Ammiro quelle persone che sanno sempre come collocarsi, la cui umanità è così distillata e così certa della propria direzione da parere quasi disumana. Le ammiro perché non hanno i miei dubbi, le mie indecisioni o quell’incertezza che deve appartenere alle raison du coeur non meno che all’intelletto cartesiano.
Così a me pare indecidibile la questione se sia peggio la guerra dei volonterosi in favore della rivolta o la guerra del tiranno alla rivolta, con relative minacce di sterminio. E francamente mi interessa poco chiamare guerra l’uso dell armi contro un Paese o l’uso delle armi contro la propria popolazione.
Ma appunto ammiro chi sa decidere in base a un principio così dirimente come il no alla guerra, benché da vent’anni esso sia stato costantemente violato dai vari governi che ci hanno attraversati in base a criteri formali che consistono nel chiamare diversamente la guerra. O nel chiamare terrorista tout court chi combatte senza una divisa d’ordinanza. E tuttavia intravvedo la stessa formalità nel considerare qualche altra cosa una guerra civile, qualcosa che può portare all’astensione.
Certo non sono un ingenuo che crede all’esportazione della democrazia o, dio ce ne scampi della civiltà, né uno che si è completamente arreso alla real politik dove i principi diventano un semplice pretesto. Ma detto questo trovo la questione libica indecidibile.
E sono perplesso perché non so se considerare certe posizioni come frutto di un imperativo categorico, quanto meno in germe o come l’espressione che assume l’indifferenza nel tempo dell’informazione e del liberismo selvaggio. Un’indifferenza di sistema, suggerita e persino esibita, fatta penetrare in esistenze che sono state distolte dal partecipare al proprio stesso futuro. Così la distanza incolmabile tra la propria vita e quella collettiva si traduce nella geografia più estesa del mondo, in una distanza che fa degli esseri umani un altrove esclusivo oggetto di convinzioni, teorie, umori o interessi. Così che essi finiscono per diventare merce per il sistema economico, ma anche oggetto di consumo del dibattito.
Non che ovviamente le convinzioni siano negative e nemmeno tutto il resto, solo che oggi queste sembrano non sembrano incidere nella realtà: sono come immagini che fanno riferimento a se stesse e che non toccano l’immobilità delle cose. Così accade che la maggioranza degli italiani è contraria alla guerra, ma abbiamo soldati sparsi in tutto il mondo nelle varie missioni che solo una ipocrisia senza fine può chiamare di pace.
E poco importa che questo accada nel centro dell’Asia o appena fuori di casa come è accaduto per la ex Jugoslavia e oggi per la Libia. Non è quello, è l’astrattezza con cui consideriamo gli esseri umani che porta a questa contraddizione e la ramifica in teoremi di ogni tipo oltre che in interessi reali dai quali tuttavia si è esclusi. Un’astrattezza voluta, codificata attraverso una solitudine sociale imposta: per combattere le battaglie occorre riconoscersi e non soltanto vedersi, tanto meno vedersi in televisione, occorre sentirsi parte di qualcosa e non solo spettatori per quanto interessati e trepidanti, occorre solidarietà, sentirsi coinvolti nel futuro. E questo di certo non lo vuole l’ideologia unica che si è imposta e che vede come fumo negli occhi ogni reale eguaglianza.
Occorre riconoscersi come esseri umani prima di tutto e non solo come individui. Forse si sarebbe più confusi, più incerti su tutto. Ma certamente più liberi.
@amico libico.
La questione è propprio questa. Brucia che interessi economici siano sovrani rispetto ai diritti fondamentali di un popolo che ha deciso di determinarsi e che avverte l’esigenza di voler scegliere di non essere governati da un uomo che strangola il diritto di esprimersi e scegliere. Brucia che in italia un uomo che parla il linguaggio degli affari fine solo a se stesso abbia appoggiato chi oggi non desiste di usare gli oppositori come scudi umani. In tutto questo tempo e davanti a quanto succede non mi sento diversa da voi libici che ricercate la libertà,come l’aria che si respira. Non è possibile che la dimensione umana di ciascun individuo sia subordinata a fattori di arricchimento personale e individuale. Questa è una lezione. La vostra ricerca di democrazia è la nostra, uguale maledettamente simile a quella di un occidente che rischia di strangolarci e negare la nostra dimensione di affermare diritti fondamentali e inequivocabili di ogni essere umano.. Io sono con con voi. Con le voci libere di ogni latitudine e longitudine della terra. La libertà non ha prezzo. E di ogni uomo la necessità di autodeterminarsi. Tutti dovrebbero essere con voi. E invece….
Non c’è nulla di umanitario. Non ci vuole molto per capirlo. Nel Darfur o in Yemen non intervengono. Ma questo esercizio dialettico non può essere l’ostacolo alla questione centrale: si deve salvare o no un popolo dalla vendetta di un dittatore sanguinario?
Si deve guardare al punto centrale della questione e non perdersi in discussioni su principi generali (sovranità nazionale…) o su distinguo tattici. Io dico che la popolazione libica va salvata. Anche al costo di chiedere l’intervento delle potenze occidentali e pagarne il prezzo. Tocca a noi libici decidere questo. Detto questo non tolgo agli italiani il diritto di decidere di essere contrari a questo intervento. Anch’io spero che l’Italia non partecipi direttamente nei bombardamenti, a causa del suo passato coloniale. Quello che mi dà fastidio è il pensare che si possa decidere da qui cosa sia meglio per noi. Quello lo decidiamo noi. Anzi, lo abbiamo deciso.
Cordialmente.
Segue firma -un amico libico
Non solo, ma alla fine tutto questo si rivela controproducente e giusto uno slogan elettorale. Con i nuovi assetti del nord Africa, il “tappo” libico sarebbe stato comunque inutile, mentre è certo che qualsiasi cosa avvengo in Libia conteremo come il due coppe. A volte credere in qualcosa è persino conveniente.
Davanti ai microfoni del tg3, una giornalista ha chiesto a un profugo tunisino cosa le piacesse dell’Italia e lui candidamente ha risposto:La democrazia.Bisognerebbe partire da questo e chiedersi quanto vivo sia per noi il senso di democrazia, oltraggiato e camuffato da uno pseudo liberismo che ha il sapore amaro della corruzione e delle mazzette pagate sottobanco.Quanto succede oggi in Italia è davvero aldifuori di ogni logica civile e morale, per cui con un paese spaccato in due, non si capisce cosa stia realmente accadendo in Libia e ciò che disturba gli italiani strumentalizzati dalla lega è l’inondazione degli extracomunitari, che scappano verso un paese facilmente raggiungibile e democratico a loro dire.Di rimando difronte a un esodo senza precedenti invece d’affrontare il problema si rimane possibilisti, attendisti poco propensi all’intervento per gli affari che un solo uomo aveva stabilito con il dittatore sulla parola. E che ci fosse una strana commistione in atto lo dimostra un poster grande affisso su uno dei palazzi in Libia, dove Gheddafi e Berlusconi si stringono la mano. Pesa la questione Libia e pesa ancora di più quando oggi la Lega si preoccupava di risoluzioni commerciali per l’estrazione del gas e del petrolio in Libia.Non dunque capire, rendersi conto, parlare su un programma di ampio respiro ispirato ai concetti base di diplomazia internazionale che l’Italia ha perso e non conosce. Ragion per cui difronte all’affermazione del profugo: dell’Italia mi piace la democrazia c’è da chiedersi ma la democrazia abita ancora da queste parti? Se si dovesse tener conto di come Berlusconi stia distruggendo i principi basilari della costituzione attraverso un attacco efferato verso la magistratura, va da se che la mentalità di questa maggioranza e del suo capo è quello di addomesticare chiunque possa nuocergli,facendo precipitare nella voragine famiglie e gente comune attraverso la legittimazione della corruzione e delle mazzette.Altro che Libia. Un dittatore vale di più della democrazia.