Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un amico mi segnala un cartello appeso su uno stand di una libreria Feltrinelli che recita “tu non potresti veder nulla maggior di Roma”, firmato Omero, meravigliosa e paradigmatica allegoria dello stato della cultura contemporanea, che non riesce più nemmeno ad essere mnemonica grazie all’opportunità offerta dal Progresso di risparmiare insieme alla ragione e alla logica anche la fatica di recitare a pappagallo, perché potrebbe suscitare reminiscenze di tempi nei quali si apprezzava l’intelligenza e di geni che hanno  pagato cara la loro indipendenza creativa.

Non sorprende che sia rimasto là chissà per quanti giorni in pubblica ostensione di insegnanti o alunni freschi di studi, alla vista , a pensare al pubblico anatema lanciato da un ministro della repubblica ex professore universitario contro l’abuso di guerre puniche, che distoglierebbe i virgulti da più fertili studi di informatica e alla decisione presa  grazie alla calda esortazione di giovani scansafatiche di ogni ordine e grado di esonerare i maturandi dallo sterile esercizio del tema scritto distrarre dall’apprendimento più fecondo dello slang imperiale.

Il fatto è che è cominciato da molti anni il processo di delegittimazione del “sapere” e della conoscenza, coinciso con la demolizione  dell’istruzione pubblica e dell’alienazione dei nostri beni comuni culturali e artistici, consegnati a sponsor in veste di micragnosi mecenati, secondo un corollario ai paradigmi dell’austerità, la persuasione cioè  che è necessario e improrogabile rinunciare a quello che è “immateriale”, che non si traduce in profitti immediati, e anche alla memoria di quello che un popolo ha prodotto per obliterare lo spirito di appartenenza, da limitare la richiesta di autodeterminazione e la dignità.

Ci hanno già poiettato il trailer del futuro con quello che è successo in Grecia dove il patron della soluzione finale del Paese e della sua regressione da provincia remota a espressione geografica ha messo in cima ai necessari atti impuri la svendita di isole e monumenti, la fine ingloriosa di orchestre zittite di università chiuse e di musei e siti archeologici dati in comodato a privati non certo disinteressati, come preliminari improrogabili per fiaccare la resistenza della gente e mortificarla allo scopo di far accettare l’estinzione dello stato sociale e dello stato di diritto.

Giorni fa il professor Zhok ha lamentato che per la prima volta nella storia dei finanziamenti nazionali nessun PRIN, i progetti di ricerca di interesse nazionale, sia stato finanziato per l’area filosofica, pur rappresentando il 10% delle azioni proposte nell’ambito del settore dedicato alle “Scienze sociali e umanistiche”, probabilmente in nome di quel doveroso pragmatismo che indottrina anche l’immaginario dei genitori e dei ragazzi spinti a indirizzarsi verso le più profittevoli e vantaggiose  lauree Stem.

A dirla tutta non so se dispiacermi a pensare alle prestazioni intellettuali e morali dei 100 filosofi contro Agamben (se ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2021/10/18/100-per-zero-uguale-zero-155983/), a Flore d’Arcais che definisce democrazia la delega a chi sa e impiega Hiedegger, Foucault e Derrida come testimonial nello spot in favore della medicina a libro paga  dell’industria farmaceutica o a Marramao sdegnato con chi osa tacciare Europa e Biden di “autoritarismo” ed esaltato dalle prestazioni del tandem” Mattarella e  Draghi” grazie ai quali l’Italia ha avuto “un riscatto eccellente, proprio sul controllo e la gestione della pandemia, nei confronti di altri Paesi”.

Gli dò ragione invece quando dice che la notizia contribuisce a fare chiarezza su quali sono i settori di interesse primario dell’oligarchia,  quelli strategici nei quali implementare   la  controrivoluzione tecnologica, digitale, progressiva che ha l’obbligo di resettare nozioni inutili e controproducenti se riesumano i miti della libertà, che secondo Galimberti “non esiste, e questa è una fortuna” del  libero arbitrio, della critica come base dell’autoderminazione e del dubbio come caposaldo di ogni disciplina, per mettersi al servizio del grande cambiamento che sostituirà quel poco di intelligenza naturale rimasta con quella artificiale più efficiente e duratura.

E che abbatterà i totem dell’affermazione di vocazioni, creatività non immediatamente produttiva e riproducibile, di vocazioni non commerciabili, di valori e principi millenari per far posto all’idolatria del merito, della competenza, della competitività, in modo che le generazioni future ne facciano tesoro per dare un senso a partiche alienanti, schiacciare un pulsante, pilotare un drone dal pc, bombardare l’Afghanistan in gara con colleghi di altre latitudini felicemente cancellate dalla globalizzazione senza i molesti confini che impediscono al circolazione di uomini e prodotti, fatte salve le idee pericolosamente contagiose.

Come Zhok preconizza, in un futuro prossimo la smania di applicare i criteri della realpolitik, della funzionalità pragmatica, dell’utilitarismo anche alla speculazione filosofica oltre che a quella finanziaria e immobiliare, con il finanziamento della ricerca su “La stufa di Cartesio e il Global Warming“, abbiamo già letto l’invito proveniente da non meglio identificate “forze sociali” e non meno rischioso a attualizzare i contenuti della didattica in risposta a Cingolani, introducendo un confronto in classe e negli atenei sulle fake news, l’hate speech e il revenge porn oltre che sviluppando  il coding, la cultura tecnica e più ore di materie stem, secondo precise indicazioni ministeriali.

Ci vuol poco a immaginare quale visione del futuro animi i decisori, che considerano futile la storia, già ridotta a due ore alla settimana, il tema di italiano da rimuovere energicamente poiché “non consentirebbe ai maturandi di stare in totale sicurezza”, la storia dell’arte sostituita da percorsi virtuali con tanto di banchi a rotelle disposti come i sedili del pullman e il cestino della colazione a simulare l’educativa gita scolastica a Ravenna, motivati come sono dal disprezzo per la gente, infantile, ignorante, rozza cui non viene riconosciuta la facoltà di  discernere, di interpretare e dunque di decidere, e che perciò va indirizzata e guidata nelle scelte come bambini riottosi da rieducare per riportarla a quello stato di minorità da cui, diceva Kant, i Lumi settecenteschi l’avevano tirata fuori.

E figuriamoci se si può lasciare spazio alle scienze e alle discipline del pensiero, della concezione di vita  e dei  modi del conoscere e dell’agire umano  quando tutto congiura nell’esaltare il primato dell’irrazionalità che si manifesta nella riduzione, o promozione?, della scienza a religione da professare con atti di fede, sacrifici, a cominciare da quello che ha come vittime i bambini da immolare per salvare i nonni, quelli che sono sopravvissuti a decenni di decimazione precoce, rinunce come fioretti da fare per conquistarsi la salvezza terrena in cambio dell’abiura a diritti e prerogative. Allo scopo evidente di rendere sempre più fragile la Ragione e con essa la consapevolezza delle proprie possibilità e dei propri limiti, ai quali possiamo sfuggire solo sfidando gli obblighi imposti da autorità che si sono appropriate di una funzione etica usurpata.

Si tratta di una disgregazione della concezione della postmodernità, quella raccontata da Vattimo, da Lyotard, da Derrida,  che prevedeva la decostruzioni di narrazioni ideologiche per arrivare alla purezza scarnificata della verità, da attuare con la grossolana egemonia della cyber specializzazione tecnica e della competenza officiata da sacerdoti dell’oscurantismo più barbaro e regressivo.

 

 

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