disegno7Anna Lombroso per il Simplicissimus

Se la più impressionante operazione politica mai fatta a sinistra è in realtà un compitino approvato dagli altri amichetti del governo, figuriamoci se il cosiddetto piano casa può essere qualcosa di più di uno di quei disegni con la casina col comignolo che fuma e le finestre verdi, tracciato sul foglio a quadretti.

E infatti, sulla carta, si tratta di misure che vanno dal Fondo affitti e morosità incolpevole  destinato agli inquilini morosi   che a causa di difficoltà economiche, come una malattia o la perdita del posto di lavoro, non riescono più a far fronte al pagamento dell’affitto, alla riduzione sulla cedolare secca  dal 15% al 10%  per chi affitta a canone concordato, dal recupero immobili e alloggi  di Edilizia residenziale pubblica (ex Iacp) che beneficerà dello stanziamento di 400 milioni di euro con il quale finanziare la ristrutturazione con adeguamento energetico, impiantistico e antisismico di 12.000 alloggi, all’offerta di acquisto alloggi ex Iacp a inquilini, dall’istituzione di un Fondo di garanzia per l’affitto  destinato anche alla creazione di agenzie locali che dovranno favorire il reperimento di alloggi da offrire a canone concordato e far incontrare la domanda e l’offerta anche fornendo garanzie ai proprietari che affitteranno, a  bonus fiscali per gli inquilini degli alloggi sociali e sgravi per chi dà in locazione.

Premesso che si tratta del Piano casa e non del Piano Città, che c’è da temere come un cataclisma di proporzioni catastrofiche, il disegno dello scolaretto Lupi che ci lavora da anni, fin da quando era un fedelissimo dei governi Berlusconi, altro non è che un collage di interventi che – non c’è da stupirsi – dovrebbe fronteggiare l’emergenza abitativa, che non c’è settore in Italia che non sia in stato di crisi per non dire di collasso.  Nei primi sei mesi del 2013 – ha reso noto il sindacato degli inquilini Sunia – sono arrivate già oltre 2.000 richieste di sfratto e quasi tutte per morosità, generalmente in-colpevole perché legata alla perdita di un reddito da lavoro. Mentre sono oltre 8.000 le famiglie in lista di attesa per una casa popolare, a fronte delle 400 che hanno visto soddisfatta la loro richiesta nelle graduatorie”.

C’è poco da chiedersi anche in questo caso perché un diritto fondamentale, quello a una casa dignitosa e a una decente qualità abitativa, sia diventato una molesta emergenza, una mina pronta a scoppiare anche se cautamente e pudicamente stampa nazionale e locale la rimuovono dai titoli di testa. C’è poco da chiedersi chi negli anni l’abbia alimentata per nutrire il mercato del cemento e dell’abusivismo da liberare per cause di forza maggiore. C’è poco da chiedersi chi tra bolle immobiliari che si gonfiano e sgonfiano a comando e dissesto del territorio, rida dei terremoti pensando alla radiosa visione di una proliferazione aberrante di new tonws, di villette a schiera sotto gli occhi di Guidoriccio o intorno all’Aquila,  nell’agro romano o alle pendici dell’Etna. C’è poco da chiedersi chi abbia sempre coperto grandi e piccoli proprietari, siano della dinastia Armellini o anonime società domiciliate alle Cayman, cui conviene non affittare per sfuggire  alle maglie del fisco, peraltro poco incline a identificarli. C’è poco da chiedersi chi si nasconda dietro quei palazzoni non finiti, quelle orbite vuote di immensi falansteri abitati da ratti e scarafaggi, e che sono gli stessi che promuovono piani edilizi faraonici, sindaci costruttivisti finanziati dai signori del cemento, immobiliaristi vittime della dipendenza dai giochi d’azzardo finanziari, ma anche imprenditori che vogliono lucrare sui sogni dei loro dipendenti, grazie alla promozione di fondi pensionistici e mutui, in modo da sfruttarli due o tre volte.

Ancora una volta come c’era da aspettarsi si sbaglia la collocazione del cerotto. Come se non fossero note le cifre, talmente pubbliche che qualche giorno fa il Guardian ha informato che in Europa ci sono 11 milioni di case vuote, e di queste almeno 2 milioni in Italia. Il numero di residenze vuote e abitabili sarebbero tre volte   quelle che servirebbero a soddisfare il bisogno di casa.

Ma lo slogan sotto il disegno non è casa mia casa mia per piccina che tu sia, no lo slogan è: la proprietà non si tocca, così si ricorre alle solite pietose menzogne, cedolari secche, riscatti facilitati, recupero immobili, Fondi speciali da nutrire con chissà quali risorse, perché quelle che invece esistono sono al sicuro sotto forma di augusti pezzi di carta più sicuri del mattone e custoditi ben lontano da qui.

 E non gli basta mai. Non solo i signori del mattone e del cemento non vengono toccati, ma addirittura gli si fanno altri regali grazie alla magnanima solidarietà del governo, che prosegue sulla strada già tracciata tanto da far rimpiangere Sullo. Grazie al famigerato decreto del Fare – frutto tossico del velenoso albero delle Grandi intese – numerose regioni si stanno muovendo per trasformare le possibilità di deroga consentite dal governo Letta-Alfano, anche al di là delle plateali forzature operate con la legge Polverini nel Lazio, Cappellacci in Sardegna e Zaja in Veneto. L’art. 30 della legge 98/2013, “norme sulle semplificazioni in materia edilizia” stabilisce che : «le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».

Autorizzando   insomma le regioni a cancellare gli standard urbanistici ed edilizi, cioè tutte le prescrizioni riguardanti i rapporti tra spazi pubblici e spazi privati, tra volumi edilizi e spazi aperti, contrastando il principio primario  dell’urbanistica secondo il quale ogni metro cubo destinato ad alloggi o a uffici, a fabbriche o a commercio, deve essere accompagnato da un determinato numero di metri quadrati di terreno aperto e destinato all’uso pubblico, e collocato dentro la città, immediatamente e agevolmente accessibile da chi in quella parte di città abita o lavora. E stabilendo la legittimità di venire meno a quelle moleste regole, quei fastidiosi lacci e laccioli che paralizzano la libera iniziativa e il dinamico costruttivismo.  Anche prendendoci per i fondelli due volte, perché ogni occasione è buona per aumentare la massa di volume edilizio commerciabile.

Così, col pretesto della riduzione del consumo di suolo si promuovono i grattacieli, con quello del risparmio energetico si favorisce la moltiplicazione dei volumi già costruiti. In tutti i casi in deroga  – è questo il vero caposaldo della moderna urbanistica – a qualsiasi interesse generale: da quello della tutela del paesaggio a quello della difesa della salute dei cittadini.

E dire che l’hanno chiamato «rigenerazione urbana», ma quello che è sicuro è che non ha niente a che fare con il “genere umano”, che è proprio vero che i ricchi sono diversi da noi.