In Italia la libertà di stampa sta piuttosto male, tanto male che nelle classifiche internazionali è del tutto fuori dal novero dei Paesi sviluppati e se la batte con quelli centro africani o caraibici. Tuttavia non sempre i parametri presi come criterio di giudizio globale, in qualche modo avulsi dalle mentalità e dalle culture locali, restituiscono la realtà nella sua miseria: per esempio la corruzione diffusa, il corto circuito politica affari che ha avuto il suo emblema nel conflitto di interessi di Berlusconi, coinvolgono pienamente anche le aziende che producono informazione anche quando il rapporto non è diretto ed eclatante.
Esiste una cultura che crea una permeabilità tra giornalismo e politica o con il potere in generale che altrove sarebbe scandalosa, ma che viene ritenuta normale da noi. Tanto normale che Monica Maggioni la direttrice di Rainews 24 oltreché di televideo, vale a dire di un servizio pubblico, può partecipare tranquillamente alle riunioni del Bilderberg senza che nessuno sembri aver nulla da dire, tanto che blande polemiche si sono ben presto estinte nel nulla . E poi si pretende pure che venga pagato un canone per essere informati da questi signori.
Lo so che il demone piddino nascosto in voi è pronto a rivoltarsi contro il maledetto complottismo che vede nel Bilderberg la fonte di ogni male, ma non c’è alcun bisogno di ricorrere a tutto questo apparato cognitivo e immaginativo che anzi distrae dalla questione principale, per rendersi conto di ciò che implica per un giornalista partecipare a un convivio di potenti che ha comunque grande influenza sulle politiche subalterne degli stati europei: innanzitutto perché le discussioni sono secretate, c’è l’obbligo del silenzio su quanto viene detto e da chi viene detto, dunque gli inviti extra governativi e/o politici non sono rivolti a osservatori neutrali o addirittura – dio non voglia – critici, ma a persone sulla cui adesione ai principi fondamentali del gruppo non ci sono dubbi. Quali poi possano essere i principi fondamentali di un circolo nato con l’apporto di principi ereditari, magnati e Cia non c’è nemmeno bisogno di dirlo esplicitamente, ma al di là di questo, l’idea stessa di mettere a confronto uomini di governo, banchieri e multinazionali alla luce della segretezza è già sufficiente a qualificare questo gaudioso circolo.
Non sono mancati negli anni alle riunioni, anche giornalisti che naturalmente non hanno mai scritto un rigo o detto una parola, cosa che invece dovrebbe essere quasi un loro dovere morale e costituisce comunque il senso del loro mestiere. L’ufficio stampa del Bilderberg, creato un anno fa, dice che il club “mette attorno a un tavolo gli uomini più potenti della Terra per discutere off the records dello stato del mondo e per promuovere il dialogo tra Europa e Stati Uniti”, dunque non si capisce bene a che titolo siano chiamati questi informatori che di certo non sono tra gli uomini più potenti del mondo e che per giunta non possono scrivere nulla in merito. Passi che con la loro presenza nell’olimpo abbiano avuto un “riconoscimento”, un premio o un’apertura di carriera giornalisti dell’editoria privata come Ferruccio De Bortoli, Lucio Caracciolo, Lilli Gruber, Barbara Spinelli, Ugo Stille, Gianni Riotta o Carlo Rossella: ci può stare dentro un sistema di consenso che ha per snodo fondamentale i media e il loro controllo, passi che si prestino a fare da alibi a una presunta apertura alla plebe dei non eletti ma che ci vada il direttore di un servizio pubblico è davvero troppo. Sfido che poi la Nigeria ci è davanti come libertà di stampa.
Grazie a Marzia per la dritta. Peccato per la difficoltà di trovare le quattro opere. Ho potuto rintracciare solo un articolo di Wikipedia italiana e un PDF sul sito scribd.com che è effettivamente “da alkaseltzer” come scrive Marzia. La cosa importante però è capire che quella che io chiamo “teatralizzazione”, ossia la continua messa in scena di un mondo fasullo con informazioni fasulle, con protagonisti che recitano impersonando ora il regime, ora l’opposizione, è una cosa che esiste davvero.
Secondo me, l’aspetto cruciale della questione è capire da dove nasce, storicamente, questa tradizione di inganno continuo e di interventismo nascosto per cui la storia, anziché avvenire, viene praticamente scritta come se fosse un copione. Siamo infatti abituati a pensare che quella che chiamiamo storia sia uno sviluppo di eventi che cambiano la vita degli esseri umani in forme spesso violentissime ma senza che gli eventi stessi siano stati predeterminati e invece scopriamo che questo non è vero: che la storia è davvero sviluppata come un progetto implementato passo passo e senza fretta dai superpoteri del momento.
Patrick Buchanan scrive un libro per dimostrare che le due guerre mondiali non erano inevitabili. Passa però sotto silenzio il ruolo degli Stati Uniti che è probabilmente decisivo in quanto, seguendo la banalissima logica del cui prodest, alla fine del doppio macello mondiale rimane in campo un’unica superpotenza, gli Stati Uniti. E non può essere un caso.
Un’altra cosa importante che deriva dall’aver acquisito il concetto di teatralizzazione è un senso di imbarazzo nel notare che quasi tutto quello che leggiamo sui giornali e di cui parlano gli opinionisti e gli accademici è sospettabile di essere un falso o una distrazione. Questo comporta una caduta di stima e di credibilità verticale verso tutte le categorie professionali che hanno a che fare con la gestione dell’informazione.
In retrospettiva, ossia ipotizzando che quello che sta succedendo oggi sia successo più o meno da sempre, non c’è più nulla che stia in piedi, ogni mito, ogni idea ricevuta, ogni cosa che ci è stata raccontata come una verità indubitabile tracolla. In un certo senso si ritorna indietro a quando si era adolescenti senza certezze e in cerca di una definizione di sé e della propria identità culturale. Anche se la verità, o, per meglio dire, la “non-menzogna” costituisce già di per sé un ancoraggio sufficiente, almeno per persone come me.
Finisco con un esempio di teatralizzazione recente: Cameron contrario a Juncker. I giornali inglesi e mondiali hanno scritto: Cameron umiliato, l’Inghilterra è a un passo dall’uscita dall’UE. Mie osservazioni:
– Cameron ha solo promesso di tenere un referendum sull’uscita dall’UE nel 2017 (ossia mancano ancora 3 anni!) e SOLO se i conservatori vinceranno le elezioni mentre, attualmente, i sondaggi lo danno ampiamente perdente. Inoltre se Cameron volesse, non avrebbe bisogno di aspettare il 2017 ma farebbe fare il referendum subito o, addirittura, uscirebbe dall’UE senza neanche bisogno di un referendum. Quindi non è vero che l’Inghilterra è a un passo dall’uscita dall’UE, ma andatelo a spiegare ai giornali britannici che su questa faccenda titolano tutti in modo unitario, anzi, “velinario”.
– Il ruolo dell’Inghilterra nell’UE è di essere con un piede dentro e uno fuori per ragioni geopolitiche. Il Regno Unito è infatti la longa manus degli Stati Uniti all’interno dell’Unione Europea, una delle molte “mani lunghe” di cui possono disporre i nostri tutori. In questo senso l’Inghilterra uscirà dall’UE solo quando lo vorranno gli USA, non un attimo prima. E questo probabilmente non lo sa nessuno, neppure Cameron.
– Anche a prescindere da quanto detto sopra, Cameron non aveva alcun motivo per opporsi a Juncker in quanto sono ideologicamente fratelli di latte, entrambi neoliberisti al 100%. Inoltre, visto che la candidatura di Juncker risale a ben prima delle elezioni, per quale motivo Cameron non fece la sua pretesa battaglia anti-Juncker PRIMA delle elezioni, quando avrebbe avuto almeno qualche carta in più da giocare, anziché DOPO le elezioni, quando ormai non ha più alcuna speranza di essere preso in considerazione e anzi fa la figura del bambino imbronciato che fa le bizze?
La risposta che la maggior parte degli organi di stampa inglesi e mondiali non danno è che Cameron sta solo cercando con questa manfrina di recuperare il voto conservatore in diaspora che è andato a beneficio di UKIP. E che UKIP fosse così forte lo si è visto solo DOPO le elezioni europee, non prima. Però, intanto, il risultato della teatralizzazione è che tutti, dentro e fuori l’Inghilterra, sono ora convinti che l’Inghilterra sia a un passo dall’uscita dell’UE! La “recita” ha funzionato al pari di infinite altre recite prima di questa. Che poi si obblighino i media e l’opinione pubblica ad occuparsi per giorni, settimane o mesi di un falso problema, che si generino emozioni e aspettative che sono del tutto irreali (Cameron non farà mai uscire l’Inghilterra dall’UE, almeno fino a che non glielo ordineranno gli americani) questo non conta, anzi è uno degli scopi dell’intera operazione mediatica perché la teatralizzazione ha, tra i suoi compiti, anche quello di popolare la mente della gente con idee sbagliate, idee superficiali, facilmente smentibili in modo che, al momento opportuno, ognuno di noi diventi una sorta di banderuola orientabile a piacere.
Condivido quanto esposto da Roberto Casiraghi. Nel 1945 l’Europa ha perso la guerra.In Italia questo fatto è stato rimosso.Pertanto le generazioni successive al 1945 non sono o non vogliono essere consapevoli della situazione e delle sue conseguenze. Siamo stati colonizzati e se vogliamo avere un futuro dobbiamo prendere coscienza di questa verità. Nel contesto attuale parlare di stampa libera è una palese finzione.
Quindi anche in Deutschland esiste una fabbrica di citrulli da paracadutare al governo, molto interessante. Mal comune non è mezzo gaudio, anche perchè noi i fessacchioni li incubiamo già a partire dall’età da Boy Scout.
L’analisi è impietosa, ma esatta. Non si può tentare di capire alcunché, senza svelare il contesto in cui tutto si manifesta, e quella della colonia USA è una condizione che attanaglia tutto il vecchio in-continente, come correttamente scrive il lettore Casiraghi, dalla fine della seconda parte della Grande Guerra USA in Europa, dal 1945 appunto.
Ho recentemente e fortunosamente recuperato i quattro libri scritti da John Kleeves, ne consiglio la ricerca e la lettura a tutti coloro che sono convinti di saperne abbastanza su cosa cresce oltreoceano.
Ne consiglio la lettura con un alka-seltzer a portata di mano.
L’infiltrazione sta andando avanti da 69 anni, in effetti occorrerebbe finalmente riconoscere che il 1945 è l’anno zero dell’era colonizzata italiana, la data fatidica in cui siamo passati dallo stato di italiani oggetto di una dittatura a quello di italiani oggetto di una colonizzazione “discreta”, un passaggio che è pur sempre da Scilla a Cariddi, per di più con un Cariddi gestito più o meno dalle stesse persone che avevano gestito anche Scilla previa dismissione della precedente casacca e sotterranea adesione alle regole fissate dai nuovi conquistatori. Dunque oggi, ad essere onesti, non è il 26 giugno 2014 ma il 26 giugno dell’anno 69 dell’Era Colonizzata. Certo che ce ne stiamo mettendo del tempo per accorgercene!
Non siamo peraltro i soli, gli altri stati europei ci fanno buona compagnia. Né Bilderberg è l’unica organizzazione basata su cooptazione degli iscritti, commistione fra interessi politici ed economici e totale segretezza, visto che esiste al mondo un numero imprecisato, ma comunque altissimo, di associazioni del genere il cui scopo è sempre lo stesso, ossia quello di creare dei servitori fedeli dell’impero, gente su cui contare e su cui costruire le presenti e future leadership nei paesi colonizzati.
Nel nostro paese, per esempio, abbiamo Aspen Institute Italia che è una collezione dei più VIP tra i politici, economisti e uomini di cultura nostrani (con dentro perfino Umberto Eco, forse per garantire al gruppo un’immagine acculturata) tutta gente che sul palcoscenico del mondo finge di rappresentare posizioni irriducibilmente contrapposte mentre la sera, magari, si incontra in questi confabulatoi riservati per mettere a punto il copione politico del prossimo semestre. Si veda questo articolo di Wikipedia italiana se si vuole provare per una volta il frisson dello shock da stupore: http://it.wikipedia.org/wiki/Aspen_Institute
Ma lasciamo il nostro sfortunato paese e passiamo alla “possente” Germania per capire quanto non stia, in realtà, molto meglio di noi. Nel 1952 venne fondato l’Atlantik-Bruecke (ponte atlantico) un’associazione non a scopo di lucro che ha lo scopo di gettare un ponte fra le élites politiche tedesche e americane (“ponte” è ovviamente il nome che si dà al rapporto di sottomissione dei tedeschi agli americani ). Nel 2010, quasi sessant’anni più tardi, gli iscritti erano 493 di cui 252 provenienti dal mondo del business, 82 dalla politica, 40 dal mondo dei media, 27 da quello della scienza, 14 da associazioni di categoria e fondazioni, 78 da gruppi professionali vari. Potremmo quasi dire un parlamento alternativo! Tra i politici tedeschi più in vista che ne sono membri vi è Angela Merkel, Guido Westerwelle, Juergen Fitschen, presidente di Deutsche Bank, Alexander Dibelius, presidente di Goldman Sachs Deutschland e tanta altra bella gente. L’Atlantik-Bruecke ha anche varato da tempo un programma che si chiama Young Leaders e che si rivolge, dice Wikipedia tedesca, a leader giovani e ambiziosi. Già l’esistenza di un programma con questo nome significa che lo scopo di infiltrare dei propri uomini (e donne) all’interno del governo tedesco è chiaro e dichiarato, altro che nascosto o dissimulato! Di queste giovani promesse fece comunque parte anche l’ex presidente tedesco Christian Wulff, costretto alle dimissioni per una questione che noi italiani diremmo “da poco”. Tra gli altri membri dell’associazione citiamo Richard von Weizsaecker, ex-presidente tedesco, Helmut Schmidt, Joachim Gauck, attuale presidente tedesco e, tra i membri passati, Axel Springer e, sorprendentemente, Max Horkheimer.
Insomma nonostante si pensi generalmente che tutte queste cose avvengano nella segretezza più completa la realtà è che avvengono invece quasi sempre alla luce del sole e che basta studiarsi un po’ Wikipedia (ma non la versione italiana, bitte!) e salta fuori tutto. La stessa cosa vale per i “piani diabolici” di Goldman-Sachs e compagnia cantando che sono regolarmente distribuiti in file PDF accessibili da chiunque direttamente sui siti dell’azienda in questione.
La verità vera è dunque che il dominatore statunitense, proprio perché domina, se ne può infischiare di nascondere, anzi nascondere lancerebbe un messaggio di debolezza al mondo. Sono dunque i giornalisti, gli opinionisti, gli accademici, gli esperti dei vari paesi colonizzati a non volere raccogliere l’informazione riccamente distribuita per ricavarne la morale. In altre parole, è irrilevante che gli Stati Uniti nascondano i loro piani perché che siano nascosti o che siano palesi i media e il mondo degli studi si guarderanno bene dall’analizzarli. Lo lasciano fare a noi dilettanti e, tutto sommato, forse è meglio così perché da persone che non vogliono neppure vedere che c’è un elefante nella cristalleria non possiamo aspettarci grandi consigli sul come farlo sloggiare!