Anna Lombroso per il Simplicissimus
Ecco pronto il caso di una donna di “successo” , rampante e vincente grazie a intraprendenza, aggressività e ambizione che non è azzardato definire “virili”. Si chiama Mariangela Marseglia, 47 anni, e – cito da Repubblica, “quand’era poco più di una ragazza fondò Amazon Italia da Parigi con un pugno di accoliti”, facendola crescere “al passo stellare segnato nel mondo” .
Spetta quindi anche a lei difendere l’azienda dalle accuse mosse dall’antitrust Ue di uso improprio dei dati delle clientela e dall’Ag Com italiana per sfruttamento di “posizione dominante nei pacchi postali” con quasi il 66%. Alle quali qualche giorno fa ha risposto serafica: “Non siamo una big tech. Tantomeno un operatore postale. Amazon è una grande azienda fisica, che anche grazie a investimenti miliardari è diventata forte in settori diversi come e-commerce al dettaglio, audiovisivo, cloud, servizi alle imprese”.
Eh si, perché, rincara la dose di sfrontatezza, “nessuna azienda più di Amazon si occupa delle piccole aziende…. È talmente pro-concorrenziale che ci portiamo in casa, sulla nostra piattaforma, anche i grossi concorrenti, liberi di usarla per vendere prodotti loro”. E via con i buoni propositi della svolta green: entro il 2025 tutte le attività saranno alimentate da energie rinnovabili, si sta investendo in mobilità elettrica, su innovazioni volte a ridurre gli imballaggi, e per sostenere programmi di riforestazione, e su una pubblicità/progresso che indirizzi la clientela verso “consumi sostenibili”.
Dunque, come non essere compiaciuti per questo quadretto edificante che di deve probabilmente a quegli speciali tratti di superiore sensibilità di genere che caratterizzano le donne manager, dalla Marcegaglia alla Morselli, e cui non manca un riferimento doveroso al trattamento dei dipendenti, migliorato da quando è stata data vita a un tavolo negoziale con i sindacati che hanno riconosciuto “le condizioni di lavoro e retributive di qualità dei lavoratori, che non sono solo magazzinieri ma anche neolaureati e ingegneri specializzati”.
Insomma grazie all’occhiuta sorveglianza delle rappresentanze sindacali tutto va bene, le notizie dell’amazonizzato costretto a fare pipì in bottiglia, di quello che guadagna un salario talmente misero da non potersi pagare un tetto, così da vivere in camper nel recinto dell’azienda in modo da essere sul pezzo h24, saranno probabilmente leggende metropolitane, come i dati che denunciano che i tesserati della triplice sono sempre meno, per via della fuga verso organizzazioni autonome.
C’è davvero da sospettare che ormai tutto congiuri per persuaderci che le regole del mercato siano leggi naturali e incontrastabili, che è nell’ordine delle cose del mondo che una impresa tragga profitto ormai non da quello che produce o commercializza, ma dalla vendita delle informazioni che riguardano i nostri consumi e dunque le nostre preferenze, inclinazioni, abitudini, così come è altrettanto scontato che accumulino capitali e rendite frodando il fisco grazie al trasferimento all’estero di sedi legali o pagando poco i dipendenti perlopiù precari o non ottemperando alle leggi che li tutelano in tema id garanzie e sicurezza.
Che lo sfruttamento sia un effetto collaterale, inoppugnabile e ineluttabile lo si deduce anche dal fatto che la stampa mainstream non ha mai compiuto un’attività investigative sulle strategie opache dei titani delle piattaforme e del commercio online, limitandosi a riportare le notizie che arrivano dagli Usa come se certe infami sopraffazioni avessero un’origine antropologica.
Come nel caso dei 179 magazzini i cui dipendenti sono stati licenziati o penalizzati con decurtazioni del salario a causa, si è detto, del cattivo funzionamento dei sistemi di sorveglianza dei congedi per malattia o dei permessi concessi durante i lockdown, quando in realtà per ammissione del management si trattava di procedure intimidatorie e ricattatorie per tenere vivo lo spirito di squadra e rafforzare ambizione e dinamismo dei lavoratori che altrimenti “marciano verso la mediocrità”, impigriti dalle “sicurezze” e dagli agi.
È probabile dunque che non conosceremo il rovescio della medaglia delle 3500 assunzioni avvenute alla scadenza di fine ma saranno 3.500, che porteranno i dipendenti di Amazon Italia a 13 mila unità a tempo indeterminato, a meno che non si facciano vedere e sentire.
Siamo comunque legittimati a sospettare che anche queste assunzioni rientrino nei pacchetti dei voti di scambio, delle negoziazioni tra amministrazioni e impresa per intervenire su piani regolatori e norme urbanistiche, delle contrattazioni con i soggetti di vigilanza della sicurezza, come è ormai accertato che succede da quando la deindustralizzazione ha dato origine a occupazioni instabili, insicure, con salari bassi e un indebolimento delle organizzazioni sindacali in cui
la forza lavoro pende verso la cancellazione del “lavoro stabile” favorendo mestieri intensificati e privi di diritti, informali e precari. E creando segmenti di pubblico “periferico” rispetto ai canoni tradizionali del mercato a elevata instabilità, con mansioni semplici e di routine, facilmente sostituibili dalla tecnologia e da aspiranti con ancora minori aspettative, ancora più isolati e vulnerabili, donne, giovanissimi o ultracinquantenni.
Non c’è crisi che possa davvero toccare questi imperi, e per molti motivi: cambiamenti nella divisione del lavoro e la creazione di nuovi bisogni possono portare alcune merci che erano cruciali ieri a essere irrilevanti oggi. L’indispensabilità di certi prodotti è forgiata da molti fattori che vanno ben oltre i bisogni e la necessità reali, ed anche la loro qualità è condizionata da elementi persuasivi anche da punto di vista morale, se non c’è serie di Netflix che non celebri Jobs mostrando l’eroe che digita su un pc Apple a dispetto delle notizie dei suicidi e delle malattie professionali degli assemblatori di Shenzhen.
Da sempre la determinazione del prezzo di una merce e il “bisogno” di conquistare il diritto a acquistare un prodotto dipende dalla sua desiderabilità, dal potere di seduzione che esercita perché è raro, perché è uno status symbol e dunque esclusivo.
Aggiungiamo un elemento nuovo a queste considerazioni banali da quando il commercio online permette l’appagamento “istantaneo” del desiderio, tra l’altro con la consegna gratis che illude il cliente di essere un privilegiato di cui si riconosce il valore, vezzeggiato con punti fedeltà, l’accesso servizi on demand che diventano l’ambientazione della sua realtà parallela nella quale tutto si può affittare grazie alla cessione del diritto di proprietà che vale per libri elettronici che non hanno bisogno di scaffali, musica per la quale non serve il giradischi, panorami da godere dalla finestra del B&B acquisito tramite un’app.
E’ dematerializzata e virtualizzata anche la cattiva coscienza così se si sa che c’è uno sciopero per un giorno non si comprano il cacciavite o la bibita dietetica, per poi tranquillizzarla col pensiero che è comunque meglio che certi povericristi abbiano un lavoro, sia pure quello di tirare su e giù dalle mensole, imballare e recapitare quell’oggetto che si vuole e casa e subito. In fondo ci dice di essere soddisfatti anche lo spot di Amazon, con il ragazzo che grazie allo stipendio di magazziniere paga le cure del congiunto invalido, nel grande contesto dell’ipocrisia globale.
Buona sera,
i passaggi pubblicitari in tv di Amazon mostrano i visi sorridenti ora di lavoratori stranieri naturalizzati italiani, ora di giovani lavoratrici italiane. Ma quel messaggio preconfezionato non ci dice che Amazon, che so, è un’azienda leader nel settore del commercio elettronico: ci vuole dire che dentro quel luogo di lavoro va tutto bene, assumiamo profughi, noi, assumiamo perfino donne… non ci sono nuovi schiavi nè schiavi di un algoritmo, qui. E non è vero che Bezos ordina Velocità-Velocità…
Operano così i “Grandi Gruppi”… Mi sono ricordato che qualche mese fa, nella sede di San Giuliano Milanese del gruppo Mondo Convenienza era prevista una mobilitazione dei lavoratori con proclamazione di scioperi appoggiata dalla Filt lombarda. Il gruppo decideva di far arrivare, dalla sede di Cagliari a quella di San Giuliano Milanese, ventidue lavoratori sardi che avrebbero sostituito quelli in sciopero. Si potevano leggere titoli così:” Lavoratori scioperano nel milanese, l’azienda decide di ‘deportare’ i sardi per tappare i buchi e vanificare la protesta.”, “Dipendenti milanesi in sciopero, Mondo Convenienza li sostituisce con quelli sardi:”. Lo slogan del gruppo Mondo Convenienza è “La nostra forza è il prezzo” (e deve essere così, perchè poco tempo dopo il negozio a Cagliari di Semeraro ha chiuso i battenti…). Ma, anche qui, a quale prezzo “la nostra forza è il prezzo”?
Famosi/famigerati bisogni indotti: Da sempre la determinazione del prezzo di una merce e il “bisogno” di conquistare il diritto a acquistare un prodotto dipende dalla sua desiderabilità, dal potere di seduzione che esercita perché è raro, perché è uno status symbol e dunque esclusivo.