Anna Lombroso per il Simplicissimus
Lo hanno ripetuto fino alla stanchezza, fino al ridicolo: l’Expò è un intervento necessario, un’azione anti-crisi, un accorgimento indispensabile a restituire credibilità al Paese, alla sua inventiva, al suo ingegno, a confermare gli stereotipi che accompagnano la sua fama. E infatti, navigatori, poeti, furbastri, mafiosi, guappi, intriganti, superficiali, nella grande vetrina italiana sono esposti tutti, con una preferenza per i manichini e le maschere negative, ubbidienti in proprio o per conto d’altri ai comandi della grana facile, dei passaggi opachi di soldi che fanno guadagnare di più con il non fare che con il fare, con le profittevoli fasi progettuali, possibilmente senza preventivi, senza previsioni finanziarie, con i risarcimenti per mancati adempimenti di quello Stato che serve per essere munto, messo in mora, sfruttato e infine smantellato definitivamente, per colpire con esso le perverse e aberranti burocrazie, per dare vita a regimi speciali, commissariamenti, autorità e leggi straordinarie.
E infatti a molti è sfuggito che la materia Expò è stata fatta rientrare nel contesto delle emergenze – combinate come è opportuno – con il mercato, nel Decreto Legge n.47 del 28 marzo il cui titolo recita appunto “Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l’Expo 2015”. Il proposito è chiaro: introdurre un ordinamento che faccia dell’anomalia e della straordinarietà dettate dall’urgenza, la normalità, che renda tassativa la “licenza” per motivi inderogabili, quelli, è ovvio, del profitto, dell’interesse privato, che appaghi dietro la crisi abitativa, i soliti appetititi di costruttori e immobiliaristi. E che – obiettivo non secondario – aiuti a assorbire senza regole e in regime di ineludibile deroga l’accumulo tossico di edilizia privata gonfiata a dismisura nella fase della bolla immobiliare e a smaltire a poco prezzo quel poco di patrimonio pubblico ancora risparmiato da svendite e cartolarizzazioni.
E se tutto questo per quanto riguarda la volonterosa risposta alla domanda insoddisfatta di abitazioni deve avvenire tramite non meglio identificate misure “di rigenerazione delle aree e dei tessuti attraverso lo sviluppo dell’edilizia sociale” dalla “ristrutturazione edilizia, restauro o risanamento conservativo” alla “ sostituzione edilizia mediante anche la totale demolizione dell’edificio e la sua ricostruzione con modifica di sagoma o diversa localizzazione nel lotto di riferimento” alla “variazione di destinazione d’uso anche senza opere” (e quindi, eventualmente, anche con opere di trasformazione), alla “creazione di servizi e funzioni connesse e complementari alla residenza, al commercio (…) necessarie a garantire l’integrazione sociale degli inquilini degli alloggi sociali” come in una spericolata ipotesi di città dove spetta ai privati organizzare spazi e modi della vita e dell’abitare, “in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, e ai regolamenti edilizi ed alle destinazioni d’uso” non è malizioso sospettare che si tratti della creazione di un contesto favorevole alla totale deregulation, alla sottrazione legittimata a controlli e sorveglianza, alla consegna del territorio alla speculazione e del bene comune alla corruzione. Ha ragione il Simplicissimus, il richiamo alla prevenzione quando i buoi sono scappati suona ingiurioso e quando l’unico provvedimento di salvaguardia della legalità sarebbe riconoscere al sogno megalomane dell’Expò la sua natura di incubo.
Non c’era bisogno di essere l’indovino Tiresia per prevedere (il Simplicissimus lo fa da anni, ‘chapeau’) che questo obbrobrio chiamato Expò avrebbe portato con sé le più nefande turpitudini, dal punto di vista dell’illegalità economica, visto il Paese in cui viviamo. Possiamo ben dire già da ora che il progetto megalomane fallirà. Quest’edizione passerà nel dimenticatoio delle imprese riuscite neanche per metà, meno del 50% delle opere in programma sono state realizzate (male), il restante vedrà la luce a festa conclusa (quando saranno finiti i fondi), molti padiglioni rimarranno linee confuse sulle scartoffie degli ingegneri. Le ditte appaltatrici, in odor di tangenti, aumenteranno a dismisura i costi per accelerare i lavori, tutto a carico del contribuente italiano, che non ci guadagnerà neanche un tarì. Sarà una passerella per gli oscarfarinetti, per i carlopetrini, qualche gracco e vissani, più gli arcinoti big dell’industria alimentare del cosiddetto “Made in Eataly”, nonché i sedicenti produttori di agricoltura/allevamento bio che in realtà più sofisticato ‘no se puede’. Il ritorno economico effettivo sarà quasi impercettibile, quello d’immagine sarà negativo, ma in compenso intascheranno le solite tasche, e, per tutti gli altri, come sempre, le briciole, e manco quelle.
La magistratura ha alzato solo il coperchio del mefitico calderone Expò, basta rimestare un po’ più giù e verrà fuori il lerciume dei partiti largo-inciucisti (i Greganti e i Frigerio sono retroguardie vetero-romantiche della mazzetta classica, la più olezzante per i cani da tartufo delle Procure, quelle più pesanti sono inodori), ancora più sotto, al fondo della caldera, ci sono, ben celati, gli interessi della ‘Ndragheta-Camorra-Mafia (in ordine d’influenza) che si spartiscono i proventi di questo zozzamaio inverecondo.
Se questa è la Modernità del Bugs Bunny illegittimamente assiso sulla scranna di Palazzo Chigi, fiero di essere antiquato, e, ‘not in my name, please’!
Elenco incompleto: mancano i “rivoluzionari”.