cervello-fritto-2Quando ho visto lo schermo della televisione riempirsi di cervella fritte mi è tornata in mente la settimana a Parigi trascorsa nel 1973 assieme ad un amic0 per vivere i luoghi topici di tanta letteratura talvolta mitica, troppo spesso semplicemente mitizzata. Fu allora che le cervella fritte ci ingolosirono e ci spinsero ogni sera per bistrot alla ricerca di questo assenzio da poveri golosi. Buone certo, ma abbastanza costose per due studenti. Oddio la residenza costava pochissimo visto che si trattava dei collegi universitari, degli stessi edifici in boulevard Jourdan che oggi  formano il campus dell’Ecole superieure di studi sociali, antrolpologici e politici, ma la sera, dopo defatiganti passeggiate compresa quella al pont Mirabeau, quello sotto cui coule la Seine et nos amours faut-il qu’il m’en souvienne, non badavamo a spese, non cercavamo il locale a buon mercato.

Ma il ricordo non si ferma ai brandelli letterari, si fa rabbia per il presente perché vedete quella settimana, viaggio in treno compreso, ci costò qualche cosa come 50 mila lire scarse a testa che era moltissimo, un terzo abbondante del salario di un metalmeccanico ancorché oggi con 25 euro oggi si  mangi a mala pena una pizza con la birra.  Se si pensa che due anni dopo sul mio primo stipendio i contributi pensionistici  furono di oltre 90 mila lire, pari dunque a una settimana a Parigi e che dopo sono cresciuti rapidamente man mano che cresceva la busta paga, non vedo come un qualche istituto pensionistico che non abbia dilapidato in cervella fritte i contributi possa essere in perdita: facendo il calcolo degli interessi composti e interpolando il potere di acquisto alla fine, dopo 30 0 40 anni, si arriva generalmente a pagare più della pensione che si riceverà. Del resto mica sono fessi gli squali  privati che si arricchiscono con i fondi pensione, sanno bene come vanno le cose: prendono per decenni denaro buono e ne restituiscono di deprezzato per un tempo molto più breve. Non è certo strano che il milieu finanziario ed economico sia terrorizzato dalla deflazione che appunto interrompe questo meccanismo.

Dico tutto questo perché dalla sordida piagnona incompetente Fornero in poi si parla generalmente delle pensioni come se si trattasse di una regalia, di soldi gentilmente concessi magari a detrimento dei giovani e dunque anche di cifre che possono subire qualunque taglio senza che i soggetti interessati se ne possano lamentare troppo. Il tono di fondo è talmente ossessivo e moralmente ricattatorio – dunque immorale e intollerabile –  che gli stessi soggetti interessati finiscono per credere in queste tesi stravaganti invece di prendere atto che la pensione non è altro che salario differito. Le quali tesi peraltro vengono inconfutabilmente smentite dai conti stessi: se si toglie dall’Inps il peso delle pensioni sociali, alle quali corrispondono solo pochi o nessun contributo e che ovunque, tranne che in Italia, vengono prese in carico dalla fiscalità generale e dai meccanismi di assistenza, l’Istituto sarebbe in forte attivo. Ciò nonostante la massiccia propaganda per considerare le pensioni come un peso insopportabile e un “regalo” procede imperterrita e si ammanta di ragionevolezza pur essendo del tutto irragionevole e fasulla. Ma certo gradita a Confindustria il cui obiettivo è quello di ridurre sempre di più, fino all’azzeramento, i contributi affinché i padroncini affiliati posano accrescere i loro profitti sulla pelle dei lavoratori e i loro dominatori ossia banche e assicurazioni fare lauti affari con le pensioni integrative.