Anna Lombroso per il Simplicissimus
La tesi della “banalità del male” ha subito sconcertanti contestazioni, magari lastricate di buone intenzioni, a guardare i prodotti letterari e cinematografici del filone ambientato nell’apocalisse del secolo breve, che ci hanno mostrato i carnefici come demoni, angeli caduti, che alternavano assassinii perpetrati con precisione amministrativa, stragi meticolose, con l’esecuzione altrettanto accurata delle Polacche o l’ascolto rapito del Flauto Magico, la lettura commossa di Heine o edificante di Schopenhauer. È probabile che l’intento sia quello di contraddire l’idea che in ognuno di noi possa albergare un mostro dietro le fattezze del ragioniere del quarto piano, una sadica sotto il camice dell’infermiera della casa di riposo, un killer seriale dietro a compunto burocrate del comune, gente comune insomma, superficiale e mediocre, incapace di misurare gli effetti dei propri comportamenti, grazie a un distacco dalla realtà che permette la rinuncia alla capacità di discernere tra Bene e Male.
La tesi è che certi delitti grandiosamente orrendi vengano commessi in regime di esclusiva da esseri perversamente speciali, capaci di intendere la bellezza e ciononostante di cancellarla con algida e impersonale ferocia.
E questa teoria è circolata con un certo successo da quando sia diventato una dei pilastri dell’ideologia corrente la cosiddetta pacificazione, con la tolleranza riservata a chi sbaglia ma in buona fede, come gli ingenui ragazzi di Salò secondo Violante, con il sostegno a guerre promosse a “giuste” se sono dichiarate per la difesa di valori superiori propri della civiltà occidentale, e quindi con la condanna della violenza, qualora si manifesti in forma di ribellione anche virtuale, di disobbedienza anche civile, in sostanza di “lotta di classe”, reazione a sopraffazioni, sfruttamento e umiliazioni a opera dei poteri dominanti.
Ha favorito così quella forma particolare di negazionismo e revisionismo largamente condivise, grazie alla riabilitazione di criminali trascinati sulla strada della trasgressione da cattive compagnie e all’indulgenza riservata a larghi strati di popolazione e di opinione pubblica traviati dalla propaganda, allo scopo di restituire un po’ di innocenza perduta a chi non voleva sapere l’origine di quel fumo che saliva dia camini dei campi di lavoro, che non voleva immaginare chi fossero i viaggiatori di quei treni piombati e dove si recassero, fino a giustificare delazioni e collaborazionismi intesi come comprensibile forma di difesa da soprusi e controlli effettuati grazi e regimi di polizia e leggi speciali.
Questi due anni hanno dimostrato come possa far presa la convinzione che il Male debba vestire la divisa del Gaulaiter, che se invece si incarna in tecnici competenti, in autorità accreditate si converte in forme di sorveglianza, decisionismo e repressione necessarie e doverose a garantire che una situazione di emergenza venga gestita con chiaroveggenza, spirito organizzativo e mano ferma per il nostro Bene contro un nemico esterno che hanno saputo individuare e combattere, mettendo in campo generali e eserciti equipaggiati dell’unica capace di debellarlo, e così pervicaci e risoluti da contrastare e abbattere le difese del nemico interno, dubbiosi, disertori, ribelli, ignoranti e irresponsabili.
È stato un sollievo per molti che le autorità commissariali e le contro istituzioni parallele create per l’occasione, si assumessero anche il compito manicheo di decifrare e mostrarci cosa sia il Giusto e l’Ingiusto, a norma di decreto legge, concedendo ai più volonterosi e disciplinati qualche licenza elargita magnanimamente.
Adesso poi la divisione netta tra Bene e Male ha trovato un terreno fertile su cui piantare i suoi paletti, grazie al richiamo alla leva per la salvaguardia dei nostri valori e principi di civiltà e al fianco di un popolo che finora non aveva dimostrato di averli particolarmente a cuore, partecipando di pogrom e persecuzioni, sostenendo un governo fantoccio agli ordini dei superpotenze, promosso a esercito eroico di partigiani in lotta contro un invasore al quale sembrano preferire quello che gli promette Netflix, Mc Donald’s, Facebook, proprio come li ha elargiti a noi in cambio dell’occupazione militare del nostro territorio, della nostra cultura, del nostro immaginario.
E che ora ci impone sacrifici economici e, c’è da temere, anche umani in forma di bersaglio facilitato, offrendoci come contropartita di far sedere i nostri governanti al tavolo bambini al consesso dei Grandi, di poterci comprare a caro prezzo, ma in dollari, un gas particolarmente costoso e ambientalmente dannoso.
Come in ogni guerra viene dall’alto, dai padroni e dai loro camerieri, l’imposizione a stare dalla loro parte, che non può non essere che quella Giusta, grazie ai servizi della propaganda che ha sostituito interamente l’informazione per abusare concetti e parole d’ordine che un tempo erano patrimonio di chi esercitava spirito critico e opposizione al pensiero comune, svuotarli e delegittimarli, impiegando tutti i prodotti dell’industria della paura e della menzogna, del falso e del ricatto.
Ieri la Repubblica ha pubblicato un’intervista a un eroe della resistenza ucraina, il comandante del Reggimento Azov, Kuharchuck sotto al titolo: “Non sono nazista, ai soldati leggo Kant. Lottiamo per la nazione”. È un eroe anche l’intervistatore che ci spiega che “entrare in una delle basi del Reggimento Azov è questione delicata”, non per ragioni morali, perché magari gli riipugna avere a che fare con uno che reca perfino sulla divisa i marchi del nazismo, macché, è che “Se poi l’ingresso è scandito dai mortai russi che piovono nelle vicinanze di questa fabbrica abbandonata riadattata a dormitorio e campo di addestramento, lo è un po’ di più”. Ma come perdere l’occasione di sentire la voce di un partigiano, “veterano del Donbass, ex politico… chesi occupa delle operazioni al fronte nord-ovest (Irpin, Bucha, Hostomel), gestisce il reclutamento e conferisce direttamente col capo, Andrij Biletsky, che nel 2014 formò il Reggimento mettendo insieme gruppi di ultranazionalisti ucraini e attivisti di Maidan”, che non sembra essere il il tipo di combattente che ti aspetti di trovare nell’Azov, perché “misura le risposte, legge Kant e argomenta non solo col bazooka”.
Come non ricordare l’amore di Hitler per la pittura e le arti tanto da derubare, come primo atto nelle sue occupazioni, musei e collezioni pubbliche e private, comprese le opere dell’arte depravata, come non rammentare le frequentazioni dotte dei salotti letterari di Mussolini, come non spiegare se non con la passione per la creatività che non ha confini la presenza di pregevoli pezzi archeologici salvati dal disinteresse dei primitivi nelle dimore di Ceausescu o dell’oligarchia imperiale inglese?
Ed è sicuro che nelle bibliotechine dei comandanti dei lager, molti dei quali provvidero a dotare il campo di orchestre sinfoniche di deportati che allietassero le serate degli ufficiali, dimorassero la “Critica della Ragione Pura” o la “Fenomenologia dello Spirito”. E chiunque sa che ciò non tolse che quei luoghi dove risuonava Wagner e si leggevano Hölderlin e Goethe fossero teatro di atrocità, delitti e crimini che risultano incomprensibili a chi finge che ci sia incompatibilità tra la bellezza e l’ignavia, tra l’intelletto e la bestialità e che quando succede che si combinino sia per via di un imponderabile disegno della Storia che vuole stupirci.
Ci crede il cronista che ci informa che la cattiva reputazione di “nazisti” del coraggioso battaglione è infondata e nasce solo dall’ostinazione con la quale l’Azov ha sempre detto “che l’Ucraina si doveva preparare alla grande guerra contro la Russia, perché prima o poi ci avrebbe attaccato”, e che dà per buona la spiegazione secondo la quale l’ostensione di simboli nazisti sia un irrilevante vizio di molti tra “nella polizia, nella Guardia nazionale e in diversi gruppi sociali”, mentre l’Azov si sarebbe liberato di quegli orpelli arcaici.
E si esalta quando l’ufficiale vanta i valori dell’affiliazione: fratellanza e disciplina, e rivendica di costruire “relazioni che non si basano solo sul curriculum militare ma anche su principi morali universali”, terminando con la fatidica citazione che, nota il nostro inviato di guerra, recita a memoria: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me” .
Adesso ci sentiamo tutti più disposti al sacrificio fino all’immolazione per armare fino ai denti l’intrepido combattente equipaggiato con gli aforismi di Wikipedia sul gobbo che scorre davanti all’inutile idiota della libera stampa occidentale, a conferma che il male è banale ma può essere anche cretino.
e’ forse meglio il compagno che ha dato assenso a bombardare sarajevo senza batter baffetto? oggi invischiato in liason per forniture d’armi in sudamerica a stati canaglia?chi crede alle ideologie è uno stupido che crede alle sette religiose, siano pure istituzionalizzate dall’uso e consumo.
più che dare assenso ha promosso l’intervento bellico. Detto questo non faccio graduatorie quando non vedo differenze. Il fascismo è una componente irrinunciabile dei poteri e dei regimi