Nadia Somma per il Simplicissimus
“Ho una laurea alla Bocconi oggi sono io il prodotto, sono diventata imprenditrice di me stessa”.
Ecco mi domando quanto della fragile e confusa Sara Tommasi ci fosse in quella apparentemente determinata manager di se stessa. Mi domando quanto quell’idea di trattare il proprio corpo come un prodotto da piazzare sul mercato sia condivisa da altre giovani coetanee di Sara Tommasi. Un’ amica mi ha suggerito qualche giorno fa, che forse la malattia dei nostri tempi è la inadeguatezza alla libertà. Vorrei dare uno sguardo come donna, sulle donne a proposito di inadeguatezza alla libertà. Perché sento parlare di autodeterminazione della donna anche nella scelta di prostituirsi e sinceramente mi pare paradossale.
Quanto é possibile servirsi del proprio corpo, asservirlo al piacere altrui, reificarlo e mercificarlo senza che ne resti coinvolta la soggettività? Questa distinzione tra mente e corpo, tra identità e corpo, è davvero possibile? Quanto può essere percepito invasivo, finanche aggressivo e violento, o nauseante il contatto intimo con l’altro se non è desiderato? E non alludo solo al contatto dei corpi ma anche allo sguardo, alle parole. Quanto si possono negare o ignorare le proprie sensazioni di insofferenza, fastidio, disgusto? Quanto si può arrivare a negare se stesse? Un’arte che le donne hanno appreso per secoli se non millenni.
Siamo rimaste disorientate noi che rivendicavamo trent’anni fa, la libertà di vivere la sessualità sotto l’unica legge del nostro desiderio, e che rivendicavamo la nostra soggettività, nell’ essere testimoni di vicende di giovani donne che pur avendo istruzione e professionalità da spendere hanno scelto di prostituirsi sessualmente: piegarsi alla legge del desiderio altrui seppur dietro lauto corrispettivo o per inseguire il sogno di una particina in una soap opera, o in qualche programmetto nazional popolare..
Non mi sento di dire che la responsabilità va ricercata interamente nella martellante e ossessiva cultura dell’immagine della donna – bambola sessualmente disponibile, amplificata dai media, negli ultimi ventanni. Non mi sento di dire che la responsabilità intera è del potere e dell’uso che fa del corpo delle donne. Quanta mancanza di immaginazione, quanta mancanza di fiducia nelle proprie possibilità di muoversi nel mondo dietro la scelta di accettare e di elemosinare a mano tesa un compenso ricevuto per essere state a disposizione del desiderio di un altro. Una volta spezzate le catene esterne sono quelle interiori le più dure da spezzare. Ed io non ci vedo proprio la scelta di donne libere, ci vedo solo la scelta di un antico destino di essere man-tenute, tenute in mano, tenute in pugno.
Questo post mi ha fatto rendere conto di come è vero veleggi una grande ipocrisia! Grazie per questo profondo post.
Abbiamo deciso di immaginare perciò, oggi, che cosa avrebbe scritto una prostituta.
http://vongolemerluzzi.wordpress.com/2011/02/14/post-di-una-squillo-per-bene/
A rileggerci 😉
Chissà forse il segnale limite per la nostra prostituzione che sia fisica, intellettuale, morale é il primo disgusto che proviammo perché poi forse non lo si prova più e non c’é più distinzione tra me e l’atto di prostituirmi…
@ già!!!! Hai ragione eccome se hai ragione…Ferrara é uno dei tanti perfetti esempi, é capace di prendere tutte le posizioni: comunista, socialista, berlusconiano, antiabortista, e recentemente propognatore del libero mutandare
e l’altra malattia endemica è l’ipocrisia che fa sì che nessuno rivendichi il libero esercizio dell’altra prostituzione, quella intellettuale. Quella si professa molto ma tutti tendono a riscattarla