In tutti i Paesi normali quando un personaggio politico comincia ad essere sfiorato da sospetti, quando lo si coglie a dire bugie, paga dazio. Le sue ambizioni subiscono una battuta di arresto, si crea una sorta di sospensione del giudizio. Da noi è l’esatto contrario: se le ombre cominciano ad addensarsi su un personaggio, subito questo schizza in alto nelle preferenze, nelle offerte, nell’appoggio.
Mai, per esempio, Berlusconi è stato così deciso nel candidare Gianni Letta alla presidenza della Repubblica, come adesso, proprio nel momento in cui l’azzimato factotum, la ricamatrice del berlusconismo, è incappato nella clamorosa gaffe de L’Aquila.  Ci vuole molto pelo sullo stomaco a sostenere che i costruttori sorridenti a tutta bocca la notte del terremoto, non avrebbero mai messo piede all’Aquila, visto che erano già in forza alla Bertolaso holding, tre giorni dopo il sisma. Ora Letta dice di essere stato ingannato, senza però rivelare da chi, ovvero l’informazione fondamentale per parere minimamente credibile, per non apparire infantile.
Ma non importa. Fatto sta che la misteriosa patologia, la peronospera della vigna politica, non ha tardato a mostrarsi e a rilanciare letta letta ai vertici dello Stato. Insomma più si abbassa il livello etico, più torbide sono le acque, più si alza la posta.
E’ come se si volesse ribadire un concetto padronale secondo il quale ciò che vuole il capo non può essere contestato o sottoposto al vaglio della moralità, della logica e nemmeno del merito: vuolsi così colà dove si puote. E più non dimandare. Ecco dove è arrivata la nostra democrazia: ad essere persino più gracile che nel Pdl.