Ecco come nasce una fake news, non una di quelle che durano una settimana, ma che nelle intenzioni dei suoi propalatori sono destinate a diventare un crivello per l’opinione pubblica occidentale e per i nemici dell’unipolarità americana, in maniera che il signor X tornando a casa dopo una dura giornata di lavoro malpagato, si senta indignato per la terribile repressione da parte di Pechino degli Uiguri, popolazione a maggioranza mussulmana finora totalmente sconosciuta ai più e di certo non la più numerosa delle altre 8 comunità islamiche in Cina . Si comincia con una pianificazione come ha confessato Lawrence Wilkerson, Capo di Stato Maggiore dell’ex segretario di stato Colin Powell, si scelgono gli Uiguri perché sono sulla via della seta e perché qualche centinaio di loro è stato iniziato al terrorismo di stampo wahabita dall’Arabia Saudita, sono stati in medioriente e dunque costringono Pechino a operazioni di controterrorismo normali in ogni altra parte del mondo, ma non evidentemente in Cina. Poi si prosegue con qualche battito d’ali di farfalla, con qualche articolo su fogli online di fede stellestrisciante, magari collegati a qualche organizzazione sedicente umanitaria che ricevono abbondanti fondi dal dipartimento di stato o da qualche famigerato filantropo, poi l’argomento sbarca nei ricchi salotti della razza padrona dove si conversa amabilmente su come mantenere il dominio. Successivamente la cosa comincia a diffondersi in rete dove incontra dapprima le anime nere degli influenzatori e infiniti canali di penetrazione tra le anime belle senza testa. E cresce come una valanga, si arricchisce delle più disparate fantasie che nascono dal marcio inconscio occidentale; e infine i rivoli di questa narrazione sparsa vengono raccolti e ripresi dall’informazione mainstream così che alla fine diventano una verità incontestabile o contestabile solo da chi non a cuore l’umanità e men che meno la democrazia.
A questo punto si scopre che lo Xinjiang, regione che l’indignato per contratto. non sa nemmeno dove si trova, è una specie di immenso lager dove un milione di Uiguri, anzi no due milioni o meglio ancora tre che è il numero perfetto sono internati in dozzine, centinaia, migliaia di campi perché di certo il pallottoliere non manca a Radio Feee Asia, di proprietà della Cia, media ufficiale di questa campagna. E poi si grida che la scrittura, la cultura, i costumi, la religione e la lingua uighur sono sradicate (in favore di quale delle cinque lingue che si parlano in Cina non viene detto, (ma dopotutto sono americani, mica possiamo chiedere cose troppo complesse), si sussurra che vengono forzati matrimoni tra Uiguri e cinesi Han che costituiscono la maggioranza della popolazione della regione, si racconta che si può essere imprigionati per il rifiuto di mangiare carne di cane, che si è costretti a gare di ballo forzato ben sapendo che queste manifestazioni danzanti non piacciono agli uiguri e giù di piccone con queste stronzate tra l’altro palesemente abborracciate e incoerenti di cui non esiste la benché minima prova. L’obiettivo naturalmente non è quello di interessarsi davvero di queste popolazioni che vivono al confine col Pakistan e presentano problemi di infiltrazione terroristica, in particolare dell’ormai “usatissima” Al Quaeda, ma di mettere in difficoltà la Cina attraverso una narrazione che sembra una sorta di autodafè dell’occidente perché immagina ciò che noi faremmo, ma che è lontanissimo dalla mentalità cinese: infatti gli Uiguri godono di una sorta di discriminazione positiva in materia di istruzione, vendita al dettaglio e creazione di società proprio per evitare problemi e oltretutto la regione che è la più grande e allo stesso tempo di gran lunga la meno meno abitata dell’ex celeste impero (22 milioni di abitanti, nemmeno Shangai e 10 di uiguri) , è investita da un gigantesco piano di sviluppo che solo nell’ultimo anno ha portato in Xinjiang, noto per i meravigliosi paesaggi, 153 milioni di turisti. Si confondono resistenze dei residuali poteri tribal religiosi verso una situazione che rischia di marginalizzarli, con quella di conflitto etnico e repressione razziale.
Ma andando al sodo da dove vengono prese queste notizie? Quali sono le fonti? Basta fare questa domanda per raccogliere con un kleenex tutta questa puteolente robaccia e metterla nel sacchetto che merita accanto alle pepite di Fido. Si tratta infatti esclusivamente di una tale Gay McDougall membro di un ente privato, il Cerd, sedicente centro per l’eliminazione della discriminazione razziale. che lavora talvolta per le Nazioni Unite, ma non è dell’Onu, particolare importante perché all’inizio della campagna condotta senza la minima pezza d’appoggio se non generici “rapporti credibili” citati dalla McDougall, sono stati erroneamente attribuiti dall’Agenzia Reuters alle Nazioni Unite le quali sono state costrette a smentire vista la puzza di bruciato che si spandeva tutto attorno. Il tutto segue uno schema che abbiamo imparato a conoscere grazie alla pandemia: pressioni private che condizionano in maniera determinante l’organismo internazionale. Anche la Reuters, da cui ha attinto a piene mani tutta l’informazione mondiale, alla fine ha cercato di chiamare a soccorso un sedicente centro per i diritti umani in Cina che opera naturalmente a Washington ed è sovvenzionata dal governo statunitense. Una fonte credibilissima come del resto Human Right da tempo espressione dell’amministrazione Usa, che si è aggiunta ad accreditare i “rapporti credibili” rimasti peraltro pura citazione. Tuttavia proprio nel corso di questa espansione esplosiva di fake news, lo stesso Cerd ha tenuto a far sapere che le notizie non derivano ufficialmente dall’organizzazione, ma esclusivamente dalla signora McDougall. Recentemente si sono aggiunte le testimonianza di un fantomatico Wuc “World Uyghur Congress”, una sorta di gruppo terrorista messo in piedi con i reduci della Siria da un personaggio che entra di forza in questa storia, ovvero da Erdogan. Il sultano di Ankara il quale crede che l’esigua minoranza etnica presente principalmente nella provincia cinese dello Xinjiang, sia il luogo di nascita della nazione turca.
La cosa interessante è che vediamo ripetersi quasi senza variazioni il caso Tibet, area peraltro indefinita, dove il revanscismo di potere dei monaci è diventato chiave di volta di un movimento per l’indipendenza del tutto costruito a tavolino a diecimila chilometri di distanza. Si è preso il capo di una forma di buddismo ormai assolutamente marginale in Asia, il Dalai Lama, facendone una sorta di un papa arancione, esibito dappertutto, cruna dell’ago di un presunto movimento per la libertà tibetana, con tanto di costituzione custodita in India e testimonial hollywoodiani. Ci si fida sempre che l’uomo della strada legga solo i titoli della vita e infatti basta esaminare questa costituzione per vedere che essa non ha nulla a che vedere con la libertà, ma è quella di uno stato teocratico assoluto e arcaico nel quale gli ordini monastici hanno tutto il potere. Chiaro che ogni tanto, anche se ormai raramente, essi facciano qualche azione di protesta che viene spacciata come moto spontaneo della popolazione tibetana ( peraltro minoranza da sempre) la quale invece da almeno un ventennio è oramai estranea anzi apertamente ostile a queste dinamiche visto che investimenti, ferrovie, strade hanno ridato un po’ di vita al tetto del mondo. L’imperialismo cinese funziona così, è inclusivo, come del resto si vede bene in Africa, fa parte di una cultura diametralmente opposta a quella che si è affermata in occidente dopo la caduta dell’impero romano e che è diventata persino autodistruttivo nella sua versione più rozza. Ad ogni modo ormai è chiaro che Washington ha dato per persa la questione tibetana perché non è più strategica e si butta sugli Uiguri nella speranza di poter preparare sulla base di un’ennesima menzogna, misure muscolari del tutto ingiustificate. I veri uiguri sono quelli che si fanno prendere per il naso.
Ma perché su sto blog non si vuol proprio dare credito alla Propaganda USA ?
La cosa interessante è che vediamo ripetersi quasi senza variazioni il caso Tibet, area peraltro indefinita, dove il revanscismo di potere dei monaci è diventato chiave di volta di un movimento per l’indipendenza del tutto costruito a tavolino a diecimila chilometri di distanza. Si è preso il capo di una forma di buddismo ormai assolutamente marginale in Asia, il Dalai Lama, facendone una sorta di un papa arancione, esibito dappertutto, cruna dell’ago di un presunto movimento per la libertà tibetana, con tanto di costituzione custodita in India e testimonial hollywoodiani. Ci si fida sempre che l’uomo della strada legga solo i titoli della vita e infatti basta esaminare questa costituzione per vedere che essa non ha nulla a che vedere con la libertà, ma è quella di uno stato teocratico assoluto e arcaico nel quale gli ordini monastici hanno tutto il potere. Chiaro che ogni tanto, anche se ormai raramente, essi facciano qualche azione di protesta che viene spacciata come moto spontaneo della popolazione tibetana ( peraltro minoranza da sempre) la quale invece da almeno un ventennio è oramai estranea anzi apertamente ostile a queste dinamiche visto che investimenti, ferrovie, strade hanno ridato un po’ di vita al tetto del mondo. L’imperialismo cinese funziona così, è inclusivo, come del resto si vede bene in Africa, fa parte di una cultura diametralmente opposta a quella che si è affermata in occidente dopo la caduta dell’impero romano e che è diventata persino autodistruttivo nella sua versione più rozza. Ad ogni modo ormai è chiaro che Washington ha dato per persa la questione tibetana perché non è più strategica e si butta sugli Uiguri nella speranza di poter preparare sulla base di un’ennesima menzogna, misure muscolari del tutto ingiustificate. I veri uiguri sono quelli che si fanno prendere per il naso.