi del sistema finanziario privato  in USA e in Europa, spacciata come collasso del debito pubblico, l’Italia è affetta da un governo che da un lato è allineato con le posizioni più regressive della Troika , dall’altro persegue le menzogne dell’austerità non avendo evidentemente la minima idea  circa le cause reali della crisi e sulle possibili soluzioni per uscirne.  Quando l’informazione ufficiale fa da altoparlante entusiasta del dilettantismo del ceto dirigente, ripetendo la tombola dei numeri che i ministri estraggono dal sacchetto della ripresa, dell’occupazione, quando basterebbe un centesimo dell’energia spesa per darci conto puntuale dei salti sul lettone di Arcore. Quando l’opposizione non esiste più, zittita da bavagli, dal commercio di emendamenti e autocensura, quando sul sogno europeo infranto ci si esercita con filippiche e imprecazioni sull’impero della finanza delle quali era pieno peraltro anche il Mein Kampf, come ha saggiamente ricordato Luciano Gallino,  in modo da abbatterlo con le parole e conservarlo coi fatti. Quando la denuncia contro la malapolitica  produce una disaffezione che si traduce in indifferenza, perpetua l’indole alla delega e alle dimissioni dalla responsabilità, che tanto non si può fare più nulla, meglio isolarsi nel proprio microcosmo ripetendo su scala la pratica quotidiana del clientelismo, del familismo, della corruzione, dell’evasione, diventati indispensabili strumenti di autodifesa laddove precarietà e incertezza costringerebbero a pagarsi, magari col voto di scambio, favori, autorizzazioni, raccomandazione.

Quando le rilevazioni danno il leader Renzi in crescita, anche a detrimento del suo partito,  confermando che siamo un popolo che ha bisogno di piccoli cesari, di condottieri magari ridicoli, cui è preferibile dare fiducia, piuttosto che riprendersi le scelte nelle proprie mani, permettendo ancora una volta che i voti, pochi per la verità, sostituissero le ragioni della democrazia, e dopo aver consentito che per anni i risultati elettorali fossero contraffatti all’origine dal possesso dei media  da parte di un baro dichiarato grazie a una legge, che una volta dichiarata incostituzionale, viene fotocopiata impunemente.  E quando nel silenzio prolungato degli “intellettuali”, le uniche voci di buonsenso ad alzarsi e non fiocamente, sono quelle di ultrasettantenni, a dimostrare che molti e diffusi sono gli errori commessi, nella scuola, nella stampa, nel sindacato, nelle famiglie.

Quando la sinistra non c’è e la destra invece è viva, eccome, a cominciare dalle sue parole: economia, mercato, imperialismo, finanza, sfruttamento, alienazione, mentre pare ci sia un pudore vergognoso a dire, socialismo, del quale oggi più che mai viviamo condizioni di disparità, disuguaglianze inique, non solo sociali, ma esistenziali, rivoluzione, condannata a poche pagine in fondo al libro di storia, cui non si arriva perché si è fatto giugno, utopia, degradata a  figura retorica e letteraria sgradita perfino alla fantascienza. Tutto questo grazie alla complicità con la situazione nella quale viviamo, dalla paura del cambiamento, mentre il Capitalismo, sempre in voga seppure per molti stia sconfinando in una fase suicida, pratica mutamenti profondi e   radicali, grazie alla’informazione, alla tecnologia, alla scienza, ma che portano tutti nell’invariabile direzione del vantaggio per minoranze avide, rapaci, velenose.

Qualcuno tempo fa nel rammentare amaramente le analogie tra l’oggi e la caduta della Repubblica di Weimar, ricordava anche il diario di uno dei pochi oppositori di Hitler, Dietrich Bonhoeffer,  scritto in prigione in attesa dell’esecuzione, nel quale si lamentava – non so citare le parole esatte- che per il bene la stupidità è un pericolo molto maggiore della malvagità. Che contro il male possiamo resistere, opporci, metterci a rischio, mentre contro la stupidità non ci sono difese.

E difatti siamo governati da stupidi, di quella specie, la peggiore, che è soddisfatta di sé e dell’immagine che offre anche tramite selfie, comparsate, tweet, che  si nutre di ambizione e ignoranza, di spregiudicatezza e vanagloria. Se interloquiamo con loro scopriamo che non abbiamo davanti persone e non ascoltiamo pensieri, ma abbiamo di fronte slogan, motti, frasi fatte che sorreggono un simulacro, capace di compiere qualsiasi misfatto  e al tempo stesso altrettanto incapace di ammettere la sua responsabilità, che sempre è colpa di qualcuno prima di lui, contro di lui, malgrado lui.

Ma, occorre dirlo, anche noi siamo ormai un popolo, ma estenderei questa appartenenza poco gloriosa alla civiltà occidentale, di” stupidi”, allevati con il biberon del latte inacidito munto e riscaldato tra Hollywood, Wall Street, Washington ….  perfino Mediaset, per restare in casa. Apparteniamo perlopiù a una grande maggioranza conformista, appiattita, omologata, eppure per via della perdita di beni e identità, di diritti e privilegi, sia pure minimi, ci sentiamo parte di una qualche minoranza, che a volte coincide con corporazioni, categoria, territori, a volte rispecchia una condizione emotiva che aiuta a “chiamarsi fuori”, a non sentirsi correi, preferendo il ruolo di vittime.

Per una volta ho usato il pronome “noi”, perché un qualche grado di complicità affligge tutti come una febbre leggera, che toglie la lucidità e la voglia di azione.

Ma, ed è questa l’unica buona notizia che riesco a trovare in questa domenica d’autunno, qualcuno c’è ancora che resiste alla stupidità, qualcuno che la vita, esperienze difficili o invece l’armonia dello star bene, la cultura o la curiosità, hanno immunizzato da quella combinazione di ruffianeria e retorica, lagna e servilismo, acquiescenza e brontolio, convenzionalismo e ipocrisia che sembra un connotato della nostra autobiografia nazionale. A volte, e dispiace che sia così, si tratta di quelli cui una pena tremenda, un’afflizione profonda, ha però permesso di non abbandonarsi al letargo prodotto dalla distrazione di massa e ne conosco, madri o mogli di disabili che tirano la vita coi denti, che hanno studiato e sperimentato i modi per confortare chi  è afflitto ma anche per affliggere chi è troppo confortato e manifestano, si arrabbiano, strillano, rompono equilibri e spaccano clientele immutabili. A volte sono quelli che non vogliono assistere al sacco, all’espropriazione, alla distruzione dei posti dove sono nati, delle loro città, del loro territorio e siccome hanno “perso la pazienza”, per dirla con Camus sono diventati “movimento, per rifiutare quello che prima veniva accettato. A volte sono quelli che semplicemente fanno il loro lavoro, negli uffici pubblici, negli ospedali, in qualche scuola, negli istituti di ricerca, costretti a trasformarlo in una forma di disubbidienza all’andazzo, allo scoramento frustrato che deriva dalla perdita di valore di professioni e mansioni, convertite in fatica  per la quale l’unico diritto vigente è faticare per conservarla.

Si c’è qualcuno che resiste non rinunciando all’intelligenza, se si tratta come dice il dizionario di un “complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare”, e lo rendono insieme “capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa”, e che pensa, lavora, studia, sceglie, critica, per il futuro di tutti