Il 9 maggio scorso si è festeggiato in Russia  l’anniversario della vittoria sul nazismo che da tempo immemorabile non è più la vittoria dell’occidente e che forse non è lo è mai stata a giudicare dal fatto che la teocrazia di Washington  tenta di circondare il territorio russo con regimi di conclamata ispirazione nazista o che comunque non nascondo espliciti riferimenti alla croce uncinata come accade , per esempio, nei Paesi baltici. In realtà la storia del ‘900 andrebbe completamente riscritta mostrando che la seconda guerra mondiale fu solo in parte una battaglia contro i regimi fascisti, molto di più contro potenze emergenti che  mettevano in pericolo l’impero anglosassone e per gran parte una lotta sotterranea contro il comunismo. Ma non possiamo affrontare qui questo sterminato  argomento al quale ho appena accennato in altri post tra cui quella  sulla Demonizzazione di Stalingrado , occorre però chiederci come mai oggi la Russia non più comunista e non più sovietica rimanga comunque  il  nemico per eccellenza delle elite Usa  e contro di essa si scateni senza sosta una propaganda ossessiva che semmai è anche più pervasiva e violenta che durante la guerra fredda.

Una delle ragioni più evidenti è il tentativo di Washington di separare l’Europa dall’immenso blocco asiatico perché senza il vecchio continente di cui sfruttare l’intelligenza e la demografia ancorché in rapido declino, gli Usa sarebbero perduti: facendo della Russia un nemico assoluto, colpendolo con le sanzioni e impedendo gli scambi, si costruisce un nuovo muro che magari, anzi certamente nessun membro dell’Unione vuole, ma la cui realizzazione è affidata a una buro – oligarchia  continentale cieca e moralmente squaliforme, che risponde direttamente ai tessitori del globalismo e non certo agli interessi dei Paesi membri e men che meno dei loro cittadini. E tutto questo sarebbe assolutamente evidente se non ci fosse un gigantesco meccanismo di persuasione che esattamente come avviene per i Paesi che Washington tenta di destabilizzare in funzione antirussa ( la Bielorussia è l’ultima in ordine di tempo) non permette di vedere come questa tattica possa portare soltanto a disastri che vanno da un minimo rappresentato da un danno economico, magari anche rilevante ad un massimo che è la distruzione nell’ambito di una guerra che fatalmente si trasformerà in conflitto nucleare. Solo che qui ci troviamo in uno scenario del tutto asimmetrico dal punto di vista mediatico: la possibilità, anzi la probabilità di una catastrofe finale è ben compresa sia in Russia che in Cina, che per l’appunto si mostrano molto prudenti, mentre viene nascosta alle opinioni pubbliche occidentali ormai facilmente manipolabili come greggi rendendole perciò disponibili ad avventurismi di ogni natura.

Questa dissimmetria fa apparire fin troppo prudente Putin e l’elite russa e invece pimpante e in ottima forma quella che potremmo definire imperiale. Ma si tratta solo di una sorta di illusione ottica: le elite occidentali di fronte all’esaurirsi del secolo americano sono diventate sempre più imprudenti e pericolose nei loro processi decisionali, come se avessero assunto metanfetamina e non si rendessero che guerre commerciali, guerre reali, guerre fredde, sanzioni di ogni tipo non si trascinassero dietro il pericolo di deflagrazione nucleare. Agiscono come se l’avversario fosse sempre disposto a ritirarsi proprio di fronte  alla disinvoltura con la quale viene evocato l’olocausto atomico: la vera differenza con la guerra fredda e che allora gli occidentali sapevano negoziare, mentre ora non sanno e non vogliono farlo perché è in gioco anche il gigantesco castello di menzogne costruito per scopi interni e che potrebbe facilmente  implodere su se stesso. E’ evidente che per le elite il giorno della vittoria suona come il giorno della loro possibile sconfitta.