asiniCi avevano provato. Come si evince da  questo post del 13 agosto scorso, l’Istat era venuta incontro al premier facendo uscire le anticipazioni dei numeri del secondo semestre con una ventina di giorni di anticipo sulla data canonica, nascondendo dietro la distrazione ferragostana le cifre della stagnazione del pil, peraltro deducibili da un’infinità di indizi. Era il massimo che potesse fare visto che una ulteriore manipolazione (oltretutto erano già stati rivisti al ribasso i dati del 2015 per salvare il 2016) avrebbe messo a rischio la reputazione dell’istituto: si sperava che il “colpo” per la narrazione renziana potesse essere smorzato e assorbito durante il picco delle vacanze così da arrivare già masticato alla data ufficiale di uscita dei dati e agli appuntamenti di settembre.

Forse si pensava anche di riuscire nel frattempo a ottenere qualche ulteriore sconto dalla statistica, magari quello 0,1 per cento in più che salvasse le apparenze della crescita, ma il fatto è che alle giornate di  Cernobbio la menzogna  sulla ripresa, sulla crescita, sulle facoltà magiche del job act è esplosa in faccia a Renzi e al suo ministro Padoan, i quali non hanno trovato di meglio da dire se non che l’Istat raccoglie i dati “in maniera vecchia”. Canta il gallo, raglia l’asino: la nuova maniera sarebbe probabilmente quella di inventarseli o di leggerli sul telefonino. Questo è il ringraziamento per anni di diuturno e infaticabile lavoro tra i numeri per simulare la possibilità di una crescita, per attenuare i segni meno facendoli parere un punto, per adeguarsi alla narrazione governativa e alle necessità dell’Europa. Il fatto è che l’economia italiana è ferma, non ha recuperato il 20% perso con la crisi, è avviata in  uno sprofondo di deindustrializzazione e tutto questo nonostante (anzi a causa) del massacro del lavoro, delle pensioni e del welfare.

Ora va bene la faccia tosta di non prendere in considerazione i dati e continuare a dire come ha fatto Renzi che “il 2016 è un dato di fatto va meglio del 2015, il 2015 è andato meglio del 2014, che a sua volta era andato meglio del 2013 e cosi via fino al 2012”, ma sputare nel piatto statistico nel quale si mangia ogni giorno, solo perché non è stato aggiunto abbastanza aroma artificiale alla solita zuppa,  è da miserabili. Così come è da miserabili non stabilire la data del referendum per paura di questi dati, nell’assurda speranza di un qualche ballon d’essai da mostrare come segno vincente e forse perché probabilmente si pensa che una campagna brevissima e un voto last minute possano favorire il sì. E’ abbastanza chiaro però che quella di Cernobbio è stata una mezza imboscata, che la classe dirigente si è disamorata della sua creatura, la quale sentendosi braccata cerca di azzannare e accusa a sua volta i padroni del vapore di aver sottovalutato i problemi delle banche. Lo dice oltretutto avendo come ministro la Boschi che di quei problemi costituisce la parte più oscura e ignobile. Però come la lucertola che abbandona la coda pur di salvarsi sono pronto a  scommettere che nei pressi del voto referendario sulla Costituzione, la manderà a casa, dopo averla difesa a spada tratta, nel tentativo di riacquisire credibilità.  E’ così che si fa nella topaia Gorbeau e a Palazzo Chigi.