cono«I milanesi possono continuare a gustare liberamente il loro gelato anche dopo le 24: non c’è nessun coprifuoco e mai è stato previsto». Così dice il sindaco di Milano, Pisapia dopo il risibile pasticcio dell’ordinanza anti cono gelato, cercando di metterci una pezza. E in quel linguaggio burocratico che invece di dire dopo la mezzanotte, usa “dopo le 24” che oltretuttto è un errore, perché semmai sarebbe dopo le ore 0, c’è anche gran parte delle radici in cui è nata questa gaffe.

Che rimane tale anche dopo che gli assessori preposti hanno chiarito la cosa: si tratta di un provvedimento volto a impedire gli assembramenti davanti ai locali privi di tavolini esterni nelle zone della cosiddetta movida  gli unici aperti o quasi all’ora in cui le carrozze e i sindaci si trasformano in zucche e dunque a vietare l’asporto di cibi di qualunque tipo. Non c’è teoricamente un divieto, ma solo l’impossibilità pratica, a meno che non ci si porti da casa qualche cornetto doppia panna nell’apposita borsa frigo. Oppure non ci si sieda a un tavolino fuori, per il quale ovviamente l’esercente paga parecchi quattrini al Comune.

Certo l’assembramento c’è perché i locali aperti nella “metropoli” dopo una certa ora sono pochi e i gruppetti vocianti possono da fastidio agli abitanti: se nemmeno si paga per i tavolini il municipio interviene come San Giorgio contro il drago. Ma a parte questa evidente disparità di attenzione è del tutto evidente una cosa: che il provvedimento nasce all’interno di una politica -buona o cattiva che sia –  la quale da una parte sembra allontanarsi sempre di più dal cittadino, dall’altra vi si accosta con metodi e mentalità che sembrano quelle di un’assemblea di condominio.  La proibizione di gelato dopo mezzanotte, secondo il sindaco deriva da una «sintesi di un percorso partecipato con i commercianti, i residenti e i consigli di zona coinvolti».  Immagino ognuno a recriminare per la perdita dell’acqua, per lo stipendio del portinaio, per l’inquilino del terzo piano che smuove i mobili. Non si ha assolutamente la percezione che anche queste cose vadano inserite in un disegno generale, in un’idea di città che del resto non pare esistere davvero se non in forma di sparsi tasselli.

Per questo la mediazione degli interessi spesso ha esiti grotteschi:  tra l’interesse del comune a incassare con i tavolini, quello dei residenti alla tranquillità notturna, quello dei commercianti ne viene fuori non una soluzione, ma un divieto di fatto così ridicolo che parrebbe uscito dalle ossessioni di qualche tirannello dell’asia centrale. Nelle zone della Milano di notte la gente ci sarà sempre e farà chiasso, solo non potrà mangiare gelato o pizza o kebab: nessun problema sarà risolto e altri ne nasceranno. Parrebbe che ormai la sinistra sia capace si infilarsi in questi cul de sac, di imporre  provvedimenti penitenziali, perché le libertà più vere e profonde, le speranze sono rese impossibili dalla “necessità”.