Che differenza c’è tra un lobbista e un faccendiere? Il caso Tivelli, l’uomo che avrebbe salvato le pensioni d’oro dai tagli, “convincendo” il Pd a non toccarle, come denuncia il M5S, ripropone la domanda. Certo lobbista fa un’altra figura, si fascia di un’ immaginario doppiopetto e per grande fortuna dei commentatori istituzionali di sinistra può essere riferito ad altre tradizioni democratiche e non solo al malcostume italiano. Non ha molta importanza che il lobbismo sia la bestia nera di Obama e un cancro riconosciuto della rappresentatività in Usa, visto lo straordinario potere ormai assunto dalle corporation: probabilmente si dice lobbista come si dice escort, ma la sostanza tra l’eufemismo anglofono e le vecchie buone parole italiane, non cambia poi di molto. E di nulla se poi il mestiere si risolve nel parare il lato B di amici e di clienti.
Il fatto è che il lobbista è un faccendiere che ha studiato, che magari come Tivelli, è stato a lungo a contatto, anzi dentro le istituzioni, ma rimane comunque nell’ombra, che a totale insaputa dei cittadini lavora a pagamento per qualche potere. Il lobbista vero dovrebbe essere un facilitatore, uno che dovrebbe limitarsi a mettere a contatto gli interessi con le istituzioni e magari sottolineare ciò che c’è di generale e di positivo in quegli interessi. Non uno strumento di pressione che si serve della propria rete di amicizie per giocare di sponda, mettere insieme una sorta di ambigua centrale “persuasiva”, per fare clan. In una parola uno strumento di favori e prebende che perde di vista il cammino della rappresentanza e mi spingerei a dire dell’autenticità.
Tutto questo emerge non da informazioni segrete ma dalla stessa brochure dello “Studio Tivelli. Consulenza e strategia per progetti culturali, di comunicazione e istituzionali”. Un modo elegante per dire si conosce molta gente importante e dove l’aggettivo culturali è come la balaustra dipinta sulle facciate della riviera di Levante. Dà un tono, che però in soldoni viene subito chiarito “Nei casi in cui lo si reputi necessario, si possono progettare e promuovere iniziative di sensibilizzazione e orientamento dell’opinione pubblica, e dell’opinione istituzionale, a sostegno dei legittimi interessi rappresentati dall’azienda cliente. In questo campo di attività lo Studio può fornire supporti informativi e di documentazione in sinergia con una primaria società impegnata nel monitoraggio parlamentare e istituzionale”. Quale sia questa primaria società e che compiti svolga non lo so, ma è probabile che nei grandi giornali si sappia.
Queste operazioni vengono inoltre accompagnate da:
– workshop o seminari a sostegno di progetti e interessi rappresentati dal
cliente
– cicli di incontri con esponenti del mondo dello Stato, o economisti, o esponenti del mondo della cultura, o esponenti politici, o giornalisti autorevoli, con un question time per i partecipanti (i contenuti di tali incontri possono essere tradotti in libri di pubblicistica corrente o pubblicati su numeri monografici di riviste specializzate)
– cicli di presentazione di libri promossi dal committente, eventualmente configurati anche come premi letterari.
E non basta perché dentro in questo intruglio di mafiette accademiche e potenti conoscenze destinate ad influenzare l’opinione pubblica, lo Studio si occupa anche di “offrire piena assistenza per la produzione di libri “chiavi in mano” o sull’azienda committente, o a firma di suoi esponenti, o di altri clienti, coprendo tutto il ciclo, dalla progettazione, alla stesura, alla pubblicazione editoriale, fino alla promozione”.
Come si vede l’offerta principale riguarda il controllo dell’informazione Per carità, tutto questo non è da demonizzare, a parte il suggestivo uso delle virgole, ma è uno spaccato dell’Italia di oggi, di ciò che si muove nella pancia del potere in totale contrasto con quello che si percepisce all’esterno, la costruzione a tavolino e lo smercio di idee prefabbricate in funzione di precisi interessi. Naturalmente le attività principali attraverso le quali tutto questo si svolge non sono evidentemente elencate nella brochure: la comunicazione va bene, ma meglio non esagerare. Quasi come il governo.
Il lobbismo è essenzialmente, dal punto di vista politico, un metodo che consente di legalizzare la corruzione ancorandola a precise regole, che con una qualche ironia definirò “deontologiche”. In pratica lo scambio di favori viene eseguito in una veste che non desta attenzione nella pubblica opinione, per esempio, anziché denaro vengono promessi posti di rilievo in consigli di amministrazione di aziende importanti oppure vengono erogati significativi contributi elettorali ai partiti di pertinenza.
Non fosse stato per l’esigenza di legalizzare la corruzione, non vi sarebbe stato alcun bisogno di inventarsi questo nuovo concetto perché i contatti tra mondo dell’industria e possibili committenti pubblici ci sono sempre stati, anche prima del lobbismo, e non risulta in alcun paese del mondo il divieto di scrivere, parlare o contattare amministratori e funzionari pubblici.
Spesso si è letto che nei paesi del Sud Europa la corruzione è generalizzata mentre nei paesi anglosassoni è molto più contenuta o addirittura inesistente. La differenza consiste proprio nel fatto che nei paesi del Sud Europa la presenza di una forte sinistra o di una forte moralità pubblica ha sempre impedito che si legalizzasse la corruzione che quindi ha dovuto ricorrere ai vecchi tradizionali sistemi delle bustarelle, dei soldi nelle valigette 24 ore e di altri sistemi poco sofisticati che, oltretutto, rendono ricattabili imprenditori e politici che ne fanno uso. L’onniscienza e onnivedenza dei servizi segreti rivelataci da Snowden, ma probabilmente preesistente alla sua stessa data di nascita, ha reso i processi per corruzione un’arma molto duttile nelle mani dei servizi segreti nazionali e internazionali per favorire le più svariate agende sia politiche che imprenditoriali.
Il dossieraggio è infatti un asset con valenza sia politica che economica. In questo momento ne sa qualcosa il governo Erdogan al centro di un apocalittico scandalo per corruzione chiaramente provocato dal desiderio degli Stati Uniti di fare i conti con l’eccessivo indipendentismo del leader turco in un’ottica che non sarebbe sbagliato definire di regime change.
Se Erdogan avesse introdotto il lobbismo, oggi non dovrebbe temere per il suo posto. Se in Italia fosse stato introdotto il lobbismo, i processi Berlusconi non ci sarebbero mai stati. E potremmo vantarci di essere, come gli stati del Nord Europa, freschi e puliti come foglioline appena nate.
L’ha ribloggato su umpkkete ha commentato:
meglio che non scriva niente, sono oltre il limite sopportabile, non so cosa potrei dire
Lo vedi bene: guardalo attentamente. E’ un altro dei tanti miserabili nati stronzi che oggi proliferano perché hanno trovato l’humus adatto. Proprio come i bacilli dalla carogna del grande animale Italia. E’ questione di humus.
Studio Tivelli o meglio Trivelli.
Caro politico, dimmi con chi Trivelli elegantemente i cittadini e ti dirò chi sei.