Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ormai non c’è settore della società che non rappresenti un problema, che non sia una crisi che il ceto oligarchico dei decisori può trasformare in provvidenziale emergenza per adottare misure straordinarie e leggi speciali, esautorare le istituzioni e sostituirle con commissariamenti autocratici, che affidano la soluzione a interventi di ordine pubblico a tutela della “sicurezza” e del decoro.

Non a caso in questi giorni le notizie dal mondo della scuola riferiscono di un acceso dibattito in merito all’opportunità di difendere la reputazione della scuola pubblica, messa in discussione di due anni di istruzione intermittente, ricorso alla Dad accessibile a circa il 25% degli allievi, parola del ministro dell’Innovazione, insegnanti e alunni discriminati, mascherine, banchi a rotelle, ginnastica sostituita da educazione sanitaria, mediante il rispetto di severi criteri di decenza nel comportamento e nell’abbigliamento.

Ci vuol poco a sospettare che si tratti dell’ennesima manifestazione dell’egemonia ideologica e culturale del “politicamente corretto” che si affida a paradossi e ossimori per indurre pian piano la convinzione della obbligatorietà di precetti e canoni che postulano un’uguaglianza di superficie, sotto la quale si possono nascondere differenze e discriminazioni, sancendo le virtù dell’appartenenza al gregge, attraverso l’adesione al pensiero mainstream, alle mode che orientano i consumi e i desideri.

Ci vuol poco a sospettare che non abbia elevata qualità pedagogica il richiamo a una disciplina formale di docenti che hanno  accettato per anni la demolizione del loro ruolo, l’umiliazione di remunerazioni avvilenti, l’imposizione di gerarchie amministrative e burocratiche intese a garantire la retrocessione del sapere e dalla cultura a formazione al lavoro.

Ci vuol poco a persuadersi che uno degli obiettivi del mantenimento della gestione emergenziale di una epidemia alla luce del ridimensionamento del pericolo ammesso dalle stesse autorità consista nel sostegno diretto e indiretto, politico, finanziario e culturale alla irrinunciabile necessità di privatizzare il sistema sociale, scuola compresa, dimostrando la superiorità di una istruzione che aiuti gli sbocchi professionali di ceti che possono offrirsi edifici moderni, attrezzature efficienti, tecnologie innovative, insegnanti felici e appagati, perfezionamenti aggiuntivi: sport, lingue straniere, viaggi e perfino divise e uniformi che consolidino l’immagine dei promettenti delfini del ceto dirigente.

E ci vuol poco a capire che servano a questo le scelte in applicazione dei valori della buona scuola, in modo che la vergognosa iniziativa dell’alternanza scuola/lavoro/morte (bianca come è d’uso per le bare dei giovinetti)  riconfermi che quella pubblica è una istruzione di serie B, che vale per classi subalterne cui venne concessa come segnale di un cambiamento culturale promosso dalla “sinistra” di governo che, si disse allora, pensava a unificare gli indirizzi didattici, classico, scientifico e tecnico, nella perfetta sintesi di un liceo “formativo” universale, che rivelò subito le vere finalità di una didattica a basso costo, della riduzione della materie umanistiche a infarinatura di accompagnamento alla “preparazione” alla vita e al lavoro, secondo dettami di carattere aziendalistico.

E difatti dobbiamo – alla pari – a Berlinguer e alla Moratti interventi analoghi di abolizione dell’insegnamento delle materie tecnico-pratiche, dei laboratori, delle  attrezzature a carico della Stato, per esternalizzare  costi e interventi formativi affidati a un terzo settore speculativo promosso da enti e regioni con finanziamenti pubblici nazionali e  europei, veri diplomifici pronti a scaricare sul mercato del lavoro forze impreparate, indifese e condannate a sfruttamento e precarietà.

La gestione pandemica ormai si è rivelata anche per i più renitenti alla verità, come una sperimentazione rieducativa di massa alla soggezione e all’obbedienza rivolta a tutti i pubblici e a tutte le età: anziani improduttivi da persuadere alla bontà dell’invisibilità, dell’isolamento o del conferimento in apposite strutture che con il Pnrr diventeranno il loro habitat obbligatorio, adulti da irreggimentare in posizioni lavorative esecutive, mobili secondo i bisogni padronali di grandi aziende e multinazionali che decidono la localizzazione più profittevole del capitale umano, rassicurati dall’offerta di prodotti farmaceutici che ne garantiranno la forma fisica necessaria a produrre, giovani e ragazzi da allenare a mansioni specialistiche e alienanti, ammaestrati alla competitività e alla produttività virtuale in maniera da contrastare il possibile e sterile riconoscimento tra sfruttati.

Ma senza essere ottimisti pare che questi ultimi proprio non vogliano starci. Pare non sia bastato costringerli alla vaccinazione per non essere estromessi dalla società come paria e sociopatici, pare non siano sufficienti i testi didattici con le esercitazioni per diventare pubblicitari nel settore della propaganda vaccinale, se le piazze si sono riempite di studenti che non si arrendono alla fine della speranza, al silenzio per non disturbare i grandi, alla riduzione del malessere dei vent’anni, la peggiore età della vita, a patologia personale da contenere davanti al pcp curare con le droghe legali e il sostegno dello psicologo erogato dall’Asl.