Licia Satirico per il Simplicissimus
Con una circolare di ispirazione “cinese”, una scuola media ligure ha proibito l’amicizia su Facebook tra allievi e professori. In realtà il riferimento alle censure orientali è troppo generico e addirittura improprio, poiché l’unico precedente in materia è del Missouri, dove è assurto al rango di legge federale. Albisola Superiore è dunque come il Midwest, luogo finora noto solo per le trombe d’aria e per la storica renitenza ad abolire la schiavitù: professori e allievi non possono condividere frammenti di vita, foto e opinioni sui social network né dialogare privatamente per il tramite dello schermo. E non si capisce se, attraverso il pc, il rapporto tra docenti e discenti perda autorevolezza, scivolando nell’ambiguità, o la rafforzi estendendosi al di fuori delle aule scolastiche.
La ragione di un divieto così singolare si pone apparentemente sulla linea di confine tra autorità e amicizia, tra timore reverenziale e confusione dei ruoli, tra reale e virtuale. Eloquente, sotto questo punto di vista, è l’atteggiamento favorevole al divieto di molti studenti, che temono di essere giudicati da un severo occhio orwelliano pronto a controllare la loro vita personale, le abitudini, le amicizie, le opinioni e persino l’uso mannaro dei congiuntivi. Non manca un manipolo di docenti ferocemente contrario a conoscere gli allievi più dello stretto necessario, contingentando autorità e scienza nei limiti dell’orario settimanale delle lezioni. C’è poi chi pensa che l’accesso alle immagini della vita privata di un docente, dei suoi amori e dei suoi odi, annulli pericolosamente la distanza idealtipica tra chi insegna e chi impara, come se l’insegnamento fosse una relazione astratta e a senso unico.
La sensazione complessiva è quella di un inquietante melting pot di banalizzazioni su rapporti personali e uso dei media, che conduce a un divieto insensato quanto un obbligo di socializzazione tra docenti e discenti. Il “cattivo maestro”, reale o virtuale, travalica indebitamente la soglia dell’amicizia per intimidire, irretire o giudicare. Non occorre pensare a un morboso professor Humbert o agli incubi autoritari della nostra adolescenza (epoca in cui provvidenzialmente l’assenza del world wide web conteneva la foga didattica di personaggi pittoreschi dai metodi ruvidamente efficaci): è sufficiente immaginare un docente che legga senza capire, che guardi senza osservare, che non provi “simpatia” in senso etimologico verso i propri allievi.
Nei giorni in cui il ministro Profumo (omettendo con imbarazzo ogni riferimento ad ulteriori “tagli”) annuncia un potenziamento degli strumenti didattici online, invitando anche i docenti diffidenti a studiare le enormi possibilità della rete, torna attuale grazie a Facebook il metodo della maieutica socratica: con la dialettica il filosofo ateniese faceva emergere negli allievi pensieri assolutamente personali, all’insegna della piena libertà e dell’ironia.
Resta il problema, più generale, degli abusi di privacy collegati a uno strumento virtuale che sta alla privacy come un comunista a un berlusconiano. Tuttavia, proibire per decreto l’amicizia tra categorie di soggetti “a comunicazione limitata” potrebbe condurre a un’omologazione sospetta delle relazioni virtuali, con esclusione pregiudiziale di ogni tipo di contatto tra persone che non devono conoscere più del giusto le rispettive abitudini di vita: i genitori e i figli minori, il marito e la moglie irrequieta o viceversa, il datore di lavoro e il dipendente, il collega invidioso, il dirimpettaio, il fidanzato dalla gelosia shakespeariana e via complottando.
Ci piace invece pensare, con una forte componente utopistica, che lo scambio di amicizia abbia un valore più profondo, specie tra maestri e allievi: che non sia uno strumento invadente di confidenza o controllo, ma di dialogo aperto tra generazioni e culture che hanno un gran bisogno di parlarsi. Almeno prima che a Zuckerberg venga in mente di condividere anche le note sul registro.
ho capito male, o nell’articolo non si parla di “facebook in classe” (che avrebbe tutti suoi perche` e percome sia pro che contro), ma di facebook al di fuori dell’istituto e dei suoi orari? perche` in questo caso, oltre ad essere ipocrita, la cosa e` demenziale, e sospetto anche completamente illegale, ma su questo non ci giurerei, non sono un legale e l’italia e` un paese strano
senza dubbio l’idea di limitre, a qualunque titolo, possibili rapporti personali tra docenti e studenti al di fuori degli luoghi ed orari istituzionali mi sembra, oltre che coercitivo, un atteggiamento frutto di una mente malata
sul fatto poi che facebook possa essere un luogo di reale comunicazione personale, piuttosto che una versione moderna della chiacchiera da bar, con il conseguente degrado della comunicazione che spesso diventa, al piu`, spettegulez, questo e` un altro discorso, certo e` che una circolare del genere si adegua, verso il basso, al livello del peggio di questo nuovo fenomeno digitale 🙂
Nella scuola c’è una strana quanto ipocrita interpretazione di ” privato” e di “dati sensibili”. La segreteria, per esempio, non può dare per motivi di lavoro agli insegnanti i numeri telefonici degli studenti quando poi sono reperibili sui patti formativi degli studenti stessi. Sull’uso di facebook in classe si discute molto nella scuola: c’è chi è favorevole perchè la comunicazione e l’informazione oggi passano attraverso questa modalità, c’è chi è contrario perchè “la scuola è scuola e la vita fuori è la vita fuori”.
Che poi facebook sia una sorta di maieutica socratica è pretendere troppo così come attribuirgli un valore profondo di comunicazione tra generazioni che hanno un gran bisogno di parlarsi. La mia studentessa ivoriana come quella italiana quando vogliono parlare davvero con me di cose importanti per loro lo fanno a voce, anche per lungo tempo, anche fuori dall’orario di lezione. Dipende.
Ci sono modalità diverse e con diverse velocità e diverse tonalità e esigenze di comunicazione. Non sono in concorrenza tra loro, rispondono a esigenze comunicative differenti, dipende dalle situazioni volta per volta. Le scritte sui muri sono modalità comunicative, così come facebook o il dialogo a tu per tu. Possono convivere dentro a un’unica persona.