Dai supermercati sta gradualmente sparendo l’acqua minerale gassata condannata senza appello da misteriosi riti salutistici: si compra qualsiasi schifezza industriale, ma quando si arriva all’acqua ecco che la “natura” prende il sopravvento e se proprio nel segreto dei nostri cuori abbiamo un debole inconfessabile per le bollicine, alimentiamo questo vizio con le acque “naturalmente frizzanti” come se la Co2 acquisita prima di arrivare alla fonte sia diversa dall’anidride carbonica immessa prima dell’imbottigliamento, quando invece se c’è qualcosa che produciamo in grande quantità e in purezza è proprio la Co2. Inoltre questa piccola aggiunta favorisce la digestione e al contrario della favola auto assolutoria, non gonfia affatto la pancia legandosi invece al cibo. Ma è un processo che per quanto semplice ha un costo che considerate le caratteristiche basiche del prodotto non può essere, non ancora perlomeno, interamente caricato sul prezzo finale dopo aver contribuito per molti decenni nel dopoguerra ad innalzare invece quello dell’acqua “naturale”, spesso ottenuta attraverso concessioni poco più che simboliche e resa attraente proprio dalle bollicine.
Ma questo non è che uno fra i tanti miti alimentari i quali nel loro insieme riflettono spesso solo campagne commerciali per vendere questo o quello, per orientare i consumi, per strappare maggiori profitti vendendo fumo senza nemmeno fermarsi di fronte alla speculazione sulla malattia. Un caso di scuola può essere la celiachia, malattia di origine genetica, dai contorni non ben chiariti, rarissima se non sconosciuta fino a poco tempo fa, ma “esplosa” guarda caso proprio nel periodo in cui negli Usa cominciò una campagna senza precedenti contro l’uso dei cereali nell’alimentazione. Certo è strano che una particolarità genetica di questo tipo sopravviva nell’area mediterranea dove da almeno 6 millenni si vive di cereali e si sa che anche la ricerca non è insensibile allo spirito del tempo. Ma è anche strano che la stragrande quantità dei malati vengano diagnosticati in età matura o giovanile, quando invece la patologia dovrebbe manifestarsi già all’uscita dalla placenta. Di fatto però sarebbe un peccato essere esclusi da questa moda e così tutti sospettiamo di essere celiaci benché di fatto solo 57 mila persone in Italia abbiano sintomi correlabili a un’affezione reale di questo tipo.
Ora il numero di persone gravemente allergiche a una qualche sostanza alimentare, tanto da rischiare lo shock anafilattico, è enormemente maggiore e tuttavia nella culinaria televisiva e giornalista vediamo lo sforzo diuturno per dare prodotti ai celiaci, ma non esiste alcuna precauzione nei confronti dei più comuni allergeni. Il che definisce fin da subito il contesto in cui una malattia diventa mercato.Giustamente è nata anche un’industria destinata a rendere più facile la vita ai celiaci abbianti con prodotti precotti o surgelati e quant’altro: ottima cosa se non fosse che la spinta mediatica ha finito per coinvolgere molte più persone che ci hanno provato ad eliminare il glutine ampliando artificialmente la base commerciale. Così adesso che l’attenzione va scemando, che il piatto di pasta in molte famiglie impoverite dalla crisi è una soluzione a basso costo, si corre ai ripari e si comincia ad insinuare nella pubblicità che il glutine in sé sia poco sano e quindi è bene eliminarlo. Lasciando spazio calorico, per così dire, ad alimenti più costosi e redditizi
E’ lo stesso destino delle uova che essendo la fonte più abbondante, digeribile e meno costosa di proteine animali, per almeno due decenni è diventato un veleno per il fegato (al massimo un uovo alla settimana ho sentito dire a suo tempo da un paludato cretino) fonte di grassi e colesterolo, indigeste, facilmente contaminate da salmonelle e virus. Il fatto è che a parità di nutrienti l’uovo costa molto meno e uno ne basta a sostituire agevolmente un petto di pollo. Con anche qualche vantaggio perché il tuorlo contiene acidi grassi insaturi che contrastano il potere aterogeno del colesterolo. Ma questo ci mostra la potenza della mitopoietica di mercato la quale non rifugge da utilizzare diffusi pregiudizi per esaltare il proprio operato. Il fatto per esempio che un pollo ci metta solo 35 giorni dalla nascita alla tavola, che si tratti in pratica di pulcini orrendamente ingozzati con cibi per la resa metabolica e siano vaccinati 12 volte in quel mesetto di vita, tutto questo viene vantato perché dopotutto non si tratta di polli geneticamente modificati.
E’ la base su cui si sviluppano diete alimentari pazzesche come quella che vegana. al cui interno vi sono poi ulteriori restrizioni a piacere, che oltre a non tenere conto del fatto che i medesimi criteri del profitto sovrintendono alla produzione dei vegetali e che nessuno di quelli che mangiano esiste spontaneamente in natura, acquistano ben presto caratteri settari e religiosi che vanno molto oltre la dieta e spesso molto oltre la ragione. Sono tuttavia sociologicamente molto interessanti perché fanno riferimento a un’ipotetica e fantasiosa “sanità alimentare” la quale da una parte aderisce al culto della corporeità che nella cultura liberista dell’eterno presente sostituisce come un metadone il concetto di persona, dall’altro induce a pensarsi come critici e alternativi Naturalmente nessuno di questi adepti o semplici modaioli immagina di essere semplicemente un consumatore di nicchia e in quanto tale un babbeo a cui si può offrire a caro prezzo persino un cioccolato nero vegano ad onta del fatto che il fondente é interamente vegetale da sempre. Ma per suprema beffa questo cioccolato “può contenere tracce di latte” cosa che non accade con i normali fondenti.
Il fatto è che più l’alimentazione viene organizzata su base industriale e proprietaria dal seme, al latifondo e il rapporto con il contadino tradizionale in molte aree del mondo, ai brevetti occhiuti per finire al surgelato, tanto più si enfatizza e si instilla un assurdo e insensato concetto di “naturale” tutto giocato sull’equivoco al fine di aumentare i profitti su determinate filiere. Sembra la famosa provocazione sulla pericolosità del monossido diidrogeno, presente purtroppo in tutti gli alimenti: peccato che il monossido diidrogeno non sia altro che la denominazione chimica dell’acqua. Ma si sa essendo chimica sarà pericolosa. Tutto questo non è solo frutto delle dinamiche di mercato ha un significato ulteriore grazie al quale il sistema mediatico ormai in pochissime mani alimenta tesi, pregiudizi, tendenze dentro un eccesso di sincronicità: si tratta di depistare anche verso lo stomaco disorientamenti, angosce, inquietudini dell’impoverimento generale e fondare nuovi valori a la carte. Distrazioni alimentari.
Quello che dovrebbe interessare chiunque, a prescindere dal suo attuale modo di alimentarsi, è l’elemento etico del potersi nutrire senza che delle creature vengano uccise e del male venga fatto proprio contro chi, per la propria debolezza, dovrebbe essere caso mai tutelato e non ucciso e cannibalizzato. Questo solo dovrebbe bastare e avanzare. L’elemento utilitaristico, invece, secondo me non è altrettanto valido per due motivi. Il primo è che sono in corso progetti di sviluppo di carne artificiale (si veda una conferenza di TED in merito http://www.ted.com/talks/andras_forgacs_leather_and_meat_without_killing_animals, visibile anche con i sottotitoli in italiano) che, una volta messi a punto, potrebbero dar luogo a un’inversione totale di rotta dovuta non certo a generosità o a un ritrovato senso di giustizia nei confronti del mondo animale ma alla necessità che la carne finta tolga di mezzo un pericoloso concorrente, la carne vera. Se quel momento dovesse arrivare, i consumatori di carne verrebbero probabilmente additati alla pubblica opinione come dei mostri così da creare mediaticamente una corrente di pensiero favorevole al graduale abbandono della carne da animale. Si noti che questo processo è forse già in moto anche grazie a “spintarelle” come quella data l’anno scorso dalla WHO (World Health Organization) che ha decretato la possibile cancerogenicità della carne rossa e della carne in scatola, cosa che non ha cambiato le abitudini alimentari della gente ma ha sicuramente messo una pulce nell’orecchio di molti.
L’altro motivo per cui l’aspetto etico è l’unico su cui vale la pena di soffermarsi è dato dal fatto che le considerazioni scientifiche apportate dai vegani e vegetariani, anche se vere, possono essere contestate con dati scientifici altrettanto veri o magari falsi, il che finisce per generare quella ben nota nebulosa di asserzioni contraddittorie proveniente da esperti in conflitto di interesse che impedisce alla persona non esperta di formarsi un’opinione precisa. L’aspetto etico, invece, consente una decisione immediata e risulterà caso mai difficile solo la pratica implementazione in un contesto familiare e sociale dove abitudini inveterate, sia pure acquisite tramite l’influenzamento dell’industria alimentare e dei media che la sostengono, tendono ad associare al cibo valori che sembra difficile scorporare dalla materialità del cibo stesso: la gioia data dal cibo, l’essere assieme in famiglia o con gli amici, il festeggiare un evento particolare, l’amore dimostrato da chi prepara il cibo per i propri cari eccetera.
Concordo pienamente con il Sig. Giulio Palenzona – grazie per il commento!
Visto l’orientamento culturale e intelligente di questo blog, varrebbe la pena se chi scrive si documentasse. Almeno prima di esprimere opinioni dogmatiche, che puzzano di sentito dire o di cocciuta assuefazione alle brame (carnivore) del proprio palato.
Chi scrive e’ vegan da decenni. Purtroppo il vegetarianismo e’ ancora associato col non essere abbastanza “macho” – quando non alla mancanza di nutrimento adeguato. Per quel che vale, tutti i vegetariani che conosco sono in genere sportivi (compreso il sottoscritto), e – diis volentibus – sembrano in buone, quando non ottime condizioni fisiche, coeteris paribus. Sanissimi anche i bambini cresciuti vegan.
Il vegetarianismo non ha niente, ma niente a che fare con i trends salottieri, da gente-bene, radical-chic, o sono-differente-quindi-meglio.
Il vegetarianismo è di origini antichissime, Pitagora per primo – quello del teorema. Chi fosse interessato potrebbe leggersi la storia del vegetarianismo (“The Heretic’s Feast”, non so il titolo tradotto), che è anche divertente come specchio della società, dei soliti pregiudizi, partiti-presi e superstizioni.
Purtroppo la religione cattolica, di derivazione ebraica, non rispetta gli animali, perchè “Dio” ha creato l’uomo imperialista, creatura eccezionale, etc.
E’ vero che ha mangiato la mela, ma e’ sempre meglio di tutte le altre creature nell’universo.
Forse senza che se ne rendano conto, è il credere a palle di questo genere che impedisce a molti cosiddetti umani di gettare uno sguardo umano (appunto), alle altre creature.
Spesso al mattino, prima di mettermi a lavorare, mi guardo il seguente video di un minuto. Mi permetto di consigliarlo anche all’articolista, e di chiedergli se si sentirebbe di applicare la sua filosofia alla creatura del video. https://www.youtube.com/watch?v=HatrRYOK_vU
Mi dispiace di essere critico, perchè l’articolo era cominciato bene.
La celiaca, quella si che e’ una sindrome “chic” e trendy. Credo sia cominciata proprio da queste parti, dove se non si trova almeno una nuova malattia all’anno, il profittevolissimo sistema sanitario va in crisi.
A proposito di acqua con le bollicine, sono cresciuto dall’infanzia con l’Idrolitina, peraltro introvabile nel paese eccezionale. Caricare le scatolette in valigia ad ogni ritorno dalla terra natia non era pratico.
Dopo estenuante ricerca chimica (si fa per dire), ho trovato la formula, efficiente ed economica. Mezzo cucchiaino di acido malico, mezzo di acido citrico, e ¾ di bicarbonato di sodio. E, naturalmente, bottiglia con tappo sigillante.
Chi vuole sperimentare, sia agilmente pronto a chiudere la bottiglia dopo l’aggiunta dell’ultimo ingrediente. Sorrido nostalgicamente, ricordando l’infanzia e il panico in famiglia, durante i pochi secondi a disposizione prima che l’acqua (idrolitinizzata), esondasse dal collo della bottiglia.
la dieta vegana non ha nulla di “pazzesco” sotto nessun punto di vista. Sorvolando sulla base scientifico teorica (su cui un buon giornalista intellettualmente onesto può documentarsi da sé dalla sovrabbondanza di fonti presenti), ha enormi pregi etici, essendo la più GIUSTA in senso morale, sia per il fatto che non grava sui 40 miliardi di uccisioni all’anno (di cui 17 miliardi di soli bovini, suini, ovini e mammiferi vari), ma è anche etica nei riguardi dei popoli poveri.
Il pianeta non è in grado di sopportare l’impronta ecologica di un’alimentazione onnivora per 8->10->etc miliardi di esseri umani, sicché gli sfizi e i lussi di alcuni si traducono in un ammanco di nutrienti base per molti altri, che vedono il prototto (proteico : soia, cereali) della loro terra involarsi, venduto come foraggio alla mucca del texano e del tedesco (es.).
Le logiche del profitto di cui parla l’articolo, valgono si, ma bisogna conoscerle QUANTITATIVAMENTE, non solo tramite aggettivi.
Bisogna sapere che per costruire un kg di proteine di bovino ne servono almeno dieci volte tanto di quelle vegetali, sorvolando sul fabbisogno idrico accresciuto, creando una pressione enorme sull’agricoltura a scala planetaria, e un deficit di nutrienti base proprio per coloro che non possono permettersi quelli de luxe.
Di recente la cosa si aggrava anche per gli amidi e certi grassi (precursori di biodiesel), che vengono anche “valorizzati” in occidente come biofuels. Ovviamente “rende” di più alimentare il biocamino a bioetanolo del ricco svizzero a 8000 miglia che soddisfare a km zero il bisogno calorico di un cingalese o un cambogiano.
Cmq, dire che la dieta vegana sia “pazzesca” è in spregio alla logica delle piramidi alimentari che valgono ovunque, uomo incluso : più pretendi di salire di livello, più si deve restringere il numero di “utenti”. Ad ogni stadio il restringimento è di ALMENO un ordine di grandezza (10 volte). Noi siamo collettivamente in esubero su quanto ammissibile : siamo quindi diventati l’unica specie che ha imparato a predare (depredare) a distanza le risorse agricole “primarie” altrui per trasformarle in più nobili risorse “secondarie” nel piatto di pochi eletti.
Non è un caso che la FAO stia facendo pressioni per passare agli insetti e alle larve. Il problema della mostruosa inefficienza energetica e proteica del passaggio da FORAGGIO a BESTIAME è un’emergenza sotto ogni punto di vista, persino se non fosse aggravato dalla crescita demografica, pure presente. La FAO sta prendendo atto che gli ultimi arrivati iniziano a pretendere anch’essi la dieta “de luxe”, e che l’agricoltura non potrà compiere un altro passo nell’aumento di efficienza come accadde negli anni 40-60 grazie ai fertilizzanti chimici e ai pesticidi. Bisognerebbe colonizzare i deserti per avere così tanto foraggio, ed è un obiettivo non proprio dietro l’angolo, anzi, a furia di spremere, varie terre fertili si sono ridotte in “sandbowls” (v.)
Direi quindi che l’affermazione sulla presunta irrazionalità della scelta vegana non è un dato oggettivo, ma espressione soggettiva, una preferenza personale dell’autore.
Vero: impoverimento! Grazie,65Luna