Anna Lombroso per il Simplicissimus

Non servivano doti profetiche per prevedere gli effetti sociali e  culturali  della campagna di militarizzazione del Paese in corso da più di due anni.

Si sa, tutto è cominciato quando la ricerca di identificare un nemico che autorizzasse una mobilitazione popolare e una guerra senza confini, indirizzata a generare consenso e a impegnare contro disfattisti, disobbedienti, dubbiosi, critici e eretici, ha investito l’opinione pubblica dell’incarico morale di battersi contro il subdolo avversario invisibile, ma soprattutto contro chi esprimeva perplessità, chi si interrogava sulle tremende ricadute di uno stato di emergenza con leggi marziali, autorità speciali, aggiramento delle istituzioni, sospensione dei diritti.

Sono subito iniziati i riti di accompagnamento, gli inni al balcone, l’esposizione di bandiere e vessilli, il conio di slogan galvanizzanti, l’edificante costruzione di figure mitiche: la comunità degli esperti, i sanitari in trincea, l’appoggio dato a un fanatismo bellico in grado di tradursi in demonizzazione di gruppo sottoposti a linciaggio, grazie anche alla riabilitazione della delazione e all’istituzione di severi tribunali popolari, fino all’obbligo di leva per arruolati di tutte le età entusiasticamente pronti al sacrificio.

Ma il culmine è stato raggiunto con l’apoteosi del generale Figliuolo, reduce dai fasti dell’Afghanistan, artigliere da montagna nonché comandante della brigata alpina Taurinense, un curriculum che doveva per forza farlo idolatrare malgrado la sua spontanea ruvidezza, la sua scontrosità più che comprensibile in un soldato incaricato di salvare la nazione e che a motivo di ciò due giorni fa è stato premiato dall’Europarlamento per la evidente “efficacia della sua campagna vaccinale”.

In questa seconda fase delle emergenze ormai normalizzate, l’esecutivo in veste di stato maggiore, pare non avesse più bisogno di generali, anche per via di sospette dichiarazioni di alti gradi dell’esercito che da circa tre mesi mettono in guardia dalla guerra messa nelle mani di ragazzini bulli, irresponsabili e   incompetenti che sognano di rifarsi di frustrazioni e dileggi adolescenziali.  E che ormai indossano il mimetico per imitare la potenza virile dei neonazi ipertatuati e ingioiellati dell’eroica terra invasa e per dare una dignità pugnace e soldatesca alla loro funzione di vergognosi lacchè e degradanti scagnozzi.

Ciononostante il governo del paese che da più di settant’anni paga un debito nei confronti di un esoso strozzino, che in ragione di ciò ha ritenuto di dover partecipare a conflitti cruenti, che ha ceduto porzioni di territorio a un occupante avido, non rinuncia alla narrazione che deve esaltare le virtù dei condottieri fieri e generosi che albergano in militari di carriera, ragazzoni che hanno scelto un parcheggio privilegiato nell’esercito, marinai addetti alla custodia di navi commerciali in veste di vigilantes annoiati.

Così si ripetono celebrazioni propagandistiche, come la solita  adunata degli alpini, che occupa tra bevute e scorribande una città, ma quest’anno rinvigorita dalla possibilità che venga concesso al nobile corpo una ricorrenza tutta sua che lo festeggi per la partecipazione alla campagna di Russia di Mussolini.

Quest’anno è toccato a Rimini dove, durante la 93sima adunata, simpatici veterani e alpini in servizio si sono abbandonati a atti e comportamenti molesti, invettive e gesti triviali, provocazioni contro ragazze e donne che hanno deciso di non lasciar correre e hanno presentato una valanga di denunce.

Ma si sa è l’aria di festa che a volte porta a lasciarsi andare a goliardate, esuberanze, effervescenze segno di prepotente vitalità innocente e istintiva. Niente a che fare con certi riti selvaggi, irrazionali e barbari che hanno avuto come teatro l’oktoberfest, i San Silvestro a Colonia, dove si dice che bestiali aggressori dagli istinti ferini avrebbero sottoposto ai loro turpi palpeggiamenti le nostre donne, intorno alle quali si è materializzata una forte solidarietà, mossa a condannare senza attenuanti gli atteggiamenti incivili di ospiti indesiderati, come ebbe a sostenere una parlamentare italiana nel compire una gerarchia dell’osceno crimine della stupro doppiamente esecrabile se commesso da uno straniero,  con  i suoi insulti in lingua straniera, i suoi umori insopportabili, i suoi odori non celati da Eau Sauvage.

E d’altra parte ultimamente ci hanno autorizzati a discernere anche nella somministrazione della compassione e della vicinanza morale, in modo da distinguere i meriti dei soggetti sui dedichiamo pietas e accoglienza, ucraini prima di tutti, custodi dei nostri valori superiori in posizione privilegiata rispetto agli scampati dalle guerre di predazione, dalla fame, dalla sete, dai bombardamenti, dai crimini perpetrati della potenza in nome della quale siamo chiamati a partecipare in aperta cobelligeranza.

Anche questo fa parte del processo di fascistizzazione dell’Europa, con le sue declinazioni, autoritarismo, demolizione dei parlamenti e della carte costituzionali nate dalla Resistenza, imperialismo e colonialismo, censura e repressione, xenofobia e razzismo, che si rivolge contro chi ha la colpa di essere povero, di essere diverso, di essere malato, di essere “altro”.

E di essere donna, il solito oggetto di offesa, mercificazione, ostentazione velenosa di potenza nata dalla frustrazione, inappagamento fallito, impotenza incollerita, stati animali e belluini che in un crescendo di rabbia amara sfociano nel crimine e nel delitto, senza attenuanti, senza comprensioni. E invece tollerati, giustificati, perché a che donna non fa piacere essere trattata da prodotto appetibile, desiderabile, nato per dare piacere a guerrieri stanchi tra due campagne di conquista?

È una formulazione particolare del principio di autorità basato sulla rivalsa che accomuna governi imbelli e inadeguati che si prendono le loro rivincite sulla gente, scienziati a libro paga ricattati e ricattabili che si appagano trasformando i cittadini in cavie e animali da laboratorio, imprenditori che hanno visto scemare i loro profitti per via di crisi cui hanno collaborato investendo il loro denaro nella roulette borsistica anziché raccogliere la sfida della competitività” come recita il loro slang, e che si “indennizzano” riducendo garanzie e remunerazioni dei lavoratori.

E maschi avviliti e inappagati sessualmente e emotivamente che si vendicano su quelle che credono geneticamente e culturalmente condannate a subire, a piegarsi ai loro desideri di ragazzetti violenti e maldestri, ossessionati dai confronti rituali  di potenza, dimensioni, prestazioni.

Stavolta il principio di autorità non è stato rispettato, cominciamo a imitare le ragazze di Rimini.